Autore: Francesco Turano
Leggo sulle tavole di marea che stamani a Scilla il movimento
delle masse d’acqua è diretto da nord verso sud: scendente; c’è la luna piena,
ma alla montagna la scendente, anche forte, non prende gran che e non disturba.
Il momento si presta e invita a un tuffo. L’aria calda offuscata da un’atmosfera
sciroccosa ci avvolge sulla spiaggia sotto la rupe; il mare si presenta calmo e
l’acqua limpida. Ci vestiamo… Ancora non ho messo la testa sott’acqua,
affrontando il magico istante del passaggio dal mondo emerso a quello sommerso,
e già vedo macchie gialle di una certa dimensione che lasciano intuire la
presenza di numerose cassiopee.
Lophogorgia ceratophyta, isolata su un fondo a paramuricea. Una gorgonia
esile che passa inosservata, ma molto bella.
Come al solito non posso fare a meno di fermarmi a osservare i cromatismi
delle paramuricee, celenterati meravigliosi molto diffusi sui fondali di Scilla.
Ma la cosa esaltante per un fotografo è disporre di un simile palcoscenico tutto
l’anno con acqua limpida.
Immergo il volto e osservo: le meduse sono aumentate di
numero rispetto ai giorni scorsi e finalmente sono densamente frequentate da
giovani pesciolini pelagici; sotto il pelo dell’acqua la vita esplode: è tutto
un miscuglio di larve tubolari biancastre di qualche centimetro, poche meduse
luminosa, centinai di piccoli muggini e belle aguglie. Mentre aspetto i miei
compagni di oggi, inizio a scattare qualche foto alle cassiopee, cercando di
stuzzicare i pesciolini che, con la loro presenza, arricchiscono l’immagine che
inseguo sempre da quando vado sott’acqua.
Una pausa dagli ormai noti cerianthus della “montaganaâ€, fascinosi nel loro
elegante e lento movimento di tentacoli in corrente. Guardandomi intorno mi
accorgo che la Caulerpa racemosa si è diffusa abbondantemente anche qui…
La punta delle margherite di mare, cappello della secca sottostante la
montagna posto a – 45, con pareti verticali che precipitano fin giù a -60 con
tappeti fittissimi di paramuricee. Sul cappello stazionano sovente cernie rosse
e “palle†di grossi saraghi fasciati, e occasionalmente anche bei dentici.
Oggi, col digitale, le possibilità di ottenere la foto
ricercata sono aumentate notevolmente e puoi fare molti tentativi per ottenere
la giusta posa di un piccolo carangide che gira intorno alla sua medusa, nella
speranza che prima o poi rimanga inclinato in modo giusto da non riflettere la
luce del flash e rovinare la foto. Lentamente, avanzando in superficie, ci
portiamo verso il punto d’immersione; iniziamo a scendere verso la franata che
termina sulla sabbia e avanziamo verso i primi scogli con le gorgonie, intorno
ai trenta metri di profondità .
Gorgonie ovunque, in un’esplosione di colori tutta
mediterranea.
Scatto qualche foto a un’esile Lophogorgia, una bella
gorgonia solitaria, e poi mi dirigo verso la montagna, guidando il gruppo. Con
lo sguardo verso il mare aperto vedo una bellissima aquila di mare che nuota
rapida in direzione opposta alla nostra; non riesco ad attirare l’attenzione dei
due sub che mi seguono e mi godo il suo passaggio, affascinato come sempre dal
nuoto e dall’eleganza tipica di alcuni pesci cartilaginei.
Un piccolo rametto di Gerardia savaglia sta lentamente colonizzando in modo
aggressivo un ramo di paramuricea.
E siamo finalmente giunti sugli scogli sparsi a 40 metri di
profondità , subito prima del mitico e isolato bastione roccioso noto come
“montagnaâ€; circondati da saraghi in continuo e frenetico movimento, non
possiamo fare a meno di notare grandi cernie rosse a una certa altezza dal
fondo: guardinghe, le cernie si accorgono di noi ma non scappano, mantenendo
come sempre le doverose distanze. Mi lascio poi sedurre dai colori delle
gorgonie e qualche flash ne illumina inevitabilmente i caldi cromatismi, andando
ad arricchire ulteriormente il mio archivio digitale dedicato ai celenterati
dello Stretto. Poi dirigo verso l’apice dal grande monumento di roccia che
svetta sotto la montagna, la punta dei Parazoanthus o margherite di mare.
Tutt’intorno è un brulicare di castagnole rosse e nere, saraghi fasciati,
piccoli serranidi e molti labridi. Un deciso e repentino cambio di temperatura
dell’acqua invita però a spostarsi vero la base della montagna, dove si
percepisce la scendente che invita a risalire ancora qualche metro.
A sinistra: unico scatto che testimonia la scena di caccia delle occhiate
verso i banchi di latterini.
A destra: la sagoma del bastione roccioso noto come “montagna†con in primo
piano i poveri latterini, vittime dei grandi predatori. Ma in natura pesce
grande mangia pesca piccolo!
Intorno ai 35 metri sono all’improvviso turbato da qualcosa
di strano che sta per accadere davanti ai miei occhi: una palla di piccoli
latterini argentati quasi mi investe nuotando in modo frenetico; e dietro, a
seguire, i predatori. Da un lato lucci e dall’altro grandi occhiate, guizzano
rapidissimi per cacciare i pesciolini, e tutto avviene in modo naturale: sono
tutti incuranti della mia presenza. Che spettacolo mozzafiato: mi fermo e
osservo! La scena si ripete: i piccoli pesci argentati scappano da ogni lato, la
nuvola compatta si apre e si formano gruppi minori che si staccano dal banco in
preda la panico, ma lucci e occhiate non mollano e sferrano attacchi ripetuti.
Nel trambusto riesco anche a scattare una foto al volo: un’occhiata che
raggiunge un piccolo gruppo di sventurati latterini predandone alcuni
rapidissimamente. Un brivido invade il mio corpo per la gentile visione offerta
da Madre Natura: è come sognare a occhi aperti… Non è facile stare a guardare
simili avvenimenti e ogni volta che la fortuna lo permette sembra sempre la
prima volta.
In controluce si intravedono le sagome delle occhiate alla ricerca di piccole
prede, il tutto incorniciato dalle castagnole. Acqua stupenda e luce magica…
Sul fondo onnipresenti le salpe al pascolo.
L’entusiasmo non diminuisce, piuttosto tende ad aumentare con
il crescere della consapevolezza. Quando osservo la Natura del mondo sommerso in
diretta e riesco a trasferirne l’idea, seppur vaga, in un’immagine, penso sempre
a un amico che amava il mare davvero e dedico a lui i miei incontri. Aurelio
Laface, grande pioniere tra i subacquei degli anni d’oro, era spettatore unico
delle mie foto; a volte piangeva perdendosi nell’osservazione attenta e attonita
delle mie diapositive. Le sue lacrime, indelebili nella mia mente, scorrono
sempre come gocce d’acqua sull’oblò sferico dello scafandro quando emerge per
una foto a mezz’acqua: scorrono in memoria di un uomo che amava il mare sul
serio e mi fanno godere appieno, in modo ancora più intenso, degli spettacoli
gratuiti, sovente sottovalutati, del nostro mare. Aspetto paziente che l’azione
di caccia finisca e poi inizio la risalita, nuotando tra greggi di salpe al
pascolo sul fondo.
Anche le triglie pascolano sul fondo e si sollevano solo quando accorcio le
distanze per qualche foto.
Da una certa distanza ammiro i pesci diffidenti, come le
cernie brune, ma non fatico ad avvicinarmi a meno di un metro da giovani
cerniotte fiduciose: una coppia in particolare, formata da due pesci di taglia
analoga, mi aspetta all’ingresso dell’antro in cui sparire al momento giusto.
Più lontano, verso quote più impegnative, sagome inconfondibili di nobili
sparidi mi rammentano che la caccia al pesce piccolo non è finita: dentici di
discrete dimensioni fendono l’acqua a colpi lenti e decisi di coda, sfoggiando
livree dai cangianti riflessi. Risalire è sempre triste quando vedi tanto pesce
in una sola immersione. Ma non è ancora finita: a circa venti metri dalla
superficie, prima di guadagnare quote decompressive, ancora una paio di
eccitanti incontri ravvicinati: prime le solite grosse triglie, che posano per
delle colorate foto ricordo; quindi giovani ricciole, una decina in tutto,
veloci e curiose come sempre, che arrivano e ritornano nel nulla concedendomi
appena il tempo di ammirarle, ma non spazio per fotografare.
Ma è tempo di risalire, controllando la velocità di emersione nonostante le
continue distrazioni provocate dai simpatici atteggiamenti delle piccole cernie
dorate. Intorno ai 6 metri di profondità si inizia di nuovo ad entrare nel
magico mondo vivente appena sotto il pelo dell’acqua, il regno delle meduse.
Quale modo miglioro per concludere una avvincente immersione se non quello di
fotografare ancora meduse con sullo sfondo il castello e la rupe di Scilla?
Prima di riemergere, le cassiopee – Cotylorhiza tubercolata – posano per
numerosi scatti con lo sfondo e i riflessi della superficie. Sotto il pelo
dell’acqua un altro mondo è animato da celenterati a dir poco belli e da forma
larvali e piccoli pesci disseminati ovunque.
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