Autore: Francesco Turano
Australia meridionale: una piccola isola, a un’ora di volo da Adelaide, ospita strane creature marine che pochi subacquei hanno avuto la fortuna e il privilegio di osservare e fotografare almeno una volta nella vita. La curiosità mi spinge a imbarcarmi su un volo verso quella che chiamano l’isola dei canguri, Kangaroo Island, per cercare di studiare e fotografare i famosi draghi di mare, splendidi cavallucci marini dall’aspetto fiabesco le cui sembianze richiamano l’affascinante corporatura di un drago.
Primo piano del dragone di mare, in tutto il suo splendore e la sua unicità.
Il tempo è bello: una giornata di sole mi rasserena mentre inizia la rincorsa sulla pista del minuscolo aeroplano, le cui dimensioni mi inquietano. Decolliamo e iniziamo lentamente, molto lentamente, a prendere quota con quel trabiccolo che sembra un autovettura con le ali. A bordo non arriviamo a dieci passeggeri, pilota incluso, e siamo tutti rannicchiati uno sull’altro; io sono in coda, a toccare con il portellone finestrato, e mi godo il panorama dall’alto, con un brivido latente che mi assale a ogni colpo di vento che l’aereo percepisce. Un’ora, per fortuna, passa in fretta, e non mi accorgo, perso nei miei pensieri, che stiamo iniziando la discesa (sembra di precipitare…) verso la pista di atterraggio dell’isola dei canguri.
Il territorio incantato di un’isola di cui conservo sempre vivo il ricordo.
A terra, accanto a un fuoristrada, mi aspetta una simpatica signora, con la quale riesco a stento a intavolare un discorso con il mio pessimo inglese; riesco comunque a capire che è la moglie del titolare del resort dove albergherò nei prossimi giorni e cerco di godermi lo spettacolo tutto nuovo dal finestrino dell’auto, lungo il tragitto. Percorriamo mezza isola tra un sobbalzo e l’altro e finalmente giungiamo in un luogo bellissimo, una vera e propria “farm”. Per dirla con parole povere, qualcosa di simile a un nostro agriturismo, molto ben organizzato.
Le coste dell’isola le cui spiagge sono popolate da colonie di grandi leoni marini
Prendo visione del luogo, fantastico, e faccio un giro sull’isola nel pomeriggio, ansioso di iniziare le immersioni l’indomani. Josie e Jim Thiselton sono i gestori dell’unico centro attrezzato per immergersi nelle acque dell’isola, il Kangaroo Island Diving Safaris: è con loro che affronterò queste gelide acque ricche di vegetazione alla ricerca, a quanto pare difficile, dei rari e mimetici draghi di mare.
La strada da percorrere per raggiungere il mare partendo dalla fattoria di Jim.
La forma di kangaroo island, sviluppata in lunghezza, ricorda un pò quella di Lampedusa nel Mediterraneo. Il paesaggio, invece, poco ha a che fare con un’isola del nostro mare: mi sembra più un paesaggio umbro, molto verde, con dolci colline e boschi di eucalipto frequentati però da koala e canguri; una sorta di Umbria circondata dal mare, con tratti costieri caratterizzati da ampie spiagge ed enormi dune, dove riposano pigramente i leoni marini, e tratti di costa rocciosa dove invece si nascondono le otarie. Che spettacolo della natura: animali e uomini sembra che qui convivano pacificamente. Un sogno…
Le scogliere dell’isola e il mare lungo che ha caratterizzato i giorni del mio soggiorno in questa terra bagnata da un mare stupendo e per me nuovo e per certi versi simile al nostro Mediterraneo.
Potrei spendere molte righe per parlarvi delle emozioni vissute fotografando i leoni di mare dormienti sulla sabbia, o i koala, sempre dormienti, tra i rami dei loro alberi preferiti, ma preferisco condurvi alacremente nel cuore del discorso per comprendere quale strano diving e quali personaggi mi hanno portato in mare alla ricerca dei tanto ricercati dragoni di mare.
Jim e la sua barca
Jim, un bel tipo di mezza età dal fisico asciutto, recupera i suoi clienti di buon mattino. Quando arrivo al diving mi rendo conto che qualcosa non quadra: sembra più una fattoria e non vedo mare da nessuna parte. Solo mucche al pascolo e un simpatico cagnolino, ma non capisco: dove sono finito? Davanti a me vedo una sorta di camion posteggiato accanto a un prefabbricato, che dall’esterno ricorda molto un ricovero per animali (una stalla…). Ma quando mi affaccio sull’uscio, seguendo Jim, trovo con sorpresa quello che cercavo: attrezzature subacquee appese ovunque. Tutto ciò mi rinfranca lo spirito. Non ho sbagliato, il posto è quello giusto. Adesso manca solo il mare. Prepariamo le nostre casse con le mute pesanti, bei “cappottoni” umidi da otto millimetri, e carichiamo i monobombola nel vano, creato apposta, di quello strano mezzo a quattro ruote. Siamo pochi, tre sub e Jim con un suo aiutante. Saliamo a bordo e ci stringiamo nella cabina. Il rombo del motore diesel interrompe il silenzio tipico del luogo: si parte diretti al mare.
Il diving e il curioso mezzo di trasporto per il trasferimento a mare.
Il camion percorre un strada sterrata che ci stacca il sedere dal sedile più volte; il percorso, stretto e sinuoso, è un continuo saliscendi in mezzo a splendide campagne; sembra un po’ la strada di un fumetto, non credo ai miei occhi. Ogni tanto un sobbalzo più forte ci porta alle orecchie il rumore delle bombole che urtano una contro l’altra, attutito dal rombo del motore diesel; ma il paesaggio primaverile è talmente bello intorno a noi che il mio sguardo, perso nei gialli e nei verdi di queste terre ancora vergini (almeno all’apparenza), è talmente assorto che lo scorrere dei minuti quasi non lo percepisco. Dopo un po’, all’orizzonte, appare una striscia azzurra: è il mare. Tra uno scossone e l’altro passano una ventina di minuti prima di arrivare presso una baia dove, grazie a un canale naturale, il mare si insinua creando una sorta di porticciolo in miniatura per una sola barca: la barca di Jim! La situazione è alquanto insolita e originale: un diving fuori dal comune, ma nulla da dire. Si parcheggia tra i ciottoli e si trasferisce a bordo l’attrezzatura.
Una simpatica e giovane otaria mentre riposa dopo il lauto pasto. Dal 1803 al 1836 oltre 500 cacciatori di foche furono attratti dalla costa di Kangaroo Island e cacciarono le colonie di otarie australiane fin quasi all’estinzione. Le pelli e l’olio di foca furono tra i primi prodotti esportati da Kangaroo Island.
Jim è molto attivo e forte, ma nello stesso tempo calmo e sicuro di se. Accesi i motori della sua pilotina, percorriamo il breve canale affrontando da subito onde di un mare vecchio e lungo, ma senza vento. Appena ci allontaniamo un po’ dalla costa vedo subito quel dolce paesaggio giallo e verde confinare con l’azzurro del mare: rara e magica visione. Poi ecco le scogliere ai piedi delle verdi colline prendere forma e assumere maggior vigore: alcuni speroni affioranti nascondono qualcosa che Jim sta indicando con un dito mentre borbotta in un inglese impastato. Intuisco che si tratta di otarie, mimetizzate tra gli scogli scuri, quasi dello stesso colore della pelle dei mammiferi.
Penso subito: chi sa se riuscirò a vederle sott’acqua, mentre nuotano libere e sinuose. Jim si avvicina a terra e mi fa scattare qualche foto agli animali, indifferenti alla nostra presenza: quei bei musetti con quei lunghi baffi e i grandi occhioni languidi destano la nostra attenzione e ci rapiscono per alcuni istanti, come furono rapiti gli uomini di Ulisse dalle sirene dello Stretto, tra Scilla e Cariddi; ma noi siam senza tappi nelle orecchie e i versi delle otarie penetrano le nostre anime di umani oramai distratti e disabituati ai suoni della natura.
La baia dove Jim tiene al riparo la sua piccola imbarcazione per le immersioni e le operazioni di imbarco.
D’un tratto eccoci sul punto adatto all’immersione: non siamo lontani dalla linea di costa e siamo protetti da un’ansa con punte prorompenti che riparano dalle onde, rendendo sicuro l’ancoraggio. Un brivido eccitante ci assale mentre iniziamo a preparare l’attrezzatura per il primo tuffo: ci aspetta un fondale che non riesco ad immaginare o a ricostruire con la mente sulla base delle descrizioni di Jim. Quel che so è che l’acqua non è limpidissima, che la temperatura è bassa, circa 12°C, e che la profondità è modesta; tutto si svolgerà tra i 15 e i 20 metri al massimo, forse meno. Inoltre ci muoveremo in mezzo a una fitta vegetazione, tra una moltitudine di alghe e piante marine tra le cui fronde si celano i draghi di mare che ci han trascinati fin qui. Ma eccoci pronti al tuffo; Jim ci avvisa: occhi aperti e attenti e, una volta che lui avrà trovato per noi il primo esemplare di drago marino, niente maneggiamenti e carezze al povero pesciolino. Si tratta di un animale estremamente delicato e sarà possibile osservarlo e fotografarlo ma solo con estrema accortezza. Siamo solo tre subacquei e per fortuna sono l’unico fotografo.
Via: un salto e il mondo sommerso sotto di noi è pronto a svelare una parte dei suoi numerosi segreti. Penetro nell’elemento liquido e, al dissolversi delle bollicine create dall’impatto del mio corpo con l’acqua, ecco il mare dell’Australia meridionale, per la prima volta: gli occhi percepiscono subito un’atmosfera ovattata e sotto di me si intravede il fondo, davvero molto scuro. Le onde mi sballottano e tiro fuori la testa per vedere gli altri e cogliere il loro segno di ok per procedere. Scendiamo: Jim avanti e noi dietro poco distanti. Che spettacolo: le lunghe foglie di alghe giganti simili alle nostre laminarie ondeggiano spostate dall’effetto dell’onda lunga; alghe più piccole ricoprono ogni centimetro di roccia. Un grosso pesce mi viene subito incontro: è grande e somiglia a un napoleone, ma è tutto blu. Scatto le prime foto, ma lascio subito il pesce alle sue cose concentrandomi sul fondale. L’acqua è davvero fredda, ma la muta abbastanza pesante e l’attenzione verso la ricerca del Seadragon non lasciano spazio alla percezione del brivido.
Con grande soddisfazione anticipo Jim di poco e individuo il primo esemplare: bellissimo!
Osservandolo da vicino mi rendo conto che la coda del cavalluccio è colma di uova, raccolte a grappolo come solo in rare immagini avevo avuto modo di osservare. Adesso il dragone con le uova era davanti ai miei occhi ed io lo stavo fotografando. Jim mi osserva e mi fa cenno che anche lui ha trovato un dragone. Questa avventura promette bene!
Un bellissimo esemplare di Leafy Seadragon sorpreso fuori dagli intricati meandri della giungla sommersa.
Il Leafy Seadragon o Phycodurus eques in un contesto che evidenzia il suo potere mimetico, nonostante il lampo del flash annulli gran parte di tale efficace mimetismo.
Quando si parla di seadragon è bene sapere che qui vivono due specie diverse: il Weddy Seadragon o Phyllopteryx taeniolatus e il Leafy Seadragon o Phycodurus eques. Il primo è quasi del tutto privo di quelle appendici che hanno portato alla nascita del nome volgare, Seadragon o dragone di mare (o ancora dragone foglia), mentre il secondo è invece dotato di moltissime appendici a guisa di foglie lunghe e sottili, che gli consentono un mimetismo impeccabile tra la vegetazione del fondale e lo rendono specie unica e dall’aspetto inconfondibile. La differenza tra le due specie ricorda un po’ i cavallucci del Mediterraneo, anch’essi distinguibili, tra le altre cose, dalla presenza o meno di appendici cutanee. Il dragone che ho davanti agli occhi a inizio immersione è un Weddy Seadragon maschio. Sono i maschi che infatti custodiscono le uova tenendole aderenti al proprio corpo fino alla schiusa. L’emozione nell’osservare dal vivo un simile animale è molto forte: il colore dell’esile corpo è giallo e arancio con una fitta retinatura sul capo e sull’addome. Il lungo muso e il collo appaiono di un bel blu tendente al viola e poche appendici si dipartono come pinne dal capo, dal dorso e dalla coda. Gli spostamenti del pesce sono lenti e sfuggenti: l’animale è evidentemente timido.
Le gigantesche dune di sabbia in prossimità di una delle spiagge più belle.
Lascio il dragone con le uova e mi dirigo verso Jim, che intanto ha trattenuto un bellissimo esemplare di Leafy Seadragon: e ricomincio a cercare la giusta inquadratura per immortalare la straordinaria creatura, sperando di sfruttare a dovere la poca luce dell’ambiente e di riuscire a dosare il lampo del flash in una situazione direi proprio difficile. Il corpo sinuoso del dragone è di un bel giallo, con striature verticali sottili bianche bordate di rosso. Le numerose appendici che si dipartono dal corpo sono invece verdastre, con maculatura rotondeggiante scura. Le pinne, trasparenti e piccole, non si vedono quasi. L’animale, come tutti i singnatidi, ha un nuoto pessimo ma una indescrivibile eleganza, tutta concentrata in quaranta centimetri al massimo, la sua lunghezza. Non esagero con i lampi e mi contento di pochi scatti. Mi spiacerebbe forzare la mano su una creatura così delicata. L’immersione continua.
Il Magpie perch (Cheilodactylus nigripes) ricorda vagamente il nostro sarago faraone e si nutre di alghe, molluschi e policheti. Popola i fondali ricchisimi di vegetazione, dove trova cibo abbondante, ed è timido ma disponibile a brevi approcci col subacqueo.
Altro stranissimo pesce, ben nascosto tra le intricate alghe del fondale. Il raimbow cale o Odax acroptilus, non supera i 20 cm di lunghezza massima ed è un incontro inusuale e difficile per via delle sue capacità mimetiche.
Mi guardo finalmente intorno con più calma e comincio a rendermi conto dell’ambiente e della notevole quanto inconsueta biodiversità del mare di questo piccolo lembo di Australia. Stelle marine dalla superficie ruvida e vellutata e con colori mai visti, strani celenterati dai tentacoli vermiformi e madrepore che ricordano le nostre margherite di mare solo nella forma, ma dai colori plumbei e con striature a raggiera. Pesci simili ai nostri sparidi, ma con colori accesi, e ancora pesci in gruppi di numerosi individui, tutti fermi, come sospesi nel vuoto, dalla livrea bianca e nera a strisce verticali (…).
il Weddy Seadragon o Phyllopteryx taeniolatus, incontrato con le uova aderenti al ventre e mal fotografato per mancanza di sfondo adatto a farlo risaltare. La scelta di non disturbare l’animale in questa delicata fase della sua esistenza mi ha portato a rinunciare a una bella immagine.
Ma Jim sbraita e attira ancora una volta la mia attenzione: un altro Seadragon. Ancora un notevole esemplare dalle lunghe appendici a foglia, ancora una possibilità di aver ragione di qualche scatto. Il nuovo animale sembra disponibile a mettersi in posa e, nuotando deciso verso il confine della “fitta boscaglia” con la sabbia del fondale, mi offre l’opportunità di sfruttare uno sfondo più chiaro ottenendo una maggior risalto del soggetto. Inutile dire che sono immerso con due corpi macchina e due diverse ottiche. Inutile dire che nei giorni a seguire, pochi ma intensi, ho continuato a immergermi con due corpi macchina. Con la pellicola, la mitica Velvia per diapositive, oggi un ricordo per molti fotosub, un bellissimo ricordo di un epoca ancora in fase di estinzione…
Ancora un Phycodurus eques in prossimità del fondale a circa 12 m di profondità.
Oggi, a distanza di tempo, ricordo ancora quei magici istanti accanto ai dragoni di mare. Li vivo ogni volta che proietto quelle immagini, li sento vicini. E un Seadragon è appeso all’ingresso di casa, incorniciato da un bordo di legno che ricorda i colori delle sue belle appendici, e mi guarda quando entro e quando esco, ogni giorno, ricordandomi l’attimo in cui, al confine tra le alghe e la sabbia, a una ventina di metri di profondità, ho realizzato la foto più bella del mio appassionato reportage.
Un curioso pesce delle fredde acque di Kangaroo Island: lo chamano old wife ed è molto comune in queste acque. Scientificamente è Enoplosus armatus, ed è molto bello da osservare; vive spesso in coppia e ma in gruppi di pochi individui. Ha indole tranquilla ed è conosciuto e temuto dai pescatori locali a causa della sua spina dorsale, molto velenosa.
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