Autore testo e foto: Ferdinando Meli
Autire dek racconto sull’ammaraggio: Michele Reina
L’immersione per esplorare un relitto è sicuramente, tra
tutte le esperienze subacquee, tra le più stimolanti e affascinanti.
In questo articolo andremo alla scoperta di uno dei tanti relitti che si trovano
nei mari delle coste siciliane.
L’oggetto della nostra esplorazione è un grosso trimotore tedesco della Seconda
Guerra Mondiale che, nell’estate del 1942, è affondato nel mare antistante il
paese di Sferracavallo.
Prima di descrivere l’immersione e l’aspetto del relitto
vorrei riportare fedelmente la descrizione dei fatti che hanno portato l’aereo a
tentare un ammaraggio di emergenza per avarie ai motori.
Il racconto seguente è la testimonianza del mio caro amico
Michele Reina che all’epoca del fatto aveva dieci anni:
“Sferracavallo, estate del 1942. Metà pomeriggio di una
bella giornata di sole. Giocavo con mio fratello Carlo sul terrazzo che faceva
da copertura all’abitazione da sfollati.
Ad un certo momento sentiamo un brontolio, come di una pentola in ebollizione, e
dal mare vediamo provenire una squadriglia di Junkers-52, in perfetta
formazione, diretti verso Palermo. Gli aerei volavano ad un’altezza di circa
trecento metri sopra le nostre teste. Un poco più in basso rispetto gli altri ne
arrancava uno i cui motori emettevano un rumore irregolare interrotto da
scoppiettii e vuoti di potenza. Evidentemente erano tutti diretti al vecchio e
unico campo di aviazione di Boccadifalco. Tuttavia eravamo fortemente dubbiosi
che quell’ultimo aereo vi potesse giungere. Alla distanza di circa un
chilometro, proprio sopra l’abitato di Tommaso Natale, quello Junkers vira e
torna indietro, nuovamente nella nostra direzione. Per osservarlo meglio ricordo
che salimmo sulle tegole della copertura di una scala che dall’appartamento
portava fino alla terrazza. Il tempo di salire e vediamo questo enorme velivolo
passare sopra le nostre teste al punto che ci buttiamo distesi come per evitare
di essere investiti. Per noi bambini era bellissimo e notammo in particolar modo
il giallo dipinto solo al di sotto dei tre motori, le croci nere bordate di
bianco sotto le ali, la croce uncinata sul timone di coda e gli enormi flaps
molto caratteristici perché abbastanza distanti dalle ali. Una volta passato ci
rialziamo in piedi e lo vediamo dirigersi verso il mare che distava da noi circa
trecento metri. Evidentemente il pilota voleva tentare un ammaraggio. Dopo aver
percorso quasi tutta la rada di Sferracavallo, all’altezza della P.ta Marconi
(così definita per la presenza di una potente stazione radio), toccava la
superficie del mare alzando un poderoso muro d’acqua al suo intorno. Quasi
immediatamente dopo che si era fermato vidi scomparire il motore centrale e le
ali. Dalla distanza di circa ottocento metri che mi separava dall’aereo notai
gli uomini dell’equipaggio che si lanciavano dal portellone di sinistra che era
stato aperto. Nello stesso tempo dal porticciolo del paese partivano moltissime
barche di pescatori spinte a remi mentre altre, che già erano fuori in mare al
centro della rada, si trovavano praticamente vicinissime. Si lanciarono in mare
una decina di uomini, poi più nessuno. Nel volgere di un minuto o poco più
l’aereo si inclinò dalla parte del muso fino ad assumere una posizione quasi
verticale per poi affondare silenziosamente. Con una corsa di pochi minuti fummo
lungo la statale che porta verso il mare alla P.zza di SS. Cosma e Damiano. Oggi
non ricordo più se trovammo già lì i militari tedeschi raccolti dalle barche o
se giunsero in seguito. Erano tutti a torso nudo, senza scarpe e in mutande.
Alcuni tenevano gli indumenti sotto il braccio mentre altri cercavano di
asciugare le banconote stendendole sul marciapiedi e ponendovi delle pietre
sopra. Tra di loro ve ne era uno che teneva una borsa di cuoio piena di
documenti bagnati. Tuttavia erano calmissimi e qualcuno di loro si accese una
sigaretta offerta dalle persone del luogo. In un quarto d’ora venne requisito un
autobus di linea e, così com’erano, partirono alla volta di Palermo. Il giorno,
dopo sul posto, arrivò un pontone che stazionò per altri due o tre giorni. Tutti
i tentativi di recuperare l’aereo furono vani. Oggi il mio amico Ferdinando mi
dice che si trova praticamente di fronte P.ta Marconi ma io ricordo che era
ammarato più internamente alla rada. Forse i tentativi di recupero o i movimenti
sott’acqua durante l’affondamento lo hanno spostato.”
Questo breve racconto, che rappresenta un’importantissima
testimonianza diretta di quanto accaduto, fornisce molti elementi per chiarire
la dinamica dei fatti ed elimina molta confusione che regna sul tipo di aereo e
sulle modalità di affondamento.
Oggi il relitto riposa su un fondale sabbioso di –45,00 metri. Vista la
profondità si consiglia quest’immersione soltanto a subacquei esperti con
l’appoggio di un diving che fornisca tutta l’attrezzatura di sicurezza e
naturalmente l’imbarcazione.
Indossata l’attrezzatura ed iniziata la discesa nel blu profondo la sensazione è
un misto tra smarrimento, per la mancanza di punti di riferimento fissi, e
curiosità, per cercare di scorgere la sagoma dell’aereo. Intanto i secondi
passano e la profondità aumenta -20… -25… -35 metri ma ancora niente.
Soltanto a –40 si intravede una macchia scura sulla sabbia
distante da noi circa una ventina di metri. Dalla nostra posizione vediamo un
lato dell’aereo con la carlinga semisepolta e l’allineamento delle ali con i
motori. La posizione è a pancia in su, pertanto durante l’affondamento (in cui
dal racconto aveva una posizione verticale col muso in basso per il peso del
terzo motore centrale) deve essersi girato completamente sott’acqua e poggiato
di schiena sul fondo.
Avvicinandomi riesco a distinguere meglio che la fusoliera, con tutta la coda e
la cabina di pilotaggio, è sepolta ed invisibile sotto la sabbia mentre le ali,
con i due motori, sono ancora perfettamente integre.
Verso la parte posteriore è presente un grosso blocco che forse rappresenta il
motore centrale probabilmente divelto durante i tentativi di recupero con il
pontone.
Mi dirigo subito all’attaccatura delle ali e vedo ancora perfettamente
conservata la scaletta di accesso all’interno della fusoliera.
Poi mi sposto verso il motore di destra che appare ancora con
l’elica intatta, segno che nell’ammaraggio il suo motore doveva essere ormai
fermo, altrimenti sarebbe piegata all’indietro.
Improvvisamente, mentre con la mente compio questo pensiero,
dal lato dell’elica esce un grongo gigantesco; il diametro della testa sarà
circa 15 cm mentre la lunghezza è invalutabile in quanto il corpo è nascosto
all’interno del relitto. Il tempo di scattargli qualche foto e vicino ne spunta
un altro. Alla fine ne avrò visti tre diversi ma l’istruttore che mi accompagna
mi dirà che ce n’era anche un quarto. Sono docili e socievoli tanto che si
avvicinano alle mani per cercare del cibo. Mi diranno poi che in tempi passati
sono stati addomesticati dai subacquei che gli portavano del pesce per farli
uscire e vederli meglio. Visti da vicino sono veramente impressionanti con
quegli occhi tondi e inespressivi ed il muso con dei graffi bianchi evidenti.
Dalle foto è facile intuire le proporzioni con il subacqueo.
Per il resto siamo circondati da una moltitudine di vita
pulsante costituita da numerose castagnole rosse (Anthias anthias sp.) e
curiose perchie (Serranus cabrilla sp.).
Uno sguardo al manometro dell’aria e sono già a metà della mia riserva. Come
d’accordo lo segnalo all’istruttore e iniziamo la risalita.
Il blu ci avvolge completamente e con lentezza comincio a risalire osservando la
sagoma dello Junkers 52 che svanisce inghiottito da un mondo così lontano dalla
nostra realtà quotidiana ma, contemporaneamente, anche così vicino a luoghi dove
passo giornalmente, magari preso dai miei soliti impegni.
Rimangono tante domande su chi era il pilota e tutti i passeggeri, da dove
proveniva, che cosa trasportava e quali sono state le cause dell’ammaraggio.
Per informazioni rivolgersi a:
Ferdinando Meli
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E-mail: info@seaphoto.it
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