Da “testimoni oculari” – fotografi subacquei e divulgatori – negli ultimi anni abbiamo assistito a notevoli cambiamenti degli ecosistemi marini costieri del Mare Nostrum.
Lo Stretto di Messina, tra tutti i bacini di questo mare, è certamente uno dei più singolari sia per l’impeto delle correnti che per la straordinaria morfologia e geografia emersa e sommersa.
Immergersi e osservare la vita nello Stretto è un privilegio certamente impegnativo ma, nel contempo, oltremodo appagante.
In tal senso la ricerca fotografica, per chi si definisce divulgatore naturalista, aiuta a percepire e comprendere alcuni importanti aspetti che spesso, né pescatori di superficie pur esperti e navigati, né subacquei normali, riescono a cogliere.
Accade infatti, da un po’ di tempo, certamente da qualche anno, che la proliferazione delle alghe crei nuovi, variati e purtroppo incomprensibili scenari sommersi.
Non ci riferiamo, evidentemente, agli effetti stagionali provocati dalle ordinarie mucillagini estive, ma a quelli procurati da ogni specie di alga in un arco temporale non precisamente individuabile.
In tale contesto, la scogliera sommersa cosiddetta a “Paramuricea clavata” (gorgonia bicolore che a Scilla – la porta Nord dello Stretto sulla sponda calabrese – assume l’insolita ed unica colorazione giallo – rossa) che caratterizza l’ecosistema compreso tra i 30 e i 60 m circa di profondità, sta subendo una regressione notevole che è resa evidente dalla perdita, abbastanza repentina e progressiva, di molte delle ramificazioni coloniali, le gorgonie appunto.
Non sappiamo se tra i due fenomeni ci sia un collegamento. E’ certo però che, in altri contesti, le mucillagini estive soffocano le gorgonie provocando naturalmente danni ma, a conclusione della stagione estiva, la mucillagine sparisce e le gorgonie, pur con patimenti alcuni rimediabili altri permanenti, ritornano vitali.
Nel caso delle gorgonie dello Stretto di Messina e della Costa Viola, è ormai acclarato che le mucillagini non rappresentano la causa del decadimento, poiché le correnti di quest’area impediscono la permanenza delle fastidiose alghe sulle gorgonie stesse.
Però la regressione, negli ultimi due anni, ha subito una rapidissima accelerazione, dimostrata anche attraverso le immagini fotografiche di raffronto che offriamo per un’autonoma quanto facile valutazione, ancorché sommaria, di chi legge.
Chi ha frequentato ed osservato, per tantissimo tempo, la bellezza, la vita e soprattutto la stabilità di quell’ecosistema, si accorge oggi della sua debolezza e ne rimane attonito.
Attualmente nessuno studia il fenomeno, né, tantomeno, da ricerche condotte, siamo a conoscenza del fatto che, su tali ipotesi, la Comunità Scientifica si sia espressa.
Quel che risulta evidente è che non possiamo però rimanere inermi davanti alla scomparsa progressiva di uno degli ambienti più ricchi ed importanti del Mediterraneo in generale e dello Stretto di Messina in particolare, in considerazione del fatto che la foresta animale di “Paramuricea clavata” rappresenta una parte essenziale per l’equilibrio vitale del nostro mare: senza di essa sparirebbero molte specie di pesci, molluschi e crostacei.
Offriamo così un nostro iniziale contributo, ed in tal senso ci attiveremo anche con le Istituzioni e gli Organi preposti, cercando di coinvolgere e toccare la sensibilità di chi, come noi, ha a cuore la salvaguardia di “un pezzo” di Paradiso.
Già da oltre un anno l’università di Messina ha cominciato uno studio sul sito della Montagna, il punto di immersione ritratto nelle foto che sono state pubblicate in questo articolo. È vero che le gorgonie della Costa Viola stanno subendo dei danni. Il problema esiste, ma è anche vero che quello che bisogna fare è cercare di preservare questo patrimonio di tutti. Ci sarebbe tanto da salvare ancora, tanta vita! Ecco perché in realtà è stato fatto e si sta facendo il possibile. Proprio oggi lo Scilla Diving Center di cui faccio parte è stato contattato da Oloturia Sub di Messina per fissare una data per la prossima settimana ed effettuare dei campionamenti con l’Università di Biologia Marina di Messina. Si è contattata l’università di Ferrara, di Napoli, l’ISPRA. Insomma, la comunità scientifica si sta muovendo e si sta facendo il possibile proprio per non lasciare che una bellezza tale, un patrimonio cosi importante, fragile ma ancora vitale, possa subire ulteriori danni.