Autore: Leda Masi
Parliamo della nostra nuova mascotte: il delfino ZIGGY.
Ziggy è un tursiope, quindi parleremo approfonditamente di loro, ma senza tralasciare i delfini in genere. Il delfino è un animale così interessante e simpatico che non riuscivo più a smettere di scriverne.
Ma basta parlare di me! Parliamo di lui, di….
ZIGGY!
CONOSCIAMOLO MEGLIO…
Nome: Ziggy
Nome comune: Tursiope
Ordine: Cetacea
Sottordine: odontoceti
Famiglia: Delphinidae
Genere: Tursiops
Specie: truncatus
Probabilmente il più conosciuto fra le specie di delfini, il tipico delfino che vediamo negli acquari, quello che meglio si adatta alla cattività (ma siamo proprio sicuri che ci piaccia vederlo in cattività?). E’ anche quello di mole più massiccia: può raggiungere i 4 metri di lunghezza e i 300 kg di peso. Un bel bestione! Malgrado la stazza è un nuotatore agilissimo, dai movimenti eleganti: raggiunge facilmente i 30 Km/h e si esibisce spesso in salti che possono raggiungere un’altezza pari a tre volte la lunghezza del suo corpo.
È un giocherellone e ama “surfare” sulle onde in prossimità delle prue delle barche. È inoltre un validissimo apneista: riesce infatti a raggiungere profondità fino a 600 mt, resistendo sott’acqua anche 8 minuti!
Si riconosce facilmente dai cugini (stenelle, delfini comuni….) oltre che per la mole, per la forma particolare del rostro, piuttosto tozzo e per la forma meno slanciata del suo corpo. Il nome inglese “Bottlenose Dolphin” fa riferimento appunto alla forma del rostro.
La colorazione va dal grigio scuro al quasi nero, con il ventre e i fianchi chiari.
L’areale di distribuzione è vastissimo: lo troviamo in quasi tutte le acque del mondo, tranne quelle polari.
L’ambiente più frequentato è quello costiero, acque basse delle lagune, estuari ed atolli, per brevi periodi può spingersi anche in acque dolci. Ne esiste una varietà “pelagica” che vive in mare aperto, si spinge a centinaia di miglia dalla costa, dove vive associato in enormi branchi costituiti da centinaia di esemplari.
Animale piuttosto longevo, la sua aspettativa di vita si aggira intorno ai 40 anni, che diventano molti meno, purtroppo, quando è tratto in cattività.
Si ciba principalmente di pesci, ma si adatta anche a mangiare calamari, seppie, polpi e anche crostacei. Talvolta ruba il pesce dalle reti da pesca, e non disdegna nemmeno gli scarti gettati in acqua dai pescatori.
Stupefacente è poi la sua intelligenza: il suo coefficiente di encefalizzazione (rapporto tra il volume del cervello e la superficie corporea) è di 5.6. Per dare un metro di paragone, quello dell’uomoè di 7.5, mentre lo scimpanzè si deve accontentare di un 2.5!
Oltremodo affascinante il suo comportamento sociale: generalmente vive in gruppi familiari composti da 5 a 10 esemplari, cui si aggiungono i piccoli non ancora svezzati. Il gruppo di base è formato da femmine adulte. Spesso i piccoli del gruppo vengono accuditi da una sola femmina, mentre le altre vanno a caccia. Appena svezzati i cuccioli si allontanano dal gruppo familiare e formano un gruppo misto di giovani. Quando però raggiungono la maturità sessuale le femmine si uniscono a un’unità fondamentale, che probabilmente è quella di origine, mentre i giovani maschi si associano in coppie della stessa età e si riuniscono a un gruppo di femmine solo durante il periodo della riproduzione. La maturità sessuale per i maschi viene raggiunta fra i 10 e i 13 anni, per le femmine tra i 9 e i 10. La stagione riproduttiva non è ben definita, anche se le nascite avvengono di solito nella stagione calda, dal che si può supporre che anche la stagione riproduttiva cada d’estate. La gestazione dura 12 mesi e il piccolo rimane in stretto contatto con la madre per qualche anno, completando lo svezzamento verso i 18 mesi.
Anche la caccia avviene per lo più in gruppo, con comportamenti sociali ben perfezionati, e con strategie collettive.
Il nostro amico possiede un apparato produttore di suoni, il biosonar, molto ben sviluppato, e un ampio repertorio di fischi modulati e “click”; una caratteristica particolare della specie è che ogni individuo possiede il suo fischio personale, il cosiddetto “fischio firma”, che lo distingue da tutti gli altri, e che gli altri appartenenti al gruppo imparano presto ad associare a quel particolare individuo.
Il fischio e i click sono molto importanti per il delfino, che li usa per comunicare con i compagni, per orientarsi in mare e per trovare le sue prede. Durante il nuoto emette dei brevi click che, rimbalzando su eventuali ostacoli o possibili prede, ritornano indietro al delfino, che può così riconoscere ciò che lo circonda. Attraverso l’uso di fischi modulati riesce poi a comunicare ai compagni la presenza di prede o pericoli. L’emissione di suoni è importantissima nel rapporto fra madre e cucciolo: mamma delfina utilizza un suono particolare per richiamare il suo cucciolo, un suono che si associa esclusivamente a quell’individuo e che il cucciolo associa immediatamente alla sua mamma. Si crea così un legame estremamente solido: mamma e piccolo possono comunicare utilizzando una sorta di “lessico familiare” che condividono. Il rapporto fra mamma delfina e il suo cucciolo è commovente: non solo la mamma chiama il suo cucciolo per allattarlo, accudirlo o per difenderlo dai pericoli, ma spesso gioca con lui, gli “parla”, riposano insieme. Durante il nuoto di riposo, cioè quando dormono, il cucciolo si pone di fianco alla madre, con la testa all’altezza del suo addome, in atteggiamento tipicamente infantile.
A proposito del sonno: i delfini dormono con un occhio solo! Non è un modo di dire: durante il riposo il delfino galleggia, senza compiere immersioni e nuotando molto piano, con un occhio aperto e metà del cervello in stato vigile, per prendersi cura del nuoto e delle funzioni vitali. Quando mamma delfina e il suo cucciolo dormono insieme, l’occhio aperto è sempre quello che dà verso l’interno della coppia; questo probabilmente gli consente di tenersi costantemente in contatto visivo e di sicronizzare il nuoto.
Altri comportamenti interessanti osservati sono il “travel”, in cui il delfino viaggia semplicemente, senza occuparsi d’altro; il “feeding”, cioè la ricerca di cibo, caratterizzato da frequenti immersioni sul posto; il “surfing”, forse il più spettacolare e divertente da vedere: i delfini giocano sulle onde, si fanno trasportare, spesso in gruppi di più individui. Sembrano proprio divertirsi un sacco!
I delfini adottano poi numerosi altri comportamenti che sembrano far parte di una forma di comunicazione, in quanto ogni movimento sembrerebbe avere un preciso significato (tipo di nuoto, di salti, movimenti delle pinne o della coda…), e si correlerebbe quindi alla socialità tipica della specie.
Molti purtroppo sono i pericoli che incombono sul piccolo ziggy, e sui suoi amici, fratelli e cugini, tanto che il Tursiope, come del resto tutte le specie di delfino, vanno considerati specie a rischio. Innanzitutto la pressione antropica sulle nostre coste ha causato un incremento dell’inquinamento da scarichi civili ed industriali e da idrocarburi; gli effetti di questo tipo di inquinamento sono molteplici: da un lato la riduzione della consistenza della fauna ittica, cibo del delfino, lo costringe a spostarsi verso il mare aperto e ad abbandonare le zone costiere che predilige, dall’altro induce nei tessuti del pesce una tossicità che si rivela letale ai vertici della catena alimentare (senza contare che non farebbe bene nemmeno a noi nuotare in una piscina di petrolio!); inoltre molte delle sostanze tossiche che vengono scaricate in mare passano la barriera placentare e possono provocare parti prematuri o aborti; le stesse sostanze possono poi venir assunte dal piccolo attraverso il latte materno. Tutto ciò, unito alla non eccessiva prolificità del dolce pinnuto, lo rende soggetto a un calo demografico che sta diventando preoccupante. Un altro grande fattore di rischio per i delfini sono le reti derivanti: spesso purtroppo questi strumenti provocano involontarie stragi di delfini, che vi rimangono impigliati e affogano, non potendo risalire a respirare.
Per fortuna negli ultimi anni stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza, su entrambe i fronti: la lotta all’inquinamento ambientale sta cominciando a dare i primi frutti e i nostri mari stanno tornando “vivi”, molte sono le persone che sempre più attivamente si occupano di protezione ambientale, lo studio e la salvaguardia dei cetacei sono diventati priorità anche per i governi locali. Anche per quanto riguarda l’attività di pesca si sono fatti dei passi avanti: a fronte del fabbisogno sempre crescente di pescato si sono però studiate e messe in opera nuove tecniche di pesca che tentano di eliminare il più possibile le stragi di delfini, e di limitare in genere il più possibile i danni, in vista di una pesca “ecologicamente sostenibile”.
Ci sono quindi buone speranze per i nostri simpatici amici!
Un po’ di storia…
Il delfino compare nelle storie, nelle leggende, nei miti, nelle tradizioni e nelle credenze di quasi tutte le culture che si sono sviluppate nei secoli nelle zone costiere. Il nostro piccolo Ziggy è un personaggio davvero importante!
Una delle fonti di sostentamento principali per le popolazioni mediterranee, e non solo, è sempre stato il pesce, che ha di conseguenza acquistato spesso una valenza simbolica, diventando soggetto di rappresentazioni artistiche, miti e leggende.
Inoltre gli abissi marini hanno sempre affascinato l’uomo, che li ha nei tempi antichi popolati di creature mitologiche, demoni minacciosi o dei benigni.
In particolare il pesce ha costantemente avuto posto nella simbologia religiosa di popoli molto distanti fra loro nello spazio e nel tempo: dai babilonesi alle altre civiltà mesopotamiche, dagli egizi agli etruschi, dai greci ai romani, per arrivare a tempi più moderni con il cristianesimo, il pesce compare quasi costantemente associato ai riti religiosi, alle divinità, alla sacralità del sacerdozio, simbolo di rinnovamento e conservazione della vita, strettamente connesso con la simbologia della resurrezione.
In questo contesto, emblematica è la figura del delfino: animale intelligente e socievole, acquatico ma non pesce, signore dei mari, amico dell’uomo e dei bambini, sensibile alla musica e fedele compagno dei marinai, aiuto ai pescatori (che lo chiamano Simone, derivato dal greco “simus” = camuso), sempre caro agli Dei, tanto che la sua uccisione è considerata presso molte culture un autentico sacrilegio.
Nell’arte classica e cristiana il delfino compare spesso come simbolo della trasmigrazione dell’anima. Lo troviamo raffigurato sui fonti battesimali come simbolo di purezza, virtù e carità.
Il delfino è elemento ricorrente nelle decorazioni di ville, palazzi e giardini anche in epoca moderna: l’arte barocca è sovrabbondante di raffigurazioni di delfini, in virtù della loro grazia ed eleganza; nelle decorazioni a grottesche dei giardini barocchi lo troviamo associato a molti altri animali marini, a conchiglie, sirene, tritoni…
Nell’iconografia pagana compare sulle are di Apollo Delfico, associato a Nettuno e Bacco. Molte divinità, eroi o ninfe, compaiono raffigurati nell’atto di cavalcare delfini o su carri da essi trainati.
Nell’iconografia greca e romana il delfino è spesso presente quale simbolo di prosperità e benignità;
gli etruschi affidano al delfino il compito di traghettare le anime verso le Isole dei Beati, e sovente si trovano raffigurati delfini sui sarcofagi sia etruschi che, successivamente, romani.
Lo troviamo raffigurato a Delo, nella Casa dei Delfini, nel palazzo di Cnosso, nelle decorazioni musive di Ostia, su monete, vasi, anelli, orecchini e altri ornamenti personali.
Presso i greci il delfino viene associato ad Apollo; strettamente intrecciata al delfino è l’origine della città sacra di Delfi: secondo una leggenda, Poseidone, dio del mare, si presentò a Melanto, figlia di Deucalione, in spoglie di delfino; dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Delfo, da cui prese il nome la città di cui era re quando Apollo arrivò a prenderne possesso. Un’altra leggenda circa l’origine di Delfi narra di Icadio, figlio di Apollo, che fece naufragio e venne salvato da un delfino, che lo trasportò fino ai piedi del Parnaso. Fu qui che Icadio volle fondare una città cui diede nome Delfo per rendere onore al delfino che lo aveva salvato.
Anche Taranto deve la propria fondazione a un delfino: narra Pausania che Falanto, spartano, dopo un naufragio fu salvato proprio da un delfino, e trasportato sulla costa dell’Italia meridionale, dove fondò la città.
Comune a tutti questi miti è la positività della figura del simpatico cetaceo, e la diffusa convinzione della sua amicizia e benevolenza verso gli esseri umani. In tutte le culture, dalle più antiche, in ogni angolo della terra, il delfino è visto come animale benevolo, amico dell’uomo, sacro. Troviamo riferimenti a questa amicizia presso gli egizi, i babilonesi, nella cultura micenea, presso i Maori, fra gli indios dell’Amazzonia, e ancora presso gli etruschi, i romani, i greci…
Ma perché l’uomo ha sempre visto un amico nel delfino? La spiegazione non è univoca: un comportamento dei delfini che spinse gli antichi a trovare una stretta affinità fra l’uomo e l’animale è la cura che hanno dei loro piccoli e il loro comportamento chiaramente sociale all’interno del branco. Nell’antichità inoltre era credenza comune che i delfini sorvegliassero i giovani bagnanti per impedire che annegassero e che si prodigassero per riportare a riva le vittime di naufragi o disgrazie accadute in mare. Un mito antichissimo tenta di dare una spiegazione dell’amicizia fra uomo e delfino. Si narra che Dioniso, nel corso delle sue avventure, chiese un passaggio ad alcuni pirati per recarsi a Nasso; una volta a bordo però scoprì che quelli stavano tramando per venderlo come schiavo. Per punirli trasformò i remi in serpenti, avviluppò la nave in una massa d’edera e la paralizzò coprendola di tralci di vite (la pianta a lui sacra). I pirati, spinti dal terrore, si gettarono in acqua, dove si trasformarono in delfini. Da allora hanno cambiato indole e sono amici degli uomini, e in segno di pentimento si adoperano per salvare dai flutti naufraghi e bagnanti in difficoltà.
Innumerevoli sono le storie che vedono protagonista il delfino. Vediamone qualcuna:
Pausania (riportando da Erodoto) ci racconta di Arione. Arione era un musico, originario di Lesbo, e aveva ottenuto dal tiranno di Corinto, suo padrone, il permesso di girare per la Magna Grecia per arricchirsi con il suo canto; al momento di tornare in patria i marinai decisero di ucciderlo per derubarlo; ma Apollo (ancora lui!) in sogno lo avvertì del pericolo e gli promise il suo aiuto. Quando fu aggredito Arione chiese di poter cantare un’ultima volta: al suono del suo canto accorse un branco di delfini, Arione si gettò in acqua e fu raccolto da un delfino che lo condusse a riva. Qui giunto dedicò un ex-voto ad Apollo e tornò a casa, dove raccontò l’accaduto al tiranno. Quando la nave giunse a Corinto, i marinai riferirono al tiranno che Arione era morto durante il viaggio, a quel punto Arione si mostrò e i colpevoli vennero messi a morte. A perenne memento dell’episodio Apollo trasformò la lira di Arione e il delfino in costellazioni.
Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, narra di un bambino che aveva fatto amicizia con un delfino, nelle vicinanze di Baia: ogni giorno andando a scuola gli offriva la merenda e lo cavalcava per essere traghettato sulla sponda opposta del lago. Quando il bimbo morì, il delfino continuò ad aspettarlo, fino a quando si lasciò morire di dolore.
Anche Eliano ci racconta la storia dell’amicizia fra un delfino e un ragazzo; il ragazzo era solito cavalcare il delfino per giocare fra le onde, ma un giorno si ferì a morte con l’aculeo della pinna dorsale. Il delfino, disperato, si gettò sulla spiaggia e si lasciò morire.
Ancora Plinio ci racconta di come i delfini collaborerebbero con i pescatori, spingendo verso le reti i banchi di pesce, in cambio d’una parte del pescato.
E potremmo proseguire ancora a lungo…
Con antenati tanto illustri, con una storia così antica, il delfino merita davvero tutto il nostro rispetto!
Ma come ha fatto un animale così nobile, così socievole e così intelligente a finire a fare il pagliaccio nelle nostre vasche? Intendiamoci, i delfinari non li abbiamo inventati noi, non attribuiamoci meriti che non abbiamo: il delfino divertiva già i capricciosi imperatori romani e le annoiate dame delle varie sfarzose corti di tutta Europa! Se da un lato è vero che l’esistenza di acquari “riabilitativi” o di cura è un bene, se è vero che nelle vasche di acquari seriamente condotti il grande pubblico ha la possibilità di vederli da vicino, per conoscerli, capirli, imparare a rispettarli, altrettanto vero è però che costringere un animale a dare spettacolo di sé, in vasche spesso inadeguate, con ritmi massacranti ai limiti dello sfruttamento, è lesivo della dignità dell’animale e, lasciatemelo dire, anche della nostra.
Senza contare che il delfino è un animale che tollera male la cattività: per ogni delfino che vediamo allegramente saltare dentro un cerchio in cambio di un’aringa, molti altri sono morti: subito dopo la cattura, o poco dopo, o nel corso di estenuanti esercizi che non tengono in nessun conto la salute dell’animale.
Nessuno spettacolo, nessun delfinario, ci può però regalare l’immensa emozione che dà l’avvistamento di un gruppo di delfini che gioca davanti alla prua della nostra barca, o l’incontro in acqua con questi simpatici e curiosi cetacei! Un’emozione che è sempre nuova, anche dopo molteplici incontri e avvistamenti, ogni volta ci sembra che l’attenzione del delfino sia rivolta a noi in particolare, ogni volta ci sentiamo i destinatari speciali di un dono. Quale sarà mai la magia che il delfino opera su di noi?
Continuando a studiarlo e a rispettarlo forse un giorno lo scopriremo!
So long, and thanks for all the fish!
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