Autore testo: Critiana Rollino
Autore foto: Attilio Eusebio
Un’immersione emozionante: l’Umberto I presso Albenga.
Chi l’avrebbe mai detto che un relitto poco considerato, poco conosciuto e
perfino un po’ bistrattato come l’Umberto I potesse essere così affascinante!
Le emozioni sono frequenti sott’acqua, ma talvolta condizioni particolari di
luce, di ambiente, di affiatamento con i compagni o forse solo lo stato emotivo
rendono un’immersione indimenticabile.
Chi fa immersioni in Liguria ed è appassionato di relitti conosce bene il
fascino dell’Haven, un gigante sull’acqua, affondato in modo drammatico e
scenografico, un relitto imponente che occupa un profondità da -36 a oltre -80
m, con una ciminiera tagliata per permettere la navigazione. Un mastodonte del
mare insomma, che rende l’immersione sempre di grande impatto emotivo, perché
combina fauna ricca e vivace a un ambiente magico, di controluci tra scale e
ponti.
Bellissime dunque le immersioni sull’Haven, da cui si esce con un senso di
maestosità e con la coscienza di aver visitato solo una piccola parte del
relitto, che ha dimensioni ben superiori a quelle che un subacqueo può
affrontare in una sola discesa immersione.
In Liguria sono molti altri i relitti interessanti posti a quote ricreative o
poco più. I più noti sono il Mohawk Deer, un mercantile in disarmo affondato in
una libecciata contro il promontorio di Portofino, il BR20, un bombardiere della
II Guerra Mondiale, con una struttura di metallo e tela in gran parte perduta,
la Bettolina e il Cargo Armato di Sestri L., il Vittoria e il Bolzaneto a
Levanto, l’Equa a Riomaggiore, ma nessuno di questi è magico come l’Haven.
Tuttavia, l’immersione del 27 Luglio 2014 all’Umberto I, che pure avevo già
visitato alcuni anni fa, mi ha impressionato forse più della stessa Haven.
Mi ero immersa su questo relitto in condizioni molto diverse, quando ero ancora
poco più che una neofita della subacquea, controllata a vista dal gestore del
diving e dal mio compagno Attilio. Era stato un fine settimana speciale, in cui
con un’amica avevamo festeggiato il nostro 50° compleanno sulla spiaggia di
Varigotti. Avevamo cenato e ballato sulla spiaggia e fatto il bagno di
mezzanotte come se fossimo stati ancora ragazzini. Il mio ricordo
dell’immersione sull’Umberto I era legato a questa festa e tuttavia, benché
particolarmente felice, non era stato incasellato nell’angolo dei ricordi “big”,
quelli che sono eccezioni perché sono appunto eccezionali.
Questa seconda volta l’immersione all’Umberto I mi è parsa invece magica.
Diversi i sono i motivi per cui mi è piaciuta così tanto, alcuni tecnici, altri
legati all’ambiente, luminoso e selvaggio, e alla conduzione dell’immersione,
che mi è sembrata quasi un’esplorazione.
Il relitto dell’’Umberto I giace a circa -50 m di profondità a SE dell’Isola
Gallinara (1)
Ubicazione del relitto dell’Umberto I: 44° 01’ 42 N e 08° 14’ 15”E a circa 800
metri dall’isola Gallinara
Profondità: massima -51 m, minima -43 m. (1)
La nave, a vela e motore, fu varata a Glasgow il 15 Agosto 1878 e fu dedicata al
sovrano di casa Savoia, che era appena salito al trono. Nacque come nave
passeggeri, destinata alla rotta Genova – Montevideo – Buenos Aires,
successivamente alle rotte mediterranee come collegamento con l’Africa
settentrionale e orientale. Nel 1896 fu utilizzata a Massaua come nave-ospedale,
dal 1910 come nave da carico e, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, fu
requisita dalla Regia Marina come incrociatore nella scorta ai convogli. Fu
affondata da un sottomarino U-35 nel 1917; nel naufragio persero la vita 26
persone (1).
Si trattava di un grande piroscafo di 2766 tonnellate di stazza e di oltre 100 m
di lunghezza. Poteva raggiungere una velocità di 14 nodi e richiedeva un
equipaggio di 80 persone. La prima classe, disposta a prua, disponeva di cabine
sontuose.
L’immersione è resa pericolosa dalle correnti, dal transito continuo di
imbarcazioni e da reti e lenze che spesso vi si trovano impigliate.
L’idea di programmare questa immersione era nata per caso in un giorno in cui
un’ordinanza della Capitaneria del Porto di Genova vietava immersioni all’Haven,
perché era atteso l’arrivo della Concordia dall’Isola del Giglio.
Attilio, Luca ed io eravamo in configurazione tecnica, con bibombola, EAN50 ed
EAN99. Corrado del Marina Diving di Loano conduceva l’immersione con altri due
clienti.
Il relitto non è segnalato in superficie. Dopo averlo localizzato con il GPS e
l’ecoscandaglio, è stata gettata un’ancora collegata tramite 60 m di cima ad un
pedagno galleggiante recante la bandiera rossa con la striscia bianca,
obbligatoria per l’attività subacquea.
Mentre ci accertavamo con multipli rilevamenti che il pedagno non scarrocciasse,
avemmo subito la percezione netta che quel segnale era insufficiente per quanto
ingombrante. Una barca in navigazione a vela e motore si stava dirigendo senza
esitazione sul pedagno: il conducente infatti, benché seduto sottovento, aveva
la visuale coperta dal fiocco. Non avrebbe potuto vederci se non sporgendosi
molto. Lo avvisammo noi!
Subito dopo, un potente motoscafo ci passò accanto, anch’esso evidentemente
ignaro o indifferente alla nostra bandierina.
La fama del relitto non si smentiva!
Dopo che Corrado con due allievi scese a sistemare l’ancora, Attilio, Luca ed io
ci tuffammo dal gommone e ci immergemmo velocemente seguendo la cima. La discesa
era facile, ma lunga, perché la cima che ci conduceva al relitto si era distesa
per la corrente e quindi dovemmo pinneggiare controcorrente per arrivare al
relitto.
Il relitto è appoggiato su una murata. Lo si può seguire fino alla prua, che si
erge verso l’alto e dove si intravede un pedagno abbandonato. L’ambiente è più
austero e selvaggio di quello dell’Haven: niente cima fissa permanente, nessun
subacqueo oltre a noi.
Ad accoglierci al fondo della discesa c’erano due pesci luna (Mola mola).
Questo incontro rese l’immersione particolare fin dall’inizio.
Il pesce luna è il più grande dei pesci ossei (Osteitti) e può raggiungere 4.2 m
di lunghezza verticale e 3.1 m di larghezza. Vive nell’oceano nelle fasce
tropicali, anche se si spinge fino al Sudafrica, all’Australia e alle coste
norvegesi. La sua presenza nel nostro mare è stata particolarmente rilevante
nell’estate del 2014 per effetto del fenomeno di riscaldamento delle acque
(tropicalizzazione).
I pesci luna erano a pochi metri dal fondo e ci nuotarono accanto fino alla
prua. Benché gli esemplari adulti siano pesci solitari, si muovevano quasi in
coppia e così vicini a noi che ho potuto osservare con attenzione la loro
pinneggiata e le loro fattezze. Con il loro profilo ovale schiacciato, sembrano
un’immagine distorta prodotta da uno specchio concavo. La bocca, simile al becco
di un pesce pappagallo, si apre sul profilo e sui fianchi e sembra anch’essa una
caricatura. Le pinne superiore ed inferiore si muovono in modo consensuale nella
stessa direzione laterale, mentre due pinnette laterali minuscole mantengono
l‘assetto. Manca la coda e il profilo posteriore risulta monco. Infatti la pinna
caudale con cui nascono non si sviluppa e si ripiega su se stessa a determinare
questa forma arrotondata, proprio come la macina da mulino (in latino Mola). Ha
una forma veramente curiosa.
Vive in profondità e risale verso la superficie per liberarsi dei parassiti che
ricoprono la sua pelle. Gli Inglesi lo chiamano sunfish, perché in superficie si
dispone in posizione orizzontale, quasi prendesse il sole.
Attilio sembrava incurante dei pesci luna. Eppure era uno spettacolo averli a
fianco per un così lungo tratto ed è raro poterli osservare così da vicino.
Alla nostra sinistra c’era la parete del relitto: molte reti vi sono adagiate,
guardate con doveroso rispetto dai subacquei, che si mantengono ben scostati da
esse per non essere intrappolati. Un pneumatico abbandonato, un oblò, un
ypselodoris
sulla sabbia, nuvole di
anthias. C’era molta luce, era uno
spettacolo bellissimo. E improvvisamente comparve il mostro.
Un mostro marino vero e proprio, un drago, un serpente delle profondità. Nuotava
tranquillo, padrone del relitto, prima in una direzione poi in quella opposta,
con l’incedere di chi conosce l’ambiente, apparentemente incurante di ciò che
c’era intorno a lui.
Ho temuto per i pesci luna e anche per me. Ho pensato: “Resto più in alto:
magari non si accorge di me”. Un incontro faccia a faccia mi avrebbe
terrorizzato. Eppure si trattava solo di un grongo stanziale, come abbiamo poi
scoperto, ma di dimensioni tali da essere mostruoso e irriconoscibile.
La dimensioni del grongo e la forma dei pesci luna aprono uno spiraglio sui
mondi marini degli abissi. Forme strane e inimmaginabili, dimensioni
imprevedibili. La fantasia porta ai racconti di piovre mostruose negli oceani
del sud, ai racconti di Verne e ai terrifici mostri di Poe. Forse gli scrittori
immaginavano qualcosa di vero…
Bibliografia
1) Carta Emilio. “Navi e relitti. Tra
Montecarlo e il promontorio di Portofino”. Azienda Grafica Busco Edizioni.
Rapallo. Anno 2000; P 45-48.
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