Whale watching a Rurutu nelle isole australi della Polinesia Francese, l’isola di Rurutu è famosa per le sue maestose megattere.
Queste balene megattere giungono annualmente tra luglio e ottobre nelle acque cristalline di Rurutu per riprodursi. L’isola, diversa dalle classiche mete polinesiane, offre un paesaggio vulcanico e una vegetazione rigogliosa. Qui, le megattere si avvicinano così tanto alla costa che è possibile nuotarci accanto. Questo spettacolo unico al mondo attira appassionati di natura da tutto il globo, rendendo Rurutu una destinazione straordinaria per chi desidera vivere un’esperienza indimenticabile tra le meraviglie subacque della Polinesia Francese.
La sagoma dell’ATR 72 della compagnia Air Tahiti, che garantisce i collegamenti nazionali tra le infinite isole della Polinesia Francese, proietta la sua ombra su una pista verde dell’Arcipelago delle Australi.
I passeggeri sono incollati all’oblò da diversi minuti, a scrutare la distesa azzurra del mare. Si trasferiscono da un lato all’altro del piccolo velivolo, in maniera indisciplinata. Trasgrediscono l’invito a tenere allacciate le cinture di sicurezza, immemori dei loro stessi sottili timori di volo. Tutti a guardare in basso con i nasi incollati ai vetri. Sono arrivate?
L’aeromobile raggiunge la costa e sorvola una fitta giungla, che non è equatoriale, ma ridossata al Tropico del Capricorno. Sembra immergervisi e sparire tra la lussureggiante vegetazione quando accelera la discesa e in pochi secondi guadagna l’atterraggio lungo una striscia umida e polverosa. Bienvenue à Rurutu! È vero che la mappa dell’isola ricorda in modo impressionante la forma dell’Africa, ma evidentemente non è solo una suggestione geografica.
Il pick-up che si inerpica sull’altipiano di Rurutu attraversa piste scoscese circondate da fitta boscaglia, piantagioni di banani, palme da cocco e alberi secolari dalle radici tentacolari che si aggrappano al terreno muschioso.
Una giungla impenetrabile, rigogliosa, sempreverde grazie all’umidità che nutre il sottosuolo innaffiato da piogge abbondanti, al punto tale da rendere necessario l’intervento dei disboscatori per evitare che la vegetazione inghiotta tutto. Sarà una questione di latitudine, ma la prima impressione è quella di essere giunti nel cuore di tenebra dell’Africa subsahariana.
E invece è Polinesia francese a tutti gli effetti. Non la Polinesia descritta dalle immagini dei dépliant turistici, fatta di motu e lagune blu. Rurutu è l’esempio contrario dello sprofondamento dei coni vulcanici da cui si sono formati gli atolli come quelli dell’Arcipelago delle Tuamotu.
Il fenomeno geologico da cui è nata l’isola, detto makatea, è la riemersione del vulcano sommerso grazie al sollevamento del fondo oceanico provocato dall’attività eruttiva sottomarina e dai movimenti tettonici. La frastagliata scogliera di falesie che caratterizza in più punti i trentadue chilometri di circonferenza, è la barriera corallina riaffiorata, costellata di grotte calcaree. Anche le caratteristiche morfologiche del terreno differenziano i due ecosistemi.
Arido e corallino quello delle isole Tuamotu, fertile e ricco quello di Rurutu, di origine vulcanica. Mentre nelle prime la coltivazione è impossibile e le verdure sono praticamente assenti, a Rurutu è un trionfo di frutta tropicale. Avocado, pompelmi, manghi e papaie pendono dagli alberi folti. Il verde domina con tutte le sue sfumature.
Il noni, balzato agli onori della cronaca e largamente commercializzato all’estero per le sue proprietà medicamentose di anti-invecchiamento, è il frutto più celebre della Polinesia e la sua forma ricorda il fico d’India.
Il taro, radice commestibile simile ad un tubero, alla base della dieta locale, orna il terreno con le sue grandi e lucenti foglie che tappezzano l’ingresso della Grotta Ana’Aeo istoriata di imponenti stalattiti e stalagmiti. L’albero del pane, entrato nella leggenda delle spedizioni via mare, si erge rigoglioso, con i suoi grandi frutti ovoidali e le naturali incisioni sul tronco.
C’è un altro albero, che a luglio perde il fogliame per esplodere in un tripudio di rosso scarlatto. È l’Erythrina, chiamata anche “albero corallo” per la gradazione di colore che assume. Eppure non è per questo che i viaggiatori giunti fin qui, in questo lontano ed isolato arcipelago del mondo, lo cercano.
Sanno che l’inizio della fioritura sarà il segnale di qualcosa. Atae, arbre aux baleines, l’albero delle balene. Così lo hanno rinominato gli abitanti di Rurutu. E la credenza vuole che allo sbocciare del primo fiore, le balene saranno giunte nelle acque dell’isola. Sono arrivate? La fremente curiosità che ha generato trambusto sull’aereo diretto all’isola delle balene, crea suspense ed emoziona una volta saliti sul poti marara (barca da pesca polinesiana).
È l’ultima settimana di luglio. Voci non confermate si rincorrono. C’è chi dice che ne sono state avvistate due, le prime. È il début della stagione delle baleines à bosse, le balene megattere che ogni anno, dalla fine di luglio ad ottobre, arrivano a Rurutu per riprodursi. E, grazie alla mancanza di una laguna protetta dalla barriera corallina, come negli altri atolli della Polinesia, si avvicinano a pochi metri dalla costa.
A tal punto da riuscire ad identificarle agevolmente e scendere in acqua per nuotarci insieme.
È un’occasione rara e preziosa, in un luogo unico al mondo dove si ha la possibilità di osservare da vicino questi gentili giganti degli oceani. Ma non è semplice.
Il primo tentativo fallisce. Il mare è grosso, e nonostante la quattro ore di faticosa ricognizione intorno al perimetro dell’isola con soste frequenti in balia della risacca, l’altezza delle onde non permette alcun avvistamento. Delusione mortale! Ma non bisogna darsi per vinti. Domani si riprova, le previsioni del tempo promettono miglioramento.
E così, si risale in barca la mattina seguente, con la speranza di essere ripagati per la costanza e la devozione manifestate. Il mare si è placato nella notte e il sole fa capolino tra le nuvole. Gli occhi scrutano in ogni direzione. Un dorso, un soffio, un riflesso. All’improvviso esplode l’urlo concitato di un natante. “Eccole!” Due balene infrangono l’acqua e si reimmergono. Il tempo di aspettare che abbiano la necessità di tornare in superficie e tutti sono pronti con pinne e maschera. Meglio indossare una muta sottile per essere più veloci, nonostante la temperatura fresca. Via, tutti giù dalla barca, scivolando silenziosamente, senza far rumore per non intimorirle e indurle alla fuga.
La scena che si presenta agli occhi stupefatti degli snorkelisti è magica. Sono una coppia, allargano le lunghe pinne pettorali a croce e le richiudono lentamente come in un abbraccio. Si sovrappongono, come a proteggersi. È la danza del corteggiamento, lieve, dolce, struggente. E all’improvviso, partono parallele, in verticale, verso l’alto. Si girano con il ventre bianco rilucente nell’oceano blu cobalto e tagliano il mare con la testa fuori dell’acqua, a respirare.
È l’emozione che non si può spiegare, è la commozione che non trova parole e ammutolisce coloro che hanno assistito a questo meraviglioso spettacolo della natura. E poco importa se la visibilità non è eccezionale. Ci sarà un’altra occasione per le foto e le riprese.
L’opportunità agognata si presenta il giorno successivo. A pochi metri dalla banchina di attracco, c’è una boa. Ma quella mattina ha qualcosa di particolare. Una pinna pettorale di balena sbuca di fianco al rosso galleggiante. Possibile? Raggiunto il punto in pochi minuti, la visione dalla barca è nitida: è proprio una balena e dorme beatamente. Ce l’avrà messa l’Ente del Turismo di Rurutu per incrementare il whale watching nell’isola! Si scende silenziosamente in acqua.
La luce è perfetta, gli apparecchi fotografici sono già in funzione, quando il giovane esemplare di Megaptera Novaeangliae di circa tredici metri di lunghezza si sveglia, si stiracchia e punta dritto in direzione di uno dei cameraman subacquei. Forse in un moto di vanità vuole farsi fare dei primi piani. Il prescelto, che è una donna nella fattispecie, indietreggia compostamente continuando a scattare fotografie.
L’imponente mammifero marino s’immerge ma subito risale in preda ad una curiosità evidentemente non soddisfatta. Ripunta la stessa persona, le si getta addosso con tutta la sua mole di venti tonnellate e non accenna a spostarsi. L’ignara snorkelista allora gira i tacchi, anzi le pinne, e se la dà a gambe. Fantastico. Decisamente non è da tutti essere oggetto di curiosità di una balena. L’istinto ha prevalso in entrambi gli esemplari delle due specie, ma quella umana esce dall’acqua dominata da un moto di orgoglio e da una grande felicità, per aver avuto il privilegio di essere stata scelta.
La sera ci si trasferisce nella piazza centrale del villaggio di Moerai. È luglio, il mese dell’Heiva, la più grande manifestazione di cultura tradizionale polinesiana. Tutti gli abitanti dell’isola sono presenti, in cerchio, per assistere alle gare di danza in costume. I musicisti danno il ritmo al suono delle percussioni e le scuole di danza sfilano in gruppo e individualmente. E il pubblico applaude, incita. Al momento dei canti, è un coro unanime, della piazza intera.
Canti di gioia che celebrano la grande allegria di questo popolo così dolce e accogliente. Le mama, nei negozietti di artigianato, intrecciano cesti e cappelli con le fibre di pandanus, chiacchierano con figlie e nipoti, tramandano l’arte ai componenti delle famiglie allargate.
Di notte i paguri approfittano del buio per nutrirsi dei frutti caduti dagli alberi o per impadronirsi delle conchiglie vuote raccolte dai turisti e messe ad asciugare sulla soglia dei bungalow. Si riprendono ciò che è loro di appartenenza. All’ora del tramonto, quando il cielo s’infuoca del rosso vermiglio del sole che scende all’orizzonte, una balena salta fuori dell’acqua e compie mirabolanti acrobazie, quasi a voler salutare il viaggiatore che, steso sulla battigia, contempla in silenzio lo spettacolo della natura.
Sono arrivate? Sì, le balene sono arrivate e l’Atae, arbre aux baleines, l’albero delle balene, è fiorito. Magia di Rurutu.
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