Autore: Giuseppe
Piccioli Resta
Sembra talvolta di rivivere esperienze,
percezioni e la sensazione è definita deja vu. Sarà capitato a tanti di noi
intrappolare, nelle reti dei pensieri quotidiani, un fiocco d’alga inatteso, una
reminiscenza: “Questo l’ho già vissuto”.
Non c’è quasi mai spiegazione e, dopo qualche istante, l’alga filtra tra le
maglie e si perde, nella corrente della vita.
Si narra inoltre che l’ultimo sogno, intessuto
tra buio e aurora, rechi il segreto della vita. A pochi eletti, però, pare sia
concesso custodirne il ricordo. Una notte ciò accadde e fui l’eletto, perché
qualcuno, o qualcosa, mi concesse di ricordare.
Sognai un luogo adimensionale, nero, neutro, un Mare placentale e tiepido. Nel
vuoto incrociarono forme diafane, improbabili vascelli cerulei, tentacoli e vele
per motori, espansioni e contrazioni i movimenti. Una alla volta, senza
confusione, mi raggiunsero e mi superarono, reagendo a un ordine sotteso e
arcano, cui non ci fu logica e legge se non la lenta progressione. Fu come
sentire un fluido caldo: ognuna di quelle forme era un sogno, un’idea casuale e
ordinata che attraversò la mente nel sonno… Avvertii, però, montare
un’aspettativa, con un senso di delicata sospensione. La mente si preparò
all’idea successiva e al contempo si chiese il senso ultimo di quella
processione.
L’attesa preparò all’incontro, non scorderò più
quella certezza, come la liturgia personale, celebrata dalla dolce solitudine,
prepara all’eucarestia. Le idee, i sogni, improvvisamente smossero l’equilibrio
con un vuoto, breve e intenso. Poi, come la nascita, irreversibile fino alla
morte, tutto mutò e gli fece largo. Il nero parve ispessirsi e il vuoto
colmarsi, le armonie cambiare, le forme ampliarsi.
Eccolo, il sogno centrale, affrontarmi come la soluzione di un’equazione
irrazionale. Non diafano, ma solido, non finito, ma sterminato, più del nero.
Non ho la possibilità di descriverlo, oltre la terza dimensione la mente non
travalica, ma so di aver sognato la forma e l’essenza di un angelo. Ne fui
attraversato, permeato, intriso, fu la fecondazione mentale, cervello e anima ne
divennero gravidi. Pochi attimi, poi scomparve, quasi appena accortosi di me,
esattamente nell’istante in cui il buio, timido, scolorì.
La notte cedeva il timone all’aurora. Tutto
cambiò, fui sveglio. Nelle reti dei pensieri rimase però qualcosa: la liturgia e
l’eucarestia, restò l’angelo e la fecondazione. Per tempo, molto tempo.
Fino allo scorso aprile, quando decisi, senza ragioni, di perdermi nel Mare di
Santa Maria al Bagno, miglia e miglia al largo dalla Puglia Jonica. Nulla
intorno, come nel sogno, centinaia di metri d’acqua sotto di me, forse mille e
più.
Fu allora che realizzai, fu allora che riallacciai le dimensioni: stavo
ricostruendo il sogno, la liturgia, l’eucarestia. Certe cose accadono perché il
tempo è in armonia con se stesso e, inflessibile, governa. Stavolta non dormivo
quando giunsero le forme, sempre diafane ma concrete, gli stessi organi e gli
stessi movimenti. Gli studiosi la chiamano fioritura planctonica, io mi limito a
considerare, stupefatto, come sia stato assolutamente uguale al sogno: ogni
idea, ogni immagine fu replicata e trasposta dal nero placentale al blu
dell’acqua.
E poi l’attesa, l’eucarestia, l’angelo. Il suo
arrivo fu la gemmazione dimensionale. Anche stavolta parve saturare il Mare,
parve ESSERE il Mare. Sopraggiunse, avendolo atteso da quella lontana notte,
placido, metallico, etereo, alato, infinito. Anche stavolta mi attraversò
cervello e pensieri e cuore e sangue. Anche stavolta un minuto, o un periodo
geologico, il tempo è in armonia con se stesso, non è dato di misurarlo. Solo,
fra i neuroni, le forme, le movenze, l’essenza dell’angelo, del bellissimo,
celestiale, rarissimo, sconosciuto pesce nastro. Nuovamente, dopo che restai
solo, ebbi la certezza che un sogno fosse terminato.
Ancora una volta fui l’eletto perché lo
ricordai, perché ho le foto, perché oggi sento di esserne stato fecondato.
Perché, dal sogno antelucano al bagno in Mare, sempre il tempo in armonia con se
stesso, sono inspiegabilmente trascorsi trentuno anni. Oggi mi chiedo,
incredulo, innamorato, quale sia l’essenza dell’angelo.
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