Autore: Leda Masi
Autore foto: Alexander Mustard
I FILTRI – INTRODUZIONE
La luce è la materia prima della fotografia ed è necessario conoscerne le caratteristiche per sfruttarle al fine di ottenere risultati corretti e gradevoli.
La luce che noi vediamo e che usiamo per fotografare è composta da radiazioni di diversa ampiezza e lunghezza d’onda. L’ampiezza dell’onda determina l’intensità della luce, mentre la lunghezza d’onda il colore. Il colore di un oggetto è determinato dal tipo di luce che lo colpisce; ma la luce cambia al variare delle condizioni: l’ora del giorno, per esempio influisce sulla penetrazione delle radiazioni nell’atmosfera, così che al tramonto la luce sarà rossa o dorata, poiché le radiazioni rosse riescono a penetrare maggiormente nell’atmosfera, mentre a mezzogiorno o con nuvolosità diffusa tenderà più verso l’azzurro, perché le radiazioni del rosso verranno maggiormente filtrate, e quelle del blu riusciranno a penetrare. La combinazione delle diverse lunghezze d’onda determina la temperatura colore di una sorgente luminosa.
L’occhio umano si fa facilmente ingannare, perché il nostro cervello ha delle informazioni già immagazzinate, ed è in grado di compensare le differenze e riequilibrare le dominanti. . Ad esempio: il nostro cervello “sai che il limone è giallo, per cui, quando osserviamo un limone in cucina, sotto una luce al neon, lo vediamo giallo, nonostante la temperatura colore della sorgente luminosa sia alta, tendente al blu e quasi priva di radiazioni rosse. Contrariamente all’occhio umano, la pellicola non può fare questi aggiustamenti, registra esattamente le radiazioni presenti sulla scena, e non le interpreta, alla luce dell’esperienza: se la pellicola è tarata per la luce diurna, “vedrai il nostro limone verdastro, e le candide piastrelle della cucina diventeranno di un bell’azzurro!
Quando si usa una pellicola tarata per una data temperatura colore con una sorgente luminosa di differente temperatura, o quando le condizioni ambientali alterano sensibilmente la temperatura della luce disponibile (alba, tramonto, neve, acqua…) l’immagine sarà affetta da vistose e sgradevoli dominanti, blu se la temperatura della luce è più alta di quella prevista dalla pellicola, e rosse se più bassa.
In presenza di disequilibri cromatici, o di forti dominanti di colore, si utilizzano dei filtri per correggere la temperatura della luce.
I principali sono i filtri di conversione e i filtri di correzione colore.
I primi “convertono” la sensibilità cromatica della pellicola: quelli della serie blu permettono di usare in luce artificiale pellicole tarate per luce diurna, compensando le dominanti rosse, mentre quelli della serie arancio consentono l’uso di pellicole tarate per luce artificiale in luce diurna, compensando le relative dominanti azzurre.
I filtri di correzione, comunemente detti CC, compensano le dominanti cromatiche portate da una sorgente luminosa diversa da quella per cui la pellicola è tarata. Il loro uso è estrememamente complesso e normalmente ci si regola un po’ “a occhio��? e utilizzando due o tre filtri considerati standard; questi filtri sono disponibili nei colori ciano, magenta, giallo, rosso, verde e blu, hanno densità crescenti espresse in punti. Un filtro CC20M è un filtro Magenta con densità 20, CC40Y avrà densità 40 e colore giallo, e via di seguito. Sono forniti in tarature standard, da 05 a 50 normalmente, per ognuno dei sei colori.
Tutti i filtri producono un leggero slittamento del fuoco e una diminuzione della luce che arriva sulla pellicola, proporzionale alla densità e richiedono quindi un aumento dell’esposizione detto fattore filtro, indicato da un numero seguito da una x: un filtro 2x richiederà allora un raddoppio dell’esposizione, cioè aprire di uno stop; 1.5x corrisponde a ½ stop e così via.
Le moderne macchine digitali hanno, rispetto alla pellicola, una “marcia in più”, per aiutare nella gestione delle dominanti: il bilanciamento del bianco. Questo può essere del tutto affidato alla macchina o gestito manualmente dal fotografo; nel primo caso la macchina legge la temperatura colore della luce e cerca di equilibrare lo spettro per recuperare l’equilibrio cromatico. Il problema è che i sensori sono tarati più per correggere le radiazioni rosse in eccesso (cosa più frequente nella fotografia non subacquea) che quelle blu, con le quali invece ci troviamo a lottare sott’acqua. Oltre un certo livello quindi non ce la fanno e il risultato sono colori falsi, rossi troppo accesi, inventati dalla fotocamera. Nel caso del bilanciamento manuale, invece, è il fotografo che dice alla macchina: “vedi? Questo è bianco��? e la macchina registra quel valore come bianco, regolando poi di conseguenza le sue correzioni. Anche questo sistema, sebbene più sicuro, non è perfetto. Arriverà il momento in cui il bilanciamento del bianco andrà nel panico. L’uso di filtri può aiutare la macchina nei suoi calcoli.
Sappiamo tutti che sott’acqua ci troviamo spesso a combattere con fastidiose dominanti azzurre.
Ciò è dovuto all’effetto filtro dell’acqua, che assorbe gradualmente la luce con lunghezza d’onda maggiore (i rossi, i gialli, gli arancioni) e lascia penetrare solo quelle radiazioni di lunghezza d’onda minore, e quindi maggiormente energetiche, che sono poi l’azzurro, il verde, il blu.
Normalmente sopperiamo alla mancanza delle radiazioni colorate con l’uso del flash, una fonte luminosa puntiforme e molto potente, in grado di restituire all’immagine uno spettro bilanciato, contenente cioè tutte le lunghezze d’onda nella giusta misura. Talvolta però l’uso del flash si rivela insoddisfacente, per vari motivi. Un problema con il flash è che la portata del fascio luminoso è limitata, per cui ci troviamo a volte con un soggetto in primo piano ben illuminato e sufficientemente saturo contro uno sfondo scarsamente illuminato; la luce del flash deve percorrere la distanza fra la macchina e il soggetto e viceversa, e questa distanza si traduce per noi in perdita di intensità luminosa, proporzionale alla distanza percorsa, cosa che ci costringe comunque a limitare la colonna d’acqua fra noi e il soggetto. Inoltre, in presenza di forte sospensione, la luce del flash si riflette sulle particelle e rientra in macchina, causando antiestetiche macchie luminose sull’immagine; in questi casi è utile brandeggiare il flash in modo da angolarlo opportunamente e risolvere il problema riducendo la quantità di luce riflessa dalle particelle, ma in situazioni estreme non rimane altra soluzione che evitare del tutto il suo utilizzo. Altro problema con il flash è riuscire a dosare il suo utilizzo per combinarlo armoniosamente con la luce ambiente.
Quanto detto prima sull’uso dei filtri per correggere le dominanti cromatiche sembrerebbe non valere sott’acqua, dal momento che si usano flash molto potenti in grado di restituire i colori dell’immagine, e anche a causa dell’assorbimento di luce che provocano: sott’acqua la luce non è mai abbastanza! Al limite si può pensare di usare filtri colorati sul flash o sull’obiettivo per ottenere effetti creativi, oppure di utilizzare leggeri filtri colorati per correggere la temperatura colore degli illuminatori qualora risulti troppo calda o fredda.
Invece ci sono situazioni e occasioni in cui l’uso di filtri, di correzione e o di conversione, possono rivelarsi utili e risolutivi. L’articolo che segue, a firma di A. Mustard, è tratto da UWP Magazine, una rivista on-line che tratta di fotografia subacquea. Mi ha incuriosito la tecnica che l’autore propone: l’uso di filtri colorati in alternativa al flash; tecnica valida naturalmente solo a profondità modeste, ma che può aiutare in molte situazioni e dare soddisfazione anche senza l’uso di complicati equipaggiamenti. La validità della tecnica illustrata è limitata quasi esclusivamente alle fotocamere digitali, che possono sfruttare il meccanismo del bilanciamento del bianco; nel caso della pellicola la taratura dell’emulsione, unita all’effetto filtro dell’acqua, la rendono pressoché inutilizzabile.
Ho tradotto l’articolo e ve lo propongo:
FILTER FULFILMENT – di ALEXANDER MUSTARD
Nell’articolo apparso su UWP magazine n° 11, P. Peter Rowlands ci spiegava i vantaggi dell’uso di filtri colorati come alternativa all’uso del flash. Lo scopo del mio articolo è di trasmettere le mie idee su come ottenere il massimo dalla combinazione di filtri e fotocamera digitale.
I filtri di correzione colore (CC) sono stati impiegati per decenni in fotografia. Sui testi degli anni sessanta si trovano moltissime informazioni sui filtri, ma, leggendo fra le righe, si arguisce che erano popolari in fotosub poiché la fotografia subacquea con il flash era, quando andava bene, “capricciosa” e, al peggio, pericolosa.
Anche i fotografi più esperti si trovavano in difficoltà a trovare l’esatto colore desiderato, colori che noi oggi facilmente otteniamo con il flash. Da quando sono disponibili i flash elettronici la popolarità dei filtri è andata calando.
LA TEORIA
Un filtro CC si usa sott’acqua per attenuare le radiazioni indesiderate e trasmettere quelle volute per contrastare l’effetto filtro dell’acqua. Un filtro corretto bilancia l’intero spettro di radiazioni, recuperando quelle lunghezze d’onda che normalmente recuperiamo con la luce del flash.
Importante è ricordare che i filtri, sia che parliamo dell’acqua che di quelli montati sull’obiettivo, lavorano per sottrazione, cioè possono solo eliminare le lunghezze d’onda indesiderate. Così facendo, riducono la luce disponibile.
Ad esempio, in acque chiare il rosso, il giallo e l’arancio si attenuano gradualmente e lo spettro risultante tende al ciano/blu. Per neutralizzare questo fenomeno dobbiamo aggiungere un filtro rosso, che assorbe tutto quel blu in eccesso, e riequilibra lo spettro (sebbene con un’intensità minore di quella che avremmo con la luce originale)
La ragione per cui questa tecnica non è mai particolarmente efficace su pellicola è che il filtro esatto per correggere lo spettro dipende da quale lunghezza d’onda è stata assorbita [e da quale pellicola si sta usando: le pellicole per luce diurna sono normalmente tarate per essere particolarmente sensibili ai rossi, e in questo caso un filtro rosso provocherà uno slittamento verso il rosso che renderà i rossi “troppo” rossi (n.d.t.)]. La quantità di radiazioni assorbite dall’acqua è funzione principalmente della distanza che la luce percorre nell’acqua per raggiungere la fotocamera.
figura 1 – il percorso della luce dalla superficie alla fotocamera
Questo percorso cruciale si misura dalla superficie al soggetto e alla camera, ed è quindi la somma delle due distanze. Per fortuna alcuni fotografi hanno empiricamente elaborato una formula per la scelta del giusto filtro: ad esempio, in acque tropicali (azzurre e trasparenti) abbiamo bisogno di 12 unità CC di rosso per ogni metro di “percorso-luce��? (per ogni metro che la luce percorre per arrivare in camera). Così a tre metri dalla superficie, fotografando da una distanza di 0.3 metri dal soggetto avremo bisogno di un filtro CC40R. L’esatto dosaggio del filtro dipenderà molto dalle locali condizioni di illuminazione, ma questo può essere un buon punto di partenza.
A questo punto avrete intuito che esiste un particolare filtro per ogni specifica profondità (o meglio per ogni specifico “percorso-luce��?). Questa mancanza di flessibilità è la reale debolezza del sistema filtri usato con la pellicola. Inoltre il sistema “chimico” non riesce a reagire ad altri ulteriori fattori che possono modificare la temperatura colore della luce, quali differenze nella qualità dell’acqua o cambiamenti nella quantità o qualità della luce in superficie (nubi, mutamento dell’angolo di incidenza della luce, ecc).
Con un sistema digitale si può invece facilmente ovviare al problema. Le macchine digitali sono dotate di un meccanismo, il bilanciamento del bianco, pensato per reagire ai cambiamenti della temperatura colore della luce. Questo aggiunge flessibilità alla tecnica dei filtri, rendendoli una reale alternativa al flash.
ATTREZZATURE
Cosa piuttosto insolita nel campo della fotografia subacquea, questa tecnica non richiede grandi attrezzature: lasceremo a terra flash, braccetti e cavetti. Il solo nuovo acquisto è un filtro.
Come punto iniziale consiglierei un filtro in gelatina CC (come ad esempio la serie Wratten della Kodak), che può essere ritagliato per adattarsi davanti o dietro l’obiettivo preferito. Normalmente si suggerisce l’uso di filtri Magenta per acque più profonde o verdastre e uno rosso per acque più turchesi e meno profonde. Per determinare la densità necessaria basterà rifarsi alla regola dei 12 punti per ogni metro percorso dalla luce. Ma dal momento che l’uso dei filtri nella fotografia digitale subacquea è decisamente agli inizi, sarà necessario fare delle prove per trovare la configurazione più adatta per la specifica macchina, le condizioni locali e la profondità d’immersione.
Il fatto poi di poter vedere le immagini subito dopo l’immersione faciliterà l’individuazione del filtro più adatto. Un’alternativa alle gelatine può essere il filtro di conversione della serie ambra [usato di solito per compensare la dominante azzurra data da un’illuminazione fluorescente con pellicole daylight. n.d.t.], oppure i filtri della serie UR PRO, [filtri equilibratori della temperatura colore, di colore rosso intenso, pensati specificatamente per utilizzo subacqueo e in grado di trattenere gran parte della radiazione azzurra presente sott’acqua n.d.t.].
BILANCIAMENTO DEL BIANCO E RAW
Il bilanciamento del bianco è semplicemente un’elaborazione dell’immagine che la fotocamera compie, modificando leggermente i colori per compensare gli squilibri nella temperatura colore della luce; quando questa funzione è impostata su AUTO la camera misura la temperatura della luce disponibile e altera i colori per rendere il giusto punto di bianco. Di solito funziona abbastanza bene. [alcune fotocamere dispongono di numerose impostazioni predefinite del punto di bianco, quali “nuvoloso��?, “luce al tungsteno”, “luce fluorescente” in diverse temperature; è un po’ come cambiare pellicola a seconda della luce disponibile, per avere sempre la giusta emulsione per ogni illuminazione. n.d.t.]. Sott’acqua, se siamo molto distanti dal soggetto la dominante blu sarà sensibile: il bilanciamento del bianco in modalità AUTO può rilevare questo slittamento sul blu e rimuoverlo; questo è il motivo per cui con una macchina digitale possiamo tenere una distanza dal soggetto maggiore, cosa che fa felici i neofiti.
Personalmente suggerisco di impostare il bilanciamento del bianco su AUTO e scattare in RAW, per iniziare. Utilizzando il formato RAW i settagli di bilanciamento del bianco non influiscono sui dati memorizzati, ma solo sull’immagine visualizzata sul display. Il RAW permette di regolare manualmente, a posteriori, sul pc di casa, il giusto punto di bianco, se il risultato non è soddisfacente. I cambiamenti apportati alla temperatura colore su un file RAW sono meno distruttivi di modifiche simili apportate tramite software su un JPG o TIFF. Questo perché stiamo in realtà modificando i dati originali, “grezzi”, prima della conversione in altri formati. I software di conversione, come Adobe Camera Raw, forniscono i controlli per la correzione. Molti fotografi preferiscono scattare con il bilanciamento su auto e poi fare aggiustamenti fini in questo modo, senza l’influenza dell’aria compressa. Io preferisco un approccio leggermente differente. Tengo con me un plastichino grigio medio per determinare manualmente il mio personale bilanciamento del bianco per le specifiche condizioni di scatto. Mostro il plastichino alla camera, la mia macchina sa già come dovrebbe apparire il grigio e calcola un bilanciamento del bianco comparando ciò che vede con ciò che si aspetta. Poi uso questo settaggio per gli scatti successivi. Altre macchine riconoscono oggetti bianchi, dipende da come sono state programmate.
Questo bilanciamento manuale funzionerà naturalmente solo a quella determinata profondità e condizioni, per cui se salite o scendete di più di un metro, cambiando così il percorso della luce bisognerà fare un nuovo bilanciamento; la calibrazione richiede comunque circa 10 secondi. Ma se la variazione di profondità è minore di un metro, tendo a non ricalibrare ed eventualmente correggere dopo, via software.
Ma, se la regolazione manuale del bilanciamento e la possibilità di intervenire sui file RAW mi danno tutto questo controllo sulle immagini, allora posso fare a meno dei filtri? No, non del tutto.
Sebbene possiamo fare tutte le correzioni che vogliamo, avremo sempre una riduzione della qualità finale; molto meglio avere la giusta temperatura colore della luce prima che questa vada a “impressionare” il sensore, regolando il bilanciamento del bianco. Ciò significa avere il filtro giusto, che aiuta il bilanciamento a fare meglio il suo lavoro.
Detto ciò, ovviamente, se hai montato il filtro sbagliato, e passa una coppia di squali balena in corteggiamento, scatta. Ti preoccuperai dopo del bilanciamento del bianco!
ILLUMINAZIONE
L’illuminazione per scatti in luce ambiente sott’acqua è simile a quella a terra e del tutto differente dall’illuminazione della normale fotografia subacquea in grandangolo. Quando scattiamo con il grandangolo, di solito, inquadriamo leggermente verso l’alto, per aumentare il contrasto del soggetto sullo sfondo. Il soggetto è quindi spesso ripreso in silhouette, e normalmente lo illumineremo con un colpo di flash per riempire le ombre e illuminare i dettagli. Usiamo l’apertura e la potenza di fuoco del flash per controllare l’esposizione e bilanciare la luce emessa dal flash con la luce ambiente, che controlliamo invece con l’apertura e la velocità di scatto.
Usando un filtro in luce ambiente la sola luce che abbiamo a disposizione è quella del sole. E’ importante posizionarsi con attenzione per catturare la maggior quantità di luce e fare in modo da avere la luce proveniente da dietro per illuminare la scena che vogliamo riprendere. Le ombre possono essere molto marcate nella forte luce tropicale e formare antiestetiche e larghe zone scure, così bisognerà studiare con cura la composizione dell’immagine per evitarle. La fotocamera leggermente angolata verso il basso può aiutare a ridurre le ombre, perché la luce viene giù dall’alto. Un altro suggerimento è di cercare di scattare su sabbia chiara, che è una buona fonte di luce riflessa, di aiuto per l’illuminazione e per schiarire le ombre troppo nette.
Un ultimo avvertimento: ricordarsi di controllare la posizione della propria ombra. Con un grandangolo, e il sole alle spalle, è una trappola in cui frequentemente si può cadere: quanti scatti sono rovinati dall’ombra del fotografo che è rimasta inclusa nella scena!
Come spiegato sopra, nella fotografia col flash controlliamo l’esposizione di primo piano e sfondo quasi indipendentemente. Con la sola luce ambiente questo è impossibile, perché la fonte luminosa è una sola. Il metodo migliore per controllare l’esposizione dello sfondo è modificare l’angolo di ripresa. Un’inquadratura verso il basso catturerà il blu scuro dell’acqua più profonda, inevitabilmente più scura del soggetto, mentre un’inquadratura verso l’alto restituirà uno sfondo ciano o turchese molto luminoso.
L’ultimo consiglio a proposito dell’illuminazione è relativo alla profondità, perché questa dei filtri è una tecnica principalmente dedicata ad acque poco profonde e funziona al meglio nei primi 10 metri. Andando più profondi, non solo c’è una maggiore dispersione della luce, ma l’effetto filtro dell’acqua si fa più forte e avremo bisogno di filtri più densi per eliminare tutto quel blu. E questo lascia veramente poca luce per fotografare. Le fotocamere digitali cercano di venirci in aiuto, aggiungendo del rosso, il che funziona fino a un certo punto, ma queste bugie digitali presto o tardi vi rovineranno una fotografia.
PROFONDITA’ DEL COLORE
Secondo me, la possibilità di avere colori densi e saturi anche a notevole distanza dalla fotocamera è uno dei vantaggi maggiori dell’uso di filtri, rispetto all’uso del flash. Un’immagine scattata con l’ausilio di un filtro opportuno ha colori vividi che si estendono più in profondità rispetto a una ripresa con il flash.
La ragione di questa differenza appare evidente quando si considerino le distanze relative.
figura 2 – diversi percorsi della luce con il flash e i filtri
Guardiamo la figura 2: se pensiamo a un relitto a una profondità di 5 metri, con la camera posizionata a 0.5 metri di fronte alla prua, la cabina si troverà diciamo a 1.5 metri dalla fotocamera. Se utilizziamo un filtro il percorso che la luce compie dalla superficie per arrivare in macchina è 5.5 metri per la prua e 6.5 per la cabina, solo 0.2 volte più lungo del primo.
Con il flash il percorso che la luce deve compiere è dato dalla somma delle distanze dal flash al soggetto e ritorno. Così, nella situazione di prima, avremo 1 metro per illuminare la prua e 3 metri per la cabina, ben 3 volte! Di conseguenza avrò lo sfondo molto meno colorato del primo piano.
Questa maggiore profondità del colore significa che con i filtri avremo immagini che difficilmente otterremmo con il flash. Oltre al potenziale creativo che possono avere i filtri, questa differenza fa di questi strumenti un ottimo aiuto per fotografare grandi ambienti, anche in condizioni di scarsa visibilità.
Possiamo esagerare questo effetto anche di più se scegliamo soggetti che si allontanano da noi verso l’alto. Se guardiamo ancora una volta la figura 2, la cabina risulta in realtà meno profonda della prua, il che accorcia il percorso che la luce deve compiere per arrivare in macchina, e riduce la differenza fra le due distanze. Se il relitto fosse inclinato a 45° verso l’alto i colori sarebbero vivi e saturi fin quasi alla superficie, perché il percorso sarebbe praticamente lo stesso del primo piano (aumenta la distanza da percorrere fino alla fotocamera, ma diminuisce quella dalla superficie).
CONCLUSIONI
L’uso di filtri ci consente di eliminare l’eccesso di bagaglio che implica la fotografia subacquea con flash. I trabocchetti della fotografia con flash hanno reclamato molte mie fotografie che apparivano come vincenti nel display! Certamente la prospettiva di essere liberi dai problemi di TTL, puntamento, sospensione, numeri guida, cavetti sicro, tempi di sincronizzazione ecc. è allettante! Ma la vera promessa di questa tecnica è la reale differenza nell’illuminazione che possiamo ottenere, che ci consente di ottenere in digitale immagini difficilmente ottenibili su pellicola.
Alexander Mustard –
Bene, il mio lavoro finisce qui. Aggiungo solo una postilla: come si sarà capito la tecnica descritta è adatta esclusivamente ad acque poco profonde. L’utilizzo dei filtri di correzione CC è utile nei primi 5 metri, mentre il filtro UR Pro lavora più in profondità, e dà il suo meglio fra i 5 e i 9 metri. Si possono “tirare��? questi limiti di un paio di metri, utilizzando il bilanciamento del bianco, sempre che le condizioni luminose siano accettabili (cielo sereno e sole a picco).
Tutte le immagini sono riprodotte per gentile concessione dell’autore, Alexander Mustard, e sono di sua proprietà. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle foto presenti in questo articolo, senza il consenso dell’autore.