Dicembre 2010
Estasiato.
Senza fiato.
Breathless, direbbero gli inglesi.
Mi trovo all’interno del Museo Vasa di Stoccolma e sto ammirando la Regalskeppet Vasa, la nave regia Vasa, strappata nel 1961 alle gelide acque del mar Baltico.
Il recupero è stata una incredibile opera di ingegno e di ingegneria navale merito di Anders Franzen, un tecnico navale ed archeologo dilettante, che nel 1956 ha ritrovato il relitto a breve distanza dal porto di Stoccolma; con il contributo della marina svedese è quindi riuscito a riportarlo a galla ed a condurlo a terra, esattamente dove si trova ora.
Intorno al relitto, posto a 30 metri di profondità sono stati ritrovati i resti di 25 persone, le vele di scorta della nave ed oltre 14.000 manufatti risalenti al 1628; il tutto in un eccezionale stato di conservazione dovuto alle condizioni particolari del mar Baltico: bassa salinità che non consente la presenza della Teredo Navalis che divora il legno, ambiente anossico e costante bassa temperatura (circa 5 gradi).
Le parti in legno sono state trattate per anni con iniezioni di glicole polietilenico (PEG), un polimero che penetra nel legno sostituendosi all’acqua solforosa del bacino e ne impedisce il degrado; i chiodi in ferro si sono sciolti per la ruggine, ma sono sopravvissuti alcuni cannoni, le palle di ghisa e le vele di scorta della nave (uniche di quell’epoca giunte fino a noi).
Intorno alle nave, restaurata al 95% con i pezzi originali, è stato edificato uno straordinario museo a 5 piani che, oltre a custodire la nave, ricostruisce la vita quotidiana della Stoccolma seicentesca.
Il tutto costituisce una visione unica: per un appassionato di mare e di storia navale, è una visita emozionante, senza prezzo.
Agosto 1628
La grande nave è pronta.
Il re Gustavo II Adolfo ha voluto che fosse costruita la nave da guerra più grande del Baltico, nei suoi intenti la più grande mai costruita al mondo.
Per il progetto ha chiamato un esperto costruttore di navi, l’olandese Henrik Hybertsson e non ha posto un limite ai costi; e questi ha progettato una nave magnifica, per la gloria del re.
Il problema però è che il mastro carpentiere si è ammalato ed è morto lasciando il compito della costruzione al suo assistente, il signor Herik Jacobsson, e questi non ha saputo eludere le continue pressioni fatte dal re: più lunga, più alta, una seconda fila di cannoni, un nuovo grande castello di poppa a stravolgere il progetto originale.
La nave così è diventata enorme, bellissima: 69 metri di lunghezza per 11,7 di larghezza, ma soprattutto con un’altezza dalla chiglia all’albero maestro di 52,5 metri ed un pescaggio di soli 4,8 metri. È propulsa da 10 vele quadre distribuite su 3 alberi ed è armata con 64 grossi cannoni da 24 libbre, 6 mortai e 10 bocche da fuoco di piccolo calibro.
È magnifica.
Ma è instabile, una trappola mortale.
Con questo sospetto, il capitano Sofring Hansson decide di fare un collaudo di stabilità, alla presenza dell’ammiraglio Clas Fleming: ordina a 30 marinai di correre da un lato all’altro della nave, ma al terzo passaggio i due ufficiali sono costretti a fermare repentinamente gli uomini, perché temono il ribaltamento.
Cosa fare? I due sanno benissimo di non poter avvisare il re.
Dopo due anni di lavoro ed un investimento economico enorme, il sovrano non vuole più aspettare e freme all’idea di mandare l’orgoglio della marina svedese a combattere i cattolici polacchi dall’altra parte del Baltico; ogni opinione contraria sarebbe quindi rischiosa…
Allora rimane solo una soluzione d’emergenza: vengono imbarcate nella stiva 120 tonnellate di pietre allo scopo di abbassare il baricentro della nave, ma con l’ovvia conseguenza di aumentare pericolosamente l’immersione dello scafo.
Ed il Vasa è ormai pronto per il varo: è il 10 agosto 1628 ed è una splendida giornata nel porto di Stoccolma, con un filo di brezza a stemperare la calda temperatura. Sulla banchina si sono radunate 10.000 persone per la grande festa, pronte ad assistere allo spettacolo dell’invincibile nave che salpa verso il nemico. È stata agghindata a festa: all’interno è piena di arredi, quadri, vasellame mentre da fuori sono visibili statue decorate d’oro, fregi, stendardi; i portelli aperti delle due file di cannoni mostrano la potenza della Svezia. Ma sono anche tonnellate di peso in più.
I marinai spiegano le vele e la nave parte, bellissima e molto bassa sull’acqua.
Al primo colpo di vento sbanda, si imbarca, ma il timoniere riesce a riprenderla e raddrizzarla.
Dopo meno di un miglio, a 120 metri dalla costa, un secondo colpo di vento risulta fatale. La nave si piega paurosamente e l’acqua penetra dagli sportelli dei cannoni, lasciati aperti.
In pochi minuti tutto è finito: muoiono circa 40 persone e l’orgoglio del re è scomparso sotto le onde.
Il sovrano, furente, vuole un colpevole: viene accusato il capitano, ma risulta che questi ha agito secondo le regole, ed il volere del re.
Poi è la volta del costruttore, ma anche lui non ha fatto che seguire il progetto prima, e gli ordini del re poi.
E quindi secondo una regola sempre valida sempre nella storia: la colpa viene data al progettista originale, morto due anni prima e quindi non in grado di difendersi.
Nelle taverne di Stoccolma per anni si dirà però che il Vasa è affondato per volontà di Dio… e del re.
Come spesso accade nelle storie legate al mare, la vicenda è tragica e curiosa allo stesso tempo. Una nazione avanzatissima per l’epoca costruisce una nave ritenuta invincibile ed inaffondabile, che risulta essere invece un gigante dai piedi d’argilla, che per problemi di stabilità fa naufragio durante il viaggio inaugurale a meno di un miglio dalla costa.
Impensabile al giorno d’oggi, con la moderna tecnologia di progettazione e costruzione navale e con i moderni sistemi di controllo di stabilità. Come potrebbe mai accadere? Si impara sempre dagli errori e di acqua ne è passata…
Giugno 1980
Chissà se il comandante della svedese Zenobia sta pensando alla futilità di certe considerazioni umane. Oppure da vecchio lupo di mare sa che non esistono certezze mentre navighi e che colui che ha troppa sicurezza rischia di trovarsi in fondo al mare, a far parlare di se’ e della sua nave fantasma nelle taverne dei porti.
O forse ancora, crede alla teoria dei corsi e ricorsi storici.
In ogni caso sta attraversando il Mediterraneo al comando della sua modernissima e grande nave, durante il viaggio inaugurale che la porterà dalle fredde acque del Baltico a Creta, Atene ed infine a Tartous, in Siria, per iniziare la rotta di trasporto merci tra la Grecia e la Siria per cui è stata costruita.
La Zenobia è infatti una grande nave traghetto per il trasporto di carichi su veicoli gommati senza servizio passeggeri, tranne quelli di servizio del carico: una RO-RO (Roll-on/Roll-off), nave a caricamento orizzontale specializzata in veicoli pesanti, distribuiti su due ponti.
È stata costruita nei cantieri Kockums Varv AB di Malmö in Svezia, secondo gli ultimi ritrovati della tecnica, con i comandi principali computerizzati, in modo da escludere gli errori umani. Le misure sono notevoli: 178 metri di lunghezza per 28 di larghezza ed una stazza lorda di circa 10.000 tonnellate mosse da due enormi motori diesel che sviluppano 18.760 BHP (British Horsepowers) e che le fanno raggiungere i 21 nodi di velocità. La nave prende il suo nome dalla regina di Palmira, una donna di eccezionale carattere e bellezza che nel 269 d.C. cercò di crearsi un regno personale in Medioriente a discapito dei romani, ma che venne sconfitta dall’imperatore Aureliano e quindi portata in catene a Roma.
Nelle stive della Zenobia si trovano 104 autotreni carichi di merci, con sigarette, uova e cibo stivato in camion frigoriferi. Il carico è assicurato presso i Lloyd’s per un valore di 200 milioni di sterline.
Dopo una sosta ad Heraklion nell’isola di Creta, il traghetto si dirige su Atene ma durante la traversata il capitano denuncia uno sbandamento dovuto, sembra, ad un errore di immissione di acqua nelle casse di zavorra; il problema nel porto del Pireo viene però risolto aspirando l’acqua in eccesso e la nave può ripartire.
Sulla via di Tartous si ripresenta però il problema ed il comandante decide di rifugiarsi nel porto di Larnaca sull’isola di Cipro per avere di nuovo aiuto: è il 2 giugno 1980.
Gli ingegneri del porto si danno immediatamente da fare per comprendere quale sia il problema e risolverlo: scoprono che si tratta di un errore di software a causa del quale il sistema di pompaggio dell’acqua nelle casse di zavorra va in tilt e continua ad immettere acqua. La nave sbanda sempre di più ed i tecnici non riescono a venirne a capo: i responsabili dello scalo ordinano quindi di spostare la Zenobia in acque profonde perché temono l’affondamento della nave, che bloccherebbe l’accesso al porto.
Sono ore concitate: il traghetto viene spostato a 1500 metri dalla costa e gli ingegneri lavorano senza sosta per salvare la nave, che ormai ha raggiunto un’angolazione di 45 gradi.
Il 5 giugno il capitano, che sente vicina la fine della sua nave, chiede alle autorità portuali il permesso di rientrare, che gli viene negato.
Il giorno successivo i tecnici riescono però a migliorare l’assetto della nave, portando lo sbandamento, come diranno in seguito, ad un 5% ed il comandante della Zenobia alle 17.00 decide inspiegabilmente di licenziare gli ingegneri.
È un errore fatale: alle 02.30 la nave, di nuovo sempre più inclinata ed ormai condannata, affonda senza causare vittime.
La vicenda suscita dubbi ed un enorme scalpore: come può una nave nuovissima e così avanzata tecnologicamente finire sul fondo in questo modo?
Perché il capitano ha mandato via prematuramente i tecnici?
Perché i risultati dell’indagine successiva sono stati tenuti segreti?
Di certo la somma assicurata era enorme… 20 milioni di sterline per la nave, 200 per il carico. Somme che sembra non siano mai state pagate dalla compagnia assicuratrice all’armatore.
Quale allora la vera causa dell’affondamento?
La più probabile è quella afferente all’errore di software.
Ma le dicerie che giravano a Cipro parlavano di errore umano del capitano… o anche di una manovra voluta.
Infine si è parlato di un carico di droga, o addirittura di missili venduti a qualcuno in Medioriente, con l’intervento di diversi servizi segreti.
Non lo sapremo mai con certezza.
Gli Svedesi fanno ottimi relitti
Agosto 2016
Senza offesa, io non so come siano in qualità di costruttori di navi, ma di certo gli svedesi producono dei relitti grandiosi. O quantomeno sono una vera manna per chi ama fare immersioni (in tutti i sensi) nella storia.
Il relitto della Zenobia è diventato famoso, soprattutto per i subacquei di lingua inglese, da quando il Times lo ha definito uno dei 10 migliori relitti al mondo visitabili in immersione, concetto poi ribadito da innumerevoli siti e riviste sub.
Per quali motivi è entrato in questa classifica tutta britannica?
Vicino a riva, relativamente facile da visitare per la sua profondità variabile tra i 16 ed i 42 metri, ottima conservazione del relitto, tanto pesce, buona visibilità e possibilità di effettuare facili penetrazioni; in più è gestito praticamente in esclusiva da diving inglesi… D’ altronde la Repubblica di Cipro a volte sembra la periferia mediterranea di Londra: tutti parlano inglese, le insegne, le attività, le attrazioni sembrano organizzate per un gigantesco parco giochi destinato alle isole britanniche, collegate tramite un ininterrotto ponte aereo.
Così anche io, attirato dalla fama del relitto, decido di andarlo a visitare e ne parlo con mia moglie che si fa convincere senza fatica ad una prospettiva di sole, spiagge e tanto pesce da consumare nelle originali taverne di Pissouri, la località dove soggiorneremo. E da qui, grazie all’aiuto del Cyprus Diving Adventures di Stephen Ford, mi recherò a Larnaca per effettuare 2 immersioni sul relitto della Zenobia.
Seduto con altri subacquei su una grande barca che ospita più diving center insieme, sono fatto oggetto di un approfondito briefing mirato essenzialmente alla sicurezza (che non fa mai male) e, dopo un brevissimo tragitto ed una veloce preparazione, mi tuffo nelle calde acque del Mediterraneo orientale, così vicino alle coste siriane.
Il colore dominante è un blu intenso, e grazie all’ottima visibilità qui spesso presente, la nave risulta visibile già dalla superficie.
Le dimensioni sono notevoli ed hanno attirato sul relitto numerose specie di pesce che qui hanno trovato l’habitat naturale per la riproduzione; particolarmente presenti sono enormi nuvole di saraghi e davvero tante cernie che qui vivono tranquille, essendo una delle rare zone cipriote in cui vige l’interdizione alla pesca. Questa permette infatti di nuotare finalmente in mezzo ad un discreto quantitativo di pesce, visione così rara nella repubblica di Cipro (ed anche in Grecia) a causa della pesca indiscriminata fatta dai suoi abitanti.
Impressionanti sono poi le lunghe pareti della nave (orientate di 90 gradi), le grosse eliche ed i numerosi camion scivolati sul fondo (per non dire delle ossa degli animali contenuti una volta nelle celle frigorifere ed ora sparse sul fondo).
La seconda immersione mi vede invece all’interno del relitto, con un percorso che attraversa un ponte illuminato da lontane aperture e mi permette di vedere bagni, cucine, alloggi e stive, attraversando strutture ancora poco modificate dall’ambiente marino. I pochi anni passati, le vernici e le altre sostanze di protezione dello scafo (tante altre volte scomparse per gli incendi), hanno preservato la Zenobia fino ai giorni nostri.
Alla fine risalgo, soddisfatto per l’esperienza vissuta.
Unica? No.
Amo immergermi nella storia, e vedere navi perdute che hanno vissuto, con una storia da raccontare. Ed a volte sembra davvero che sia così… che la nave voglia raccontarti la sua vita e la sua fine, come una gentile vecchia signora che con te ha trovato finalmente l’ascoltatore che stava cercando. E che serena, mentre assaggia dei biscotti davanti ad una tazza di the, viene presa dal desiderio di raccontarti le mirabolanti avventure della sua vita, non tra lavoro ed amori, ma tra guerre, tempeste e sottomarini in agguato.
La Zenobia non potrà mai farlo… mancandole la bellezza del Vasa o le avventure di 1000 navi affondate; per questo non sarà mai nei 10 relitti più belli della mia vita.