Ecco la seconda parte del diario dell’esplorazione della più grande miniera di gesso al mondo. Cedo la parola direttamente a Andrea.
2 febbraio
La scala.
Ogni giorno la scala in ferro che permette di accedere al pozzo di ingresso alla grotta è sempre più ghiacciata. Ogni volta che si entra ed esce tutta l’acqua bagnata che vi cade sopra nel giro di breve tempo si solidifica creando uno strato di ghiaccio notevole.
Ci sono due corrimano, o meglio due tondini edili di grande diametro che permettono di reggersi durante i passi instabili. Quando ci si sente leggeri non è perché si ha “la grazia innaturale di Nisinskij” ma quanto più perché aumenta improvvisamente la frequenza cardiaca al sol pensiero di scivolare agghindati di tutto punto, e con il bibo in spalla per di più. Se scala è diventata il mio primo pensiero ogni volta he scendo in grotta, lo screpicciare della muta stagna fredda e dura che si attacca al legno della panca quando si esce dall’acqua è diventato un suono familiare per così dire.
Il laminatoio è un luogo davvero suggestivo posto a circa 350m dall’ingresso. Si trova nella parte meridionale della grotta proprio contro la parete di “confine” per così dire. Ho ribattezzato così questo spazio poiché la roccia appare fresata sia nella parte sommitale che in quella inferiore. Sono in realtà una serie di piani inclinati lunghi una ventina di metri circa in cui si passa quasi radenti il soffitto. Lo spazio è suggestivo anche poiché si arriva dopo una svolta secca a sinistra mentre si proviene dal volume precedente che è invece molto frastagliato. I blocchi sono lisci e squadrati. Istintivamente la caratteristica della pietra in questo punto mi ha ricordato la “scanalatura” che gli antichi egizi facevano nella pietra per estrarre i blocchi monolitici degli obelischi. Qui la sensazione è di star attraversando un spazio vuoto a cui sia stata sottratta materia, in netta contrapposizione con altri ambienti della grotta in cui si ha invece proprio la percezione di stare in uno spazio solido anche se pervaso dall’acqua.
3 febbraio
Accettate….
Potrebbe sembrare l’incipit di un sermone religioso, e invece no!
A Orda Cave “accettate” è quello che letteralmente fa il nostro portatore di bombole quando usciamo dall’acqua per spaccare il ghiaccio dalla scala e facilitarci l’uscita. Questa è la subacquea in Russia.
Stanttina altri 90 minuti nel ramo sinistro nord della grotta. La parte occidentale è un tunnel di un centinaio di metri con fondo limaccioso mentre il soffitto con le bolle sporca ancora tanto poiché è un punto poco battuto. Abbiamo poi proseguito tornando in senso nord sud un altro tunnel dello stesso ramo. Qui una serie di portali telescopici ci hanno permesso di fare della belle immagini.
Tra poche ore si torna in acqua per visitare il ramo di destra che punta a nord e termina con un piccolo laghetto.
4 febbraio
Il sapore del gesso
L’ultima immersione è quella che lascia il gusto del viaggio.
A volte scegliere diventa difficile e si rischia di farsi sopraffare dalla bulimia subacquea.
Oggi per noi è stata la quinta immersione a Orda Cave. Il mattino abbiamo girato per il ramo occidentale del sifone mentre il pomeriggio, dopo aver ripulito i circuiti lasciati nei giorni scorsi, ci siamo dedicati a visitare la parte orientale della grotta. In questo caso dall’ingresso abbiamo percorso tutta la parte della prima camera che attraverso una pietraia conduce a un primo grande lago. Da qui è necessario creare un jump verso la linea che ci avrebbe condotto all’interno del ramo est.
Questa parte di esplorazione parte da circa 200m dall’ingresso e si estende per oltre 400m, per una lunghezza totale di circa 600m alla profondità costante di 15m.
La Prospettiva Nevskij è il più grande e suggestivo rettifilo che si trova San Pietroburgo. La strada è conosciuta per l’eleganza degli edifici che vi si affacciano oltre che per la qualità degli incontri letterari che sono stati descritti dai noti autori russi del passato. Il ramo che ci stiamo accingendo ad osservare può essere paragonato per bellezza, lunghezza e particolarità alla via pietroburghese.
L’apertura del tunnel è ampia, si tratta di un portale a tutti gli effetti per maestosità e definizione delle proporzioni della roccia. Il fondale è completamente limaccioso, lunare, composto di doline che celano tacito buchi neri entro cui la luce si perde. Dall’alto scendono grandi blocchi di gesso squadrati. Intagliati e incastonati compongono rilievi geometrici che si contrappongono per forza e linearità al moto ondulatorio del piano inferiore.
Talvolta le bolle causano il distacco di particelle che come scaglie o squame ondeggiano fluttuanti verso il basso. In alcuni pasaggi poco battuti il distacco è tale che l’acqua cristallina sembra essere stata mitigata con il latte.
Le pareti perimetrali di questo ramo sono nette, geometriche. Il passaggio è molto ampio, almeno una decina di metri, mentre l’altezza interna varia a seconda delle sezioni ma restando costante sulla media di circa quattro metri. Saltuariamente si incontrano dei massi distaccatosi dal soffitto che si sono coricati a terra creando delle quinte sceniche molto suggestive.
Quarantacinque minuti dopo aver intrapreso il ramo arriviamo al termine dello stesso. In cima alla linea si trova sulla destra un rocchetto di dimensioni ragguardevoli che è stato lasciato da coloro che per primi hanno davvero esplorato la grotta. Questo sguardo sul passato è significativo ed emotivo allo stesso tempo. La distanza del tempo, seppur in un istante, ti fa apprezzare il significato della nostra momentanea quotidianità e del senso della nostra visita a Orda Cave.
Marker, spool, jump, e riprendiamo una nuova linea che ci permette di risalire fino a quota zero all’interno di una bolla d’aria (respirabile) che sovrasta un piccolo specchio d’acqua. Aspettiamo l’altra metà del nostro team, prendiamo il tempo di visualizzare il percorso fatto e quel che manca da fare e poi di nuovo pollice verso: giù.
Si disfa un jump, si torna alla linea principale del ramo e si fa un nuovo jump che porta dritto alla parete di fondo di uno spazio semi sferico.
La roccia sembra tutta compatta a prima vista, eppure vedo scomparire un paio di pinne al di là della parete.
Una fessura diagonale inclinata a trenta gradi con asse longitudinale nord/est – sud/ovest. Meravigliosa.
Si passa da uno spazio relativamente ampio a un passaggio un po’ più tecnico e molto suggestivo. Le spalle di un subacqueo passano mentre i bracci aperti con i fari video no, ma girati anxh eloro nel senso della spaccatura e tutto torna a funzionare.
Il passaggio è lungo non più di una decina metri. Quando arrivi alla fine sotto a sinistra gli occhi colgono una gola aperta pronta ad accoglierci in uno spazio incantato. L’acqua è così trasparente che sembra essere irreale il tutto. L’altezza non supera il metro e venti, la larghezza i quattro metri. Eppure è tutto così bianco e candido.
Due ambienti uncinati e concatenati tra di loro formano dei piccoli spazi che sembrano essere cappelle radiali di un abside gotico. Resto sempre più convinto che sacralità e monumentalita siano due elementi che contraddistinguono e determinano il carattere di questa grotta: “Quando le cattedrali erano bianche”.
Ultimo giro di walzer, sguardi incrociati all’unisono. È l’ora di tornare e ripercorrere i 600m che ci separano dall’ingresso.
Ho trascorso tutto il rientro ripensando a quel che ho visto in questi giorni, al freddo che mi aspetterà una volta uscito dall’acqua, alla muta e ai moschettoni ghiacciati. Poi ci saranno le interminabili scalinate che si devono percorrere con le sacche spleo in spalla per rientrate al casa base. Quest’ultime ti spezzano il fiato quando hai cappuccio bagnato e il vento ti soffia in faccia la neve a oltre meno venti gradi.
Mi fermo un paio di volte perché sono troppo stanco, devo recuperare il ritmo respiratorio e abbassare la frequenza cardiaca altrimenti lo sforzo è molto e i risultati pochi. Sono passati meno di dieci minuti da quando ho lasciato la superficie del pozzo eppure qui fuori la muta è praticamente gelata. Il neoprene si sta indurendo sempre di più e limita i movimenti. Meglio riprendere il passo dopo pochi istanti altrimenti la situazione non può che peggiorare.
È l’ultima volta che posso guardare il fiume gelato e la steppa al di là dell’argine poi da domani si torna alla realtà. Anche il vento fa il suo giro in un carosello che porta con sé il rumore della canne sbattute e il rumore di una slitta trascinata da un pescatore solitario.
Un passo, e poi un altro passo, poi un altro ancora…