Autore: Sebastiano Guido
Le marse sono delle baie sabbiose dove sfociano i fiumi che hanno sempre sete e bevono solo quando fiorisce il deserto…
Mentre parto alla ricerca delle Sirene, mi riecheggiano i versi dell’Odissea in cui il callido Ulisse fa turare le orecchie ai marinai e si fa legare alla nave.
Sopravviverà così alle pericolose lusinghe del loro canto fatale.
Pur non legandomi a uno scafo, giorni prima avevo cercato di fotografare una sirena, nella baia di Marsa Mubarak, rinunciando ad una immersione allettante, al cui termine i partecipanti avevano visto tutto, ad eccezione dei trichechi, mentre io … Io nuotavo in un punto dove alcune volte era affiorato qualcosa di indefinito.
Della sirena nessuna traccia. Dopo mezzora di vane ricerche era comparsa una barca di sub tedeschi, e la fatale ammaliatrice, se pur c’era, era sparita nel nulla, lasciandomi nella disperazione più angosciante.
Una sirena come immaginata dall’autore
Risultato del giorno erano state poche foto, non troppo nitide, di pesce Chitarra e di quel trigone a macchie nere che gli inglesi chiamano Coachwhip ray per la lunga coda simile alla frusta di un vetturino.
Il pesce Chitarra, che ancora oggi fotografo, è un tipo assai sospettoso, dalla testa rom-boidale appiattita. I suoi occhi gelidi mi seguono con uno sguardo vuoto da pokerista. Non vuole confidenze.
Per avvicinarlo servono pazienza, una discreta apnea e soprattutto un approccio cauto e indiretto per arrivare al punto dove o si scatta o, un secondo dopo, puoi vedere solo la coda e due piccole pinne dorsali.
Un pesce Chitarra mentre perlustra il fondo
Oggi, da terra, mentre scruto la marsa, due affioramenti indistinti verso il largo mi hanno dato certezze. Ho traguardato il punto e, con Elvira al seguito a distogliermi da tentazioni fatali, maschera snorkel e la fedele fotocamera scafandrata ho iniziato il lungo pinneggiamento…
Ecco qualcuno intento a brucare alghe sul fondale di sabbia. Con cautela mi immergo. La nipote delle Omeriche creature che avvicino ha rinunciato alla mitica chioma,
non canta più e soprattutto ha perso la linea.
Di fatto, quando mi accosto, l’essere sembra più una vecchia e bulimica zia che una si-nuosa ed affascinante creatura. Il voluttuoso seno è scomparso. Una lustra calvizie piange i perduti capelli. Sul volto radi peli.
Resta immutata la coda da pesce, posta in orizzontale. L’occhio, infossato nella guancia pienotta, mi sbircia un poco: ha uno sguardo timido e civettuolo, circondato com’è da lunghe ciglia. Prosegue imperterrita il banchetto e, pia come tutte le vecchie e rispettabili zie, lo condi-sce francescanamente con sabbia del fondale.
Con cautela scatto dei primi piani all’ingorda. Risale. Quasi a galla getta uno sbuffo di bolle, il capo emerge per un alito d’aria e affonda mezzo metro. Gira in bocca le alghe ed emerge di nuovo.
Completa l’inspirazione e ridiscende beata ad affondare il muso nel prelibato limo. Brucando continua ad allontanarsi verso profondità sempre più ardue per chi non ha apnee degne della sua. La vedo svanire nell’azzurro opalescente.
Mentre ritorno un pesce pappagallo verde mi saluta con un ciuffo d’erba nel becco.
“Cara Sirena, spero che la mia razza che vi ha sempre ucciso cominci a ricredersi ed inizi a proteggerti… Solo così, un giorno le tue figlie torneranno a cantare con le chiome nel vento…”
Un dugongo razzola sul fondale sabbioso
Dugong dugon è un mammifero dell’ordine dei sirenidi con arti anteriori modificati in pinne utilizzati anche per movimenti quali portare il cibo alla bocca o trattenere il cucciolo sul ventre quando, sdraiato in superficie lo allatta.
E’ probabilmente questa abitudine che ha creato il mito della sirena che col seno al vento affascina il ramingo marinaio.
Timido come buona parte degli erbivori è abbastanza difficile da avvicinare. L’approccio migliore è sicuramente l’apnea, per la mancanza di bolle che spaventano il soggetto.
Il muso termina con una proboscide prensile, sormontata da narici stagne, che utilizza per strappare le alghe.
Spesso solitario, a volte in coppia o con un cucciolo, passa la sua vita a nutrirsi. Può arrivare a 3 metri e a 300 kg. di peso.
Purtroppo è una specie in via di estinzione anche se protetta dal trattato di Washington per la protezione delle specie.
Due carangidi (Gnathanodon speciosus) accompagnano un dugongo per predare i
piccoli animali che questi stana nel suo brucare.
Leggende Greche parlano delle Sirene, nate dal sangue di Acheloo , dio dei fiumi, dipin-gendole però metà donna e metà uccello.
Un mito dice che morirono gettandosi in mare.
Fu Poseidone a richiamarle dall’Ade, trasformate in donne-pesce.
Altri miti le presentano come figlie di Oceano e Anfitrite, che col canto richiamano i mari-nai, facendoli naufragare e perire sugli scogli.
Un dugongo intento a cibarsi
Il pesce Chitarra (Rhinobatos halavi ) è un pesce cartilagineo affine alle razze e agli squali, che nuota rasente ai fondali sabbiosi alla perenne ricerca di molluschi e crostacei ivi nascosti. Muso a forma di vanga e torace appiattiti da cui partono due larghe pinne pelviche. Tra le caratteristiche principali due pinne dorsali triangolari che seguono una serie di corte spine sulla linea mediana del dorso. Dotato di ricettori elettrosensibili alle cariche elettriche emesse dal movimento di prede nascoste,
le stana col muso a pala per poi cibarsene. Può raggiungere 1,20 metri di lunghezza.
Primo piano del capo di un pesce chitarra
Il trigone a coda di frusta da vetturino Himantura uarnak è un pesce cartilagineo dotato dello stesso tipo di ricettori elettrosensibili di tutti i Raiformi che consentono loro di “vede-re” la preda come se avessero un radar.
Colore bruno a macchie fitte nere, talvolta unite a reticolo, non è molto comune e raggiun-ge la lunghezza di 2 metri.
Un esemplare macchiettato visto da sopra
Un Himantura uarnak nuota incontro all’autore
Al contrario il trigone a macchie blu si può incontrare in mar Rosso con facilità, anche se talvolta è difficile da scorgere perchè acquattato sotto sporgenze o madrepore a ombrello che gli garantiscono protezione dai nemici. Spesso per gli stessi motivi si ricopre di sabbia, da cui sporgono a malapena gli occhi.
Una Taeniura lymma bruca sul fondo alla ricerca di molluschi e crostacei
Come per tutti i trigoni, la coda di queste specie è munita di aculei pungenti che in due scanalature che corrono lungo le spine contengono le ghiandole del veleno.
In caso di trafittura solitamente questi aculei rimangono infissi nella ferita in quanto dotati di seghettatura che ne ostacola l’estrazione. Sulla coda del pesce, in caso di perdita, ne ricresceranno altri nuovi o, se spezzati si reintegreranno.
Attenzione quindi a non disturbare questi e altri tipi di trigone: potreste essere scambiati per predatori, con conseguenze molto spiacevoli.
Incontri comuni nella zona, anche senza effettuare immersioni, sono le tartarughe. Quelle più presenti e di maggiori dimensioni sono le tartarughe verdi (Chelonia mydas) che possono raggiungere i 140 centimetri di lunghezza.
Abbastanza comuni anche le tartarughe embricate, dal becco più da rapace, che non superano i 90 centimetri.
Pascolano o giacciono tranquille sul fondo, spesso addormentate, e non temono la vici-nanza dell’uomo. Questa fiduciosa mansuetudine genera talvolta comportamenti scorretti, come quello di tentare di aggrapparsi al carapace per farsi trainare, che sono da condan-nare fermamente. Un meritatissimo morso del becco tagliente potrebbe causare una di-screta ferita (e troverebbe la completa solidarietà di chi scrive).
Una tartaruga verde di cospicue dimensioni
Spesso, aggrappate al carapace di questi timidi animali, una o più remore approfittano dell’anfitrione per essere trasportate senza fatica verso nuove fonti di cibo. Muovendosi lentamente, senza movimenti bruschi, può capitare che qualche esemplare vi si attacchi (come più volte è successo allo scrivente). L’importante è evitare che aderisca alla pelle nuda, specie in punti con lesioni o con nei, per non incorrere in ematomi da ventosa o riaprire le ferite staccandole.
Una tartaruga verde semiaddormentata sul fondo
Tre remore riposano sul fondo ripulite da labridi pulitori
Dove il fondale sabbioso cede il posto alla barriera corallina l’acqua si fa meno torbida. Esplode il colore. Milioni di organismi partecipano alla grande immagine, donando ciascuno agli occhi dell’osservatore una pennellata di vivida vita. I coralli molli dalle calde tinte catturano tra i tentacoli minuscole creature. E’ tutto un mondo dove il cacciatore di adesso e la preda di questo momento si identificano e dove nulla è quello che sembra a prima vista. Questa però è un’altra storia che forse in futuro potrò raccontare…
Notizie utili su Marsa Alam
A 260 km. a sud di Hurgada, in un tratto di costa ancora poco battuto, poche decine di ca-se con qualche negozietto formano la cittadina di Marsa Alam, dove il turismo è poco co-nosciuto. Più a nord di circa 130 km. c’è una cittadina di pescatori, El Quseir e tra le due, circa a metà strada l’aeroporto di Marsa Alam.
La zona è frequentata dai pochi vacanzieri che vogliono scoprire un mar Rosso nuovo, come Sharm 30 anni or sono, e si adattano a una vita un po’ meno mondana dei più noti centri balneari egiziani. Le marse sono insenature naturali dove sfociano, quando piove molto, i corsi d’acqua fantasma: il fondo è sabbioso e con alghe ed ha quindi una popola-zione diversa della barriera corallina che lo circonda: l’acqua è in genere più torbida, ma spesso vi si fanno incontri inconsueti.
La zona è abbastanza ventosa per le brezze che giungono dal deserto.
Il periodo migliore di visita va da aprile ad ottobre.
Temperature medie intorno ai 30 gradi con punte di 35 in agosto.
Temperatura dell’acqua dai 24 ai 28 gradi a seconda del periodo.
I fondali sono misti: reef e sabbia si alternano e la costa è abitualmente costituita da una barriera corallina spesso soffocata da limo. In talune zone l’accesso all’acqua profonda è problematico perchè ci sono pochi passaggi nel reef, che dovrebbe venire protetto dal vandalismo e dall’incuria umana. Anno dopo anno aumentano hotel e insediamenti umani e, per fortuna, vengono costruiti
lunghi pontili per permettere a chi lo desidera di raggiungere l’esterno della barriera senza recare danno ai coralli. Purtroppo man mano che l’antropizzazione progredisce l’impatto umano, anche senza volerlo, fa regredire la vita marina.
Immersioni da non perdere sono Elphinstone, sperone di corallo a forma di sigaro che emerge dal blu più profondo, col cappello della secca a quasi 30 mt., dove l’incontro con grossi pelagici (squali grigi e longimanus) è quasi una certezza e Samadai, al cui interno la Dolphin house offre allo snorkelista facili occasioni di incontro con le Stenelle, mammiferi della famiglia dei delfini.
L’autore: Sebastiano Guido
Appassionato fin da ragazzo del mare, dopo anni da apneista inizia a immergersi con le bombole ed a praticare la foto subacquea.
Con all’attivo decine di migliaia di fotosub riprese in giro per il mondo e con l’interesse ad approfondire gli argomenti di cui ha la passione, ama ricercare sempre nuove specie, in particolar modo nelle acque calde dell’Indo-Pacifico.
Istruttore subacqueo, pubblica saltuariamente qualche fotografia ed articoli su riviste del settore. Ha pubblicato fotografie anche su stampa estera.
Nel 2013 è stato pubblicato e presentato al salone internazionale della subacquea (EUDI-Show) il suo libro “Creature pericolose dei mari e degli oceani – guida al riconoscimento e al primo soccorso”.
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