Da sempre uno dei grandi nemici dei subacquei è la cosiddetta PDD (Patologia Da Decompressione). Il termine include sia la MDD (Malattia Da Decompressione), causata da bolle di gas che si formano nei tessuti, che la EGA (Embolia Gassosa Arteriosa), dove le bolle sono localizzate nel circolo sanguigno, spesso in seguito a eventi traumatici.
Il rischio di PDD è stato messo in relazione con la presenza di bolle gassose circolanti nel distretto venoso dopo l’immersione (indicate con l’acronimo inglese VGE, Venous Gas Emboli), e il DAN ha studiato intensamente il fenomeno raccogliendo dati da subacquei volontari. Recentemente è stata anche studiata una correlazione con fattori come microparticelle del sangue e processi infiammatori.
Le bolle post-immersione, misurabili con doppler ed ecocardiografie, sono un indicatore di stress decompressivo, anche se non causano automaticamente PDD. Ci sono importanti differenze tra subacquei e anche nello stesso subacqueo tra un’immersione e l’altra.
Ora, dopo lunghe ricerche, i ricercatori DAN propongono una visione diversa, secondo la quale sono i singoli processi metabolici di ogni subacqueo, molto diversi da individuo a individuo, a influenzare da vicino l’insorgenza di PDD.
Formazione di bolle nella PDD
Il nuovo modello decompressivo metabolico prende lo spunto dai lavori di Hillis sulla cavitazione e di Arieli sui micronuclei, aggiungendo i risultati recenti delle ricerche sul precondizionamento dei subacquei, che confermano come nanobolle stabili e stazionarie siano molto probabilmente già presenti nei subacquei in superficie.
Secondo questa teoria, il metabolismo di ogni subacqueo sarebbe responsabile della formazione di piccole sacche di gas, chiamate “bolle metaboliche statiche”, o SMB (Static Metabolic Bubbles), attaccate ai rivestimenti dei vasi sanguigni già prima dell’immersione, e agirebbero da precursori delle bolle circolanti post-immersione.
La formazione delle bolle statiche è dovuta alla Finestra dell’ossigeno (OW, Oxygen Window), cioè alla differenza di pressione parziale tra l’ossigeno negli alveoli polmonari del subacqueo, in equilibrio con la pressione ambiente, e la pressione più bassa nel tessuto venoso, che risulta dal metabolismo attivo. Maggiore questa differenza (per effetto del metabolismo), maggiore il volume di bolle statiche.
Durante la discesa, il volume
delle bolle statiche si riduce, in base alla legge di Boyle. Tuttavia, quando
il subacqueo risale, l’espansione del gas alimenta le bolle statiche esistenti
e le fa accrescere fino a staccarsi dalle pareti dei vasi sanguigni diventando
bolle circolanti.
Il livello di bolle dipenderà quindi dal numero di punti idrofobici nei vasi
sanguigni e dal volume iniziale delle bolle statiche (che dipende a sua volta
dal metabolismo del subacqueo) e dalla velocità di risalita, che regolerà la
velocità alla quale queste bolle statiche cresceranno e produrranno bolle
circolanti. Inoltre le bolle statiche che si staccano dai rivestimenti dei vasi
sanguigni possono rompere delle microparticelle, che attraversando i filtri
polmonari e cardiaci generano una risposta infiammatoria.
Si è visto che un numero di bolle minore porta a un calo del rischio di PDD. Presumibilmente la dose di bolle circolanti in entrata e la capacità di filtrazione polmonare determinano la possibilità di formazione di emboli gassosi e quindi di PDD. Come accennato, il distacco delle bolle libera microparticelle, le quali possono provocare un’infiammazione dei tessuti simile a quella causata dalle bolle.
L’impostazione di livelli accettabili di rischio di PDD nei futuri algoritmi di decompressione richiederà la stima di vari parametri legati alle caratteristiche individuali del subacqueo. Si potrebbero anche integrare i valori M e i fattori di gradiente (GF, Gradient Factor) per gli algoritmi esistenti in base a queste caratteristiche.
I nuovi algoritmi decompressivi saranno quindi sempre più adattabili alle caratteristiche individuali di ogni subacqueo. Probabilmente non produrranno profili di decompressione molto diversi dagli attuali, che già forniscono un livello di rischio accettabile. Tuttavia, un nuovo modello metabolico potrebbe fornire un migliore controllo su tutti i parametri dell’immersione.
Tratto da un articolo di Michael Menduno, visibile in versione integrale su Alert Diver
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