È una splendida mattina di inizio agosto, ed io mi trovo davanti all’organizzatissimo e comodo diving situato all’interno della marina turistica di Loano, in provincia di Savona. Sto finendo di preparare la mia attrezzatura e caricarla poi sul gommone che mi porterà a visitare il relitto del Città di Sassari, un incrociatore ausiliario affondato durante la Grande guerra da un sommergibile tedesco.
Mi faranno compagnia nell’immersione Guido, la guida (appunto…), una coppia di Milano e mio cugino Pierluigi, assunto in qualità di modella subacquea e che da questo momento così verrà menzionato: la modella. La modella è, ovviamente, in ritardo: ma si sa, le “belle donne” sono spesso così, si fanno attendere e sospirare…
Quando noi 4 siamo finalmente pronti per salire sul gommone, finalmente trafelatissimo arriva, comincia a preparare qualcosa, poi corre a cambiarsi; giusto il tempo che io rientri nel diving e mi trovo 2 paia d’occhi che mi guardano accusatori: “Sei sicuro che abbia un brevetto, vero? Lo guardi tu, vero?”
Non capisco… poi mi giro e (o mamma mia…) noto che per la fretta e le mie occhiatacce ha montato il gav al contrario. “Tranquilli! È un professionista, vedrete!”
In ogni caso poco dopo siamo finalmente in barca, pronti e felici per l’immersione che stiamo per fare, con quella piccola emozione che si prova ad ogni tuffo, anche dopo tanti anni. Mentre usciamo dal porto, Guido approfitta del momento per farci un breve briefing.
La nave si trova tra i 26 ed i 28 metri di profondità – ci spiega -, a pochi minuti di navigazione dall’imbarco, davanti a Borghetto Santo Spirito; è molto rovinata, in quanto tra il primo dopoguerra ed il 1955 è stata oggetto di numerosi lavori di recupero effettuati con gli esplosivi, per far fronte alla cronica carenza di metallo della nostra industria.
Si tratta di un’immersione facile, che effettueremo in miscela nitrox, e che normalmente non vede presenza di corrente ma piuttosto la possibilità di trovare scarsa visibilità a causa del fondale fangoso su cui poggia il relitto. A circa centro nave troveremo la statuetta della Madonnina posata nel 2000 a tutela dei subacquei che si volessero recare a visitare la nave perduta. Noi avremo in più la protezione di Guido che conosco da anni, ed è un ottimo subacqueo.
Giusto il tempo di fare la vestizione e via, verso le profondità marine.
Il piroscafo Città di Sassari viene varato nel 1910 col nome di Maddalena presso i cantieri della società Esercizio Bacini di Riva Trigoso, in Liguria, ora Fincantieri. È un bel vapore di 2167 tonnellate di stazza lorda, distribuite su di una lunghezza di 87 metri x 11, 3 x 8,5 di altezza, ed è in grado di trasportare 200 passeggeri di prima, seconda e terza classe, oltre all’equipaggio. È mosso da due macchine a vapore a triplice espansione capaci di erogare 2768 cavalli e di spingere la nave fino alla velocità di 15 nodi.
Di proprietà delle Ferrovie dello Stato, viene ben presto rinominato Città di Sassari e messo sulla tratta Civitavecchia – Golfo Aranci in Sardegna.
Allo scoppio della Grande Guerra l’Italia è inizialmente neutrale; desta scalpore quindi un episodio accaduto il 06 gennaio 1915.
Mentre il piroscafo percorre la tratta abituale tra continente ed isola, viene infatti fermato con un colpo di cannone sparato a salve dal cacciatorpediniere francese La Hire; salgono sul Città di Sassari ufficiali e marinai che arrestano e prelevano 30 passeggeri di nazionalità tedesca presenti su di esso.
Le nubi del conflitto non tardano in ogni caso ad arrivare anche per la nostra nazione ed il vapore viene requisito dalla Regia Marina, armato con 2 cannoni da 120 mm, uno da 57 mm, 2 antiaerei da 76, ed, oplà, eccolo diventare Incrociatore Ausiliario, con compiti di scorta ai convogli e trasporto truppe (!).
Partecipa infatti attivamente e con successo all’esodo dell’esercito serbo da Durazzo in Albania, contrastando anche con i suoi cannoni l’avanzata dell’esercito austroungarico; in seguito opera diverse missioni di scorta nel basso Adriatico.
Nel 1917 è di base a La Spezia, da cui continua ad operare come nave scorta, ora al comando di un capitano che farà carriera: il comandante Guido del Greco, in seguito decorato al valor militare, e nel periodo tra le due guerre nominato ammiraglio e comandante superiore navale in estremo oriente.
Il giorno 01 dicembre 1917 il Città di Sassari lascia Villefranche alle 04.00 del mattino facendo da scorta ai piroscafi Polinesia, Norden e Villa de Soller; alle 11.20 si trova tra Ceriale e Loano.
Nella stessa zona, in caccia, transita però uno dei battelli più celebri della Prima Guerra Mondiale: l’U65, al comando del Kapitanleutenant Hermann von Fischel, uno degli assi dell’arma dei sommergibilisti.
Von Fischel, figlio di un ammiraglio, e cadetto dell’accademia navale della Kaiserliche Marine nel 1905, anno di formazione di grandi comandanti di Uboot, affonderà al comando dell’U65 ben 44 navi, danneggiandone altre due, per un totale di circa 78.000 tonnellate di naviglio. Pluridecorato, dopo la guerra rimarrà in servizio facendo una fulgida carriera nella Kriegsmarine di Hitler, arrivando ad essere al comando della famosa corazzata tascabile Deutschland ed in seguito verrà anch’egli nominato ammiraglio. Durante la Seconda Guerra Mondiale perderà il figlio Unno, affondato mentre si trova al comando dell’U374 e poi si ritirerà dal servizio attivo nel dicembre 1944; catturato dai russi, morirà nel 1950 in un campo di prigionia vicino a Mosca.
Il battello che von Fischel comanda durante la Grande Guerra è il terzo di una fortunata classe composta da 3 Uboot che, purtroppo per noi, faranno strage di navi in Mediterraneo: l’U63 di Kurt Hartwig, l’U64 di Robert Moraht ed il suo, l’U65. Sono delle piccole ma efficaci macchine da guerra, terrore dei marinai alleati di tutto il mondo: 810 tonnellate in emersione, 927 in immersione; 68 metri di lunghezza per 6,3 di larghezza che, tolti guscio e casse di zavorra, fanno rimanere ben poco spazio vivibile ai 36 uomini dell’equipaggio. I motori diesel di 2200 cavalli di potenza possono spingerlo fino a 16,5 nodi, con un’autonomia a velocità di crociera di circa 9000 miglia; i motori per l’attacco sono però quelli elettrici, usati in immersione, che lo spingono a 5 nodi ed in caso di necessità fino a 9 per brevissimi periodi, ad una profondità massima di 50 metri. È armato con un cannone da 88 mm e soprattutto è dotato di 4 tubi in grado di lanciare la nuova, terribile arma, il siluro. L’U65 è di base a Pola, il porto principale della marina austroungarica, e da lì parte per le sue devastanti incursioni in Mediterraneo. È una dura vita, quella dei sommergibilisti della Prima Guerra Mondiale (e non solo), con un’alta percentuale di possibilità di non fare ritorno a casa.
L’U65 è sceso lungo l’Adriatico ed è poi risalito lungo le coste tirreniche fino al Mar Ligure; il viaggio è lungo anche perché la nave è normalmente ferma in immersione durante il giorno, per evitare di essere vista dai nemici e si sposta in emersione solo durante le ore notturne, in modo da ricaricare le batterie.
L’01 dicembre 1917 il sommergibile è in agguato intorno a Borghetto Santo Spirito, e von Fischel alza ed abbassa regolarmente il periscopio alla caccia di prede. Ad un certo momento vede il fumo del piccolo convoglio che si avvicina e sposta il sommergibile in posizione d’attacco. Alle 11.20 il Città di Sassari è a tiro. Il comandante tedesco lancia un siluro, poi ordina l’immersione rapida, dileguandosi.
La vedetta del piroscafo vede la scia del siluro e lancia l’allarme: Del Greco tenta una manovra disperata mettendo il timone tutto a dritta. I secondi passano, come rallentati dalle emozioni degli uomini. In realtà non c’è nulla da fare: il siluro colpisce la nave ed esplode causando una grossa falla e distruggendo una paratia interna. Non c’è più nulla da fare. Il Città di Sassari è perduto e Del Greco ordina di abbandonare la nave. L’incrociatore affonda rapidamente: in soli 3 minuti tutto è finito.
Il ct Granatiere, prontamente accorso, raccoglie 160 marinai, mentre altri 8 raggiungono la riva con una lancia. Mancano all’appello 3 fuochisti che lavoravano nella zona dell’esplosione ed il medico di bordo, che si era attardato per aiutare i feriti e coordinare l’abbandono della nave. L’ennesimo eroe di guerra.
L’immersione sul relitto Città di Sassari
Io, che vivo invece in un’epoca molto più felice e molto meno irta di pericoli, sto scivolando veloce verso il fondo, tenendo un occhio alla sagola e l’altro alla mia modella.
Arriviamo sul fondo vicino a quello che doveva essere il centro nave e passiamo davanti alla statuetta della Madonnina, salutandola e facendoci il segno, che non si sa mai.
La visibilità sembra discreta e ne approfitto per fare diversi scatti alle strutture sopravvissute; purtroppo della bella nave originale è rimasto in realtà ben poco. Si riescono ad identificare solo poche strutture, con qualche pezzo di ordinata ed un po’ di fasciame. Come tutti i relitti è però colonizzato da diverse specie di pesci, in particolar modo saraghi e murene, oltre alle immancabili donzelle; non ve ne è però molto, perché è un posto molto frequentato dai pescatori della zona, che ben sanno quanto i relitti possano assicurare buone ferrate.
Abbondanti sono invece i nudibranchi, affascinanti nella loro miniaturizzazione, in facile posa per un attento fotografo. A proposito, a parte qualche problema di consumi, la mia modella se la sta cavando tutto sommato bene, e mi permette degli scatti d’ambiente non limitati alle sole tristi lamiere; in ogni caso però non credo che sarà mai il mio tipo…
Il tempo a noi concesso però è ormai finito e lentamente risaliamo lungo la sagola verso la nostra imbarcazione. Prima di arrivare alla sosta di sicurezza, ci giriamo un’ultima volta ad ammirare i poveri resti dello splendido piroscafo, da 100 anni ormai divenuto una nave perduta, ora ritrovata affinché gli uomini possano goderne la vista, ma anche ricordare ed imparare dagli errori del passato.