di Cesare Balzi – foto di Davide Barzazzi
Un team di subacquei, grazie all’utilizzo dei trascinatori, ha svolto l’esplorazione di entrambe le parti del relitto, distanti tra loro oltre trecentotrenta metri al largo delle coste istriane.
«Rossarol uno e Rossarol due – mi spiegò a fine giugno Andrea Grabrovic, descrivendomi su quali relitti avremmo potuto sviluppare l’addestramento del suo successivo corso trimix normossico – sono rispettivamente la prora e la poppa», precisò. Una volta rientrato al Diving Center Shark di Medulin, dove da qualche mese conducevo corsi tecnici, mi soffermai ad osservare la bacheca all’ingresso con i disegni dei profili delle immersioni proposte dal centro. «Due immersioni distinte – pensai – ma quanto distano tra loro i relitti?» chiesi a Davor, il titolare del centro. In breve mi era balenata nella mente l’idea di un’immersione singolare e, da lì a poco, avrei avuto una risposta.
L’organizzazione delle immersioni.
Davor accese lo strumento cartografico sulla consolle della nuova barca e visualizzò l’area a est di Medulin, dove giacciono oggi le due parti del relitto. Non conoscendo bene la zona, attendevo al suo fianco con ansia la risposta. Posizionò con attenzione il cursore prima sul punto del relitto più a nord e poi su quello più a sud. «Trecentotrenta metri la distanza tra loro – e aggiunse – quarantanove la profondità». Lo guardai sorridendo con grande soddisfazione. «Allora si può fare – dissi entusiasta all’idea di svolgere l’esplorazione di entrambe le parti durante una sola immersione – con gli scooter ci trasferiremo da una parte all’altra!». Mi guardò con aria di sospetto, un sorriso misto tra diffidenza e sorpresa. All’inizio di agosto arrivò l’occasione per proporre il mio progetto a precedenti compagni di esplorazioni e spedizioni. Dopo aver inviato una mail, confidando in un data base di istruttori e subacquei affiatati ed intraprendenti, in meno di un’ora arrivarono le prime adesioni da parte di Alessandro, esperto di trascinatori subacquei e della loro programmazione, Michele, per le documentazione video, Luca, disponibile a farsi carico della gestione della sicurezza, Livio, una macchina logistica inesauribile e Matteo che si offrì di affiancare Alessandro nella gestione degli scooter. A questi si aggiunsero poco dopo, Andrea di Medulin, guida subacquea del Diving Center Shark e Davide, che si incaricò di realizzare il servizio fotografico.
I veicoli di propulsione subacquea.
Assicurata la partecipazione di un ottimo team di subacquei, per riuscire a realizzare al meglio e senza intoppi le immersioni, era necessario avere la garanzia di mezzi subacquei con caratteristiche di potenza e facilità di utilizzo, ma soprattutto affidabilità e sicurezza. La scelta ricadde su un trascinatore di ultima generazione, il Teseo Trs, che avrebbe permesso nel corso dell’esplorazione di ottimizzare al meglio il tempo sott’acqua imposto dalle rigide regole della decompressione e della sicurezza in immersione. Ma vediamo nel dettaglio cosa si intende per «trascinatore», ovvero un mezzo subacqueo, che genera sempre più curiosità nell’ambiente e che grazie alla sua funzione è diventato indispensabile per portare a termine, in sicurezza, le moderne esplorazioni subacquee. Denominato in inglese DPV, il Diver Propulsion Vehicle, chiamato anche maialino o scooter subacqueo, è un veicolo usato durante le immersioni per facilitare gli spostamenti a lungo raggio ed aumentare così l’area di esplorazione. Consiste in un oggetto dalla forma idrodinamica, dotato di un motore elettrico racchiuso in un guscio plastico e alimentato da una batteria. In immersione mantiene un assetto neutro e l’elica, progettata in modo da non risultare pericolosa né per il subacqueo né per l’ambiente, è racchiusa in un involucro che ha la funzione di convogliare il flusso d’acqua. Era il 1935 quando dall’ingegno di Elio Toschi e Teseo Tesei nacque il SLC (Siluro a Lenta Corsa). Il primo esemplare venne sottoposto alle prove in vasca a partire dal 26 ottobre 1935 per poi prendere il mare a novembre dello stesso anno. Sembra tuttavia che all’inizio, a causa del loro particolare impiego, questi mezzi presentassero qualche guasto agli impianti e fu forse proprio a causa di questo aspetto che furono ribattezzati con il nomignolo sotto il quale gli SLC sono oggi universalmente noti. Sembra che Tesei nel corso di un addestramento finalizzato al superamento di una rete, infastidito dai continui problemi del mezzo, abbia ordinato al suo secondo pilota di «legare il maiale»: da quel momento l’SLC divenne per gli operatori dei mezzi d’assalto semplicemente «il maiale», utilizzato in seguito dagli incursori della Marina Militare italiana durante la seconda guerra mondiale per numerose operazioni di sabotaggio in occultamento. La filosofia progettuale attuale della gamma di trascinatori in commercio, intende sviluppare macchine estremamente compatte, potenti e maneggevoli. Utilizzano componenti meccanici ed elettronici di alto contenuto tecnologico, un motore a magneti permanenti dedicato e un riduttore epicicloidale di grande qualità che li rendono potenti e silenziosi. Oggi questi veicoli sono indispensabili per lunghi spostamenti e quindi ecco il motivo per cui vengono spesso impiegati nelle immersioni in grotta e in quelle tecniche, contribuendo a muovere in acqua la pesante attrezzatura necessaria per questo tipo di esplorazioni. Il loro impiego riduce sia il tempo di fondo necessario all’esplorazione che, di conseguenza, quello per la decompressione, contribuendo così ad un sensibile aumento dei margini di sicurezza. Sono generalmente piccoli e maneggevoli, ed il subacqueo viene «trascinato» in modo idrodinamico opponendo poca resistenza all’acqua e conservando una maggiore autonomia. Appositi corsi, sia ricreativi che tecnici, sul loro utilizzo, tuttavia, sono fortemente consigliati, in modo tale da apprendere, sotto la supervisione di un istruttore qualificato, la corretta postura in acqua, il giusto assetto e le procedure d’emergenza dedicate.
L’immersione con i DPV.
Il momento propizio per le nostre immersioni arrivò alla fine di agosto. Le ottime previsioni meteorologiche, indispensabili per condurre in sicurezza dalla superficie le immersioni tra i due relitti, ci fecero partire alla volta della Croazia. Arrivati al Diving Center Shark di Medulin avviammo con la dovuta concentrazione le oramai consolidate procedure che precedono le immersioni tecniche: analisi delle miscele trimix e nitrox, assemblaggio e configurazione delle attrezzature, pianificazione delle immersioni, calcolo dei profili decompressivi e gestione delle scorte di gas, a cui si dovevano aggiungere la programmazione, attraverso PC e software dedicato, della scheda elettronica per il controllo completo dei «trascinatori», l’inserimento dei pacchi batterie attraverso la slitta di estrazione rapida e la loro chiusura. Una volta a bordo del nuovo catamarano del diving, come promesso da Davor, notammo con soddisfazione la presenza di un comodo elevatore, avente la funzione di far risalire in barca i subacquei al termine dell’immersione. Pensai che al termine di quel fine settimana, grazie anche alla presenza all’interno del team di qualche «peso piuma», dotati di bibombola, due o tre bombole decompressive e scooter, lo avremmo di certo collaudato! Stabiliti gli incarichi, come di consuetudine, già dalla sera precedente, focalizzai il briefing pre immersione alle sole modalità nautiche che avremmo dovuto seguire per collegare le due parti del relitto. Arrivati sul punto il primo capo di una sagola da cinquecento metri, venne portato da una coppia di subacquei sulla prora del relitto del «Rossarol» e collocato nelle vicinanze del punto di arrivo della cima del pedagno, in modo tale che fosse visibile anche in condizioni di scarsa visibilità. In superficie, disposi che la barca si spostasse molto lentamente in direzione della seconda boa, quella che segnalava il secondo relitto, dandoci il tempo di dispiegare il rullo con la rimanente sagola. Arrivati sul secondo punto e tagliata la parte in esubero, un’altra coppia scese a posizionare il secondo capo della sagola sulla poppa del relitto, fissandolo sempre in prossimità della cima del pedagno. Al termine il mio disegno si era realizzato ed ora un agevole e sicuro percorso era steso tra le parti dei due relitti, un paio di metri rialzato dal fondale. A questo punto, le coppie con i trascinatori iniziarono la discesa sulla parte prodiera del «Rossarol», quella che presenta oggi, lo scafo rovesciato, con il ponte di coperta adagiato sul fondale e la chiglia rivolta verso l’alto. La cima di discesa si trovava fissata sulla spaccatura dello scafo e giunti in questa zona il primo team riuscì a percorrere tutta la chiglia, per una lunghezza di 25 – 30 metri, fino ad arrivare all’estremità opposta dove riconobbe, collocata a poco dal fondo, la Stella d’Italia a cinque punte, fissata ancora sul dritto di prora! Entrando nell’estrema parte prodiera, in prossimità di dove era una volta alloggiato l’equipaggio, secondo la visione degli schemi, notarono alcune scale fissate ancora all’orditura principale dello scafo. Addentrandomi invece nel corso di immersioni successive dalla spaccatura, incontrai un consistente numero di proiettili di grosso calibro e cariche di lancio, ancora alloggiati nelle loro sedi originarie e sicuramente appartenenti ai sei cannoni da 102/45 mm che avevano a disposizione 135 colpi ciascuno. In questa zona dovevano trovarsi anche le sistemazioni dell’equipaggio, un locale marinai sotto il castello, con lavatoi docce e latrine ad estrema prora; l’alloggio fuochisti e il quadrato sottufficiali di coperta che erano sotto il ponte di coperta sempre verso prora, ma di tutto ciò nulla oggi è più identificabile. Al termine dell’esplorazione di quest’area iniziò il tragitto di trasferimento di 336 metri da una parte all’altra, seguendo la sagola guida posizionata secondo le già descritte procedure. «Anche con la cima non è stato così facile – mi descrisse Alessandro una volta in barca al termine della prima immersione – il fondo è tutto sabbioso, assolutamente piatto e monotono – continuò il subacqueo del primo team – con questa visibilità ridotta si naviga vedendo non oltre 2 o 3 mt di sagola bianca e il contorno è tutto uniformemente verde». Matteo che invece seguì Alessandro come riferimento aggiunse: «Il tempo per percorrere il tragitto, mantenendo la velocità a due terzi, è di 9 minuti, ma vedrai che dopo 4 – 5 minuti effettivamente la visione inizia a risentirne». Mi confermarono che sulla linea percorsa non avevano notato altri resti della nave, poiché come anticipato da Andrea del diving center, si trovano oggi spostati verso terra rispetto alla traiettoria da noi tracciata. Studiando i piani generali di costruzione, notammo, infatti, come sia sul relitto di prora che su quello di poppa, non fosse presente il castello che sosteneva, sulla parte a poppavia, la sala del carteggio e la stazione radiotelegrafica e al disopra del quale si doveva trovare il ponte di comando. Dietro questa struttura si elevavano anche due grossi fumaioli, di cui quello prodiero più alto di almeno un metro, probabilmente adagiati oggi nell’area circostante le parti del relitto. Sulla poppa, nelle vicinanze della cima di discesa, il secondo team attendeva l’arrivo del primo. Eravamo intenti a cogliere qualche scatto, nel corso della prima immersione, intorno al telemetro contenuto all’interno di un supporto a traliccio, quando un sibilo leggero di eliche attirò la mia attenzione. Ci avvicinammo allora al punto in cui era fissata la sagola e cercai di scrutare fino a dove l’occhio poteva arrivava. Per comunicare al team, che si avvicinava con i DPV, che la meta era prossima, cercai di illuminare con la torcia la sagola bianca, riducendo l’apertura del fascio di luce, in modo da essere visibile da più lontano. Da li a poco scorsi la luce delle loro torce e poi anche le sagome che, avvicinandosi, si delineavano maggiormente. Una volta riuniti i due team sul ponte di poppa, scambiammo un reciproco e programmato controllo delle scorte di gas. Una volta accertato che i consumi erano stati quelli previsti, proseguimmo con grande soddisfazione la documentazione fotografica del resto del relitto posizionandoci prima sull’affusto del cannone da 102/45 mm e poi su quello della mitragliera Vickers da 40/39 mm. Il rimanente tempo di fondo programmato, lo trascorremmo a documentare il timone in compensato e l’elica di dritta in bronzo che fuoriesce dal fondale sabbioso. Al termine il «run time» totale della prima immersione raggiunse 88 minuti, ai quali seguirono inevitabilmente profili decompressivi più lunghi nel corso delle successive giornate.