L’arco nero mostruoso avanzò verso di noi.
Sopra le nostre teste la roccia s’incurvava gradatamente a formare il contorno di una gigantesca “U” rovesciata, le cui pareti laterali venivano su da profondità ignote.
Massimo procedeva con sicurezza davanti a me e io gli tenni dietro senza affannarmi. Sott’acqua è importantissimo fluire nel mezzo, non combattere contro di esso. In tal modo si risparmiano preziose energie. Ora lui aveva smesso di scendere obliquamente e procedeva in avanti contro uno sfondo pauroso, totalmente nero.
Fu letteralmente inghiottito dal buio.
Io procedetti ancora
D’un tratto lo rividi. Stava fermo a mezz’acqua e mi lampeggiava con la torcia. Primo segnale, tutto bene.
Lui si voltò e s’inoltrò nell’ignoto.
Io mi feci coraggio e gli andai appresso.
Man mano che mi spostavo in avanti intravvedevo ai miei lati l’arco naturale che si restringeva a destra e sinistra venendomi incontro anche dall’alto. La roccia si abbassava ancora!
Non eravamo abbastanza profondi. E non si poteva risalire, bisognava andare solo avanti!
Corressi la rotta, scendendo ancora obliquamente. Dovetti compensare di nuovo e giudicai che adesso stavamo a circa 7–8 metri di profondità. Nel mentre ci inoltravamo nell’oscurità, che diventò assoluta.
Sopra la mia testa non c’era più alcuna superficie. Sentivo che scorreva un soffitto di roccia.
“Accidenti – mi turbai – non sto ancora a mezzo fiato, ma di questo passo presto arriverò a metà – e allora dovrò girarmi!”
Proprio in quel momento vidi lampeggiare di nuovo la torcia di Massimo. Si librava nel vuoto alcuni metri più avanti ed eseguiva un altro dei segnali convenuti.
“Ma dove diavolo stiamo andando? Quanto mancherà?”
Pinneggiammo sospesi nel nulla nero. Preferii non pensare a quello che stava sotto di me.
E pinneggiammo ancora, e ancora. Sentivo il cuore rombare nelle orecchie, amplificato dal mare tenebroso che mi circondava in modo assoluto.
Nel buio vidi il terzo segnale luminoso, stavolta proveniente da una quota un po’ più alta della mia. “Tutto bene, vieni avanti salendo” voleva dire.
Avevamo superato metà strada!
Rassicurato, avanzai cominciando pian piano a riguadagnare quota. Massimo adesso procedeva con la lampada accesa rivolta direttamente verso di me, a mo’ di faro; e io gli pinneggiavo dietro. La sua luce saliva ancora.
Dalla pressione al timpano giudicai che ora mi trovavo a circa tre metri di profondità.
Ma sopra di me che cosa c’era? Se ci fosse stata ancora roccia?
Stavo salendo piano. Finora avevo sentito, più che visto, la parete sopra di me, mentre adesso non vedevo assolutamente nulla!
Alzai un braccio verso l’alto per non andare a sbattere contro una barriera solida. Era la mia preoccupazione: sarebbe stato spaventoso tentare di emergere e battere invece la testa contro un muro orizzontale che me l’impediva. Adesso poi stavo oltre metà fiato, chi ce l’avrebbe fatta a girarsi e tornare indietro?
Sempre spingendo in avanti con le pinne tenni il braccio alzato…
E la mia mano emerse nel vuoto. Era uscita dall’acqua!
Subito dopo spinsi fuori anche la testa.
Nel nulla nero. Ma c’era aria!
Respirai, finalmente.
Ero emerso in uno spazio totalmente buio.
C’era qualcosa di preoccupante perché non sapevo quanto fosse ampio. Era il niente fatto spazio.
Sventagliai la torcia, ma era come se non ci fosse. Il raggio non incontrava nulla… solo la superficie di quello che mi parve un lago.
Tenendomi a galla mi sfilai la maschera e sentii la voce di Massimo.
“Peppe, siamo arrivati”.
“Massimo, non vedo niente!”
“Aspetta che ti si abituino gli occhi. Spegni la torcia, così le pupille si abituano”.
Respirai ancora forte nel buio, non tanto per ossigenarmi (non ero comunque giunto in riserva di fiato) quanto per calmarmi. Avevo i battiti accelerati sia per lo sforzo prolungato che per l’eccitazione mista al timore.
Piano piano, mi calmai.
Attorno a me tutto era nero. Sentivo solo l’acqua calma lambirmi il collo.
“Mi vedi, Peppe?”
“Non ancora, ma ti sento”.
“Nuotiamo verso la camera principale” disse la voce di Massimo, che si era nel frattempo spostata.
La seguii. A un certo punto cominciai a intravvedere qualcosa. In effetti un tenue lucore blu proveniva da sotto di me e proiettava in avanti contorni incerti molto… distanti.
Ma erano a decine di metri!
Mi trovavo in una grotta enorme.
La volta non si vedeva. Certo si trovava chissà dove, sopra la mia testa.
Di fronte a me si stagliava un’immane colonna che nasceva dal mare come se dovesse reggere tutto. Pareva una gigantesca scultura. E vidi anche i contorni della caverna… sarà stata larga cinquanta metri!
Rimisi la testa in acqua e guardai giù. C’era un po’ di luce azzurra e vidi finalmente, a parecchi metri di distanza, il fondale che saliva obliquamente.
Nuotai ancora in avanti. La roccia veniva su veloce.
A un certo punto ci fu piede e toccai il fondo.
Sentii la voce di Massimo:
“Peppe, girati!”
Mi voltai e vidi lo spettacolo più mozzafiato della mia vita.
Un fuoco di luce azzurra veniva dalle profondità dello specchio d’acqua di fronte a me, e illuminava la grotta immensa.
La luce nasceva dalle viscere del mare.
In mezzo all’antro si stagliava controluce un gruppo di stalagmiti imponente, come una fontana edificata al centro di un lago sotterraneo. E la luce ricordava quella della Grotta Azzurra di Capri, ma più intensa e pura.
Era magnifico!
Rimisi la testa sott’acqua e vidi in lontananza il nitidissimo contorno di un tunnel immenso, che si stagliava maestoso contro il blu.
Però c’era un’enorme differenza: a Capri la parte superiore dell’arco emergeva dal mare e saliva ancora, fino a circa un metro d’altezza sopra il pelo dell’acqua. Uno spazio appena sufficiente a far passare una barchetta alla volta, col barcaiolo che si abbranca a una catena appesa, tirando a mano.
Quest’arco, invece, non emergeva. Nel punto più alto saliva fino ad alcuni metri di profondità, poi curvava maestoso e ridiscendeva nelle tenebre. Era questa, la differenza con la Grotta Azzurra: qui la luce del sole giungeva esclusivamente dal mare, senza mescolarsi alla luce bianca diretta.
Era la luce intensissima di un gigantesco zaffiro.
Meravigliosamente azzurra! Ora capivo perché quel posto si chiamava così.
Il Grande Blu.
Non avevo mai visto una cosa simile.