Le Maldive, un paradiso di isole incastonate nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, sono tra le mete preferite per milioni di turisti che ogni anno, da ogni parte del mondo, arrivano per perdersi nella miriade di pesci e coralli colorati, che conferiscono a questo arcipelago un fascino unico.
Tuttavia, come le formazioni coralline di tutto il mondo anche le meravigliose scogliere coralline delle Maldive sono soggette a diverse forme di disturbo. La più nota e pericola è quella che deriva dall’ormai sempre più citato cambiamento climatico. Questo “mostro” ha tante facce, e una di queste si manifesta con innalzamenti anomali delle temperature delle acque superficiali. Ecco, quando succede si verifica quello che tutti ormai riconoscono come il fenomeno dello sbiancamento dei coralli (il coral bleaching), ovvero quell’evento dove i nostri tanto amati coralli perdono le alghe simbionti da cui dipendono e muoiono, di fame, letteralmente.
Eventi che hanno compromesso l’integrità di questo ecosistema sono già accaduti nel passato, con uno dei più drammatici che si ricordi datato 1998. Da quella data però la natura ha fatto il suo corso e i coralli sono tornati a farla da padrone facendoci perdere la memoria di quanto pericoloso è questo fenomeno. Questo fino al 2016, quando un altro evento estremo di surriscaldamento delle acque ha di nuovo seriamente cambiato l’aspetto delle scogliere coralline nei primi metri d’acqua, causando eventi di mortalità localizzati di oltre il 90%. In alcuni punti anche del 100%. Un deserto per intenderci.
Sebbene questi eventi stiano aumentando di intensità e frequenza rendendo i ricercatori di tutto il mondo “pessimisti” sul futuro di questo ecosistema, le Maldive mostrano ancora una volta un’estrema, quasi inaspettata, capacità di ripresa.
Dottori dei coralli alle Maldive
Sembra fantasia ma è tutto vero. La natura sta facendo il suo corso come meglio non potrebbe fare. Infatti, la testimonianza dei ricercatori del MaRHE Center, un outpost dell’Università degli Studi di Milano Bicocca che si trova a Magoodhoo nell’atollo di Faafu, riporta la ricrescita dei coralli laddove sembravano scomparsi. Ma c’è di più. Infatti i tassi di crescita sembrano apparentemente alti, soprattutto per il genere di corallo più abbondante dell’arcipelago: l’Acropora. Questa ripresa sta alimentando la speranza dei ricercatori che non escludono un completo recupero in tempi brevi. Ovviamente si parla di anni, almeno 5, se non 10, prima di tornare allo splendore precedente il disastro e questo sempre che altri eventi estremi non tornino a rifare danni.
Queste aree hanno un valore inestimabile in quanto fonti di nuove generazioni di coralli, adattati a situazioni ambientali differenti e forse più resistenti ai cambiamenti climatici che sicuramente in futuro dovranno affrontare. Per questo alle Maldive ci si porta anche avanti. I ricercatori del MaRHE center si stanno adoperando per aiutare la ripresa delle scogliere coralline, allevando e trapiantando (si proprio come le piante, uno ad uno) quelli che ritengono essere i coralli più resistenti e che più velocemente ricostruiranno l’habitat perduto. Diverse tecniche vengono sperimentate, tutte con il medesimo concetto: si parte da un frammento, posizionato in strutture chiamate nurseries, e fatto crescere fino alla taglia desiderata prima di essere trapiantato sul reef. Con loro, la speranza è che aumentino i pesci e tutta la fauna associata da cui dipende la sopravvivenza di questo magnifico ecosistema marino.
Cerotti per i coralli delle Maldive
E per non farsi mancare nulla, e per salvare più coralli possibile, ci si inventa anche dottori! I dottori dei coralli. Fa ridere un pochino, ma grazie ad una collaborazione con l’istituto Italiano di Tecnologia di Genova e l’Università di Milano Bicocca è stato sviluppato un trattamento con “cerotti” intelligenti in grado di curare i coralli danneggiati dall’attività dell’uomo. Infatti, oltre al sopra citato sbiancamento dei coralli, questi animali sono ultimamente sempre più soggetti a malattie di origine biologica, ovvero causati da batteri, virus o funghi. Le patologie che possono causare la morte di questi animali sono più di 40, ma purtroppo ad oggi non esistono interventi curativi efficaci atti a prevenire o curare queste patologie, mettendo sempre di più a rischio l’eccezionale biodiversità di questo ecosistema.
Per questo studio sono stati utilizzati i coralli appartenenti alla specie Acropora muricata, coralli costruttori tipici dei mari tropicali e inseriti dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) tra le specie a rischio di estinzione.
I ricercatori hanno sviluppato un trattamento con cerotti smart, completamente biocompatibili e biodegradabili da applicare sulle “ferite” dei coralli, che rilasciano in modo controllato principi attivi (ad esempio antibiotici e antiossidanti) e che ne permettono l’adesione al corallo, curandolo. Il trattamento consiste nell’applicazione di un primo cerotto che rilascia farmaci direttamente nella ferita del corallo evitando che questi ultimi vengano dispersi nell’ambiente, per poi successivamente sigillare la parte danneggiata dell’organismo con un secondo cerotto in modo da fermare il potenziale ingresso di ulteriori agenti patogeni. Il cerotto, sperimentato in laboratorio e nel mare delle Maldive, agisce localmente ed in modo controllato senza alcun danno per gli organismi o l’ambiente circostante.
Quest’applicazione rappresenta una novità assoluta nello studio delle malattie dei coralli. Sempre più patologie mettono a rischio la sopravvivenza dei coralli e l’integrità delle scogliere coralline in tutto il mondo. Seppur molto diffuse, pochi sono gli studi e le tecniche che possono essere utilizzate per ridurne gli impatti. Tra queste, la più comune, è la totale rimozione della colonia o della parte della colonia malata, con conseguente ulteriore danno alle comunità coralline. Grazie a questo studio la possibilità di curare direttamente in loco i coralli malati con cerotti specificatamente preparati per la cura selettiva di alcune malattie diventa realtà e apre nuovi orizzonti verso una conservazione più efficace di uno degli ecosistemi naturali più meravigliosi del nostro pianeta.
Foto subacquee di Massimo Boyer