Autore: Francesca Chiesa
Dare voce ai pensieri non è impresa facile. Ancora più intimo è dare un corpo, una forma, un respiro alle emozioni.
La vita è un susseguirsi di emozioni, sta a noi saperle cogliere e renderle parte integrante di noi stessi, leggendole con gli occhi del cuore. Ed è per questo che ci emozioniamo di fronte all’innocenza che certe creature conservano ancora.
È un’ora che vagabondiamo alla ricerca di un “tesoro nascosto”; un ricco forziere che il mare ha inghiottito come raccontano le migliori novelle, quando un branco di calamari appare dal nulla. Si allontanano, passeggiano quasi tenendosi per mano concentrati nella loro ricerca quotidiana di cibo. Si sentono tranquilli, c’è un muro d’acqua che ci separa. Basterebbe uno sbuffo per generare una spinta sufficiente a farli sparire nel blu. Si fermano. Ci fermiamo. Il branco osserva. Immobile, sospeso a pochi centimetri dal fondo. Non rompono la formazione, sono pronti a proseguire al minimo cenno di quello che appare essere il leader del gruppo. E’ lui alla testa della comitiva, è lui che scandisce il passo, è lui che guida i compagni ed è lui che se ne sente responsabile. C’è qualcosa in me che lo attrare, lo incuriosisce a tal punto da venirmi incontro. Mi sento onorata per essere stata scelta. È stupefacente come due creature così diverse fra loro si attraggano.
Siamo a 10 metri. Mi appoggio sul fondo sabbioso e lui è di fronte a me. Non ci muoviamo, ci osserviamo con la stessa intensità che ritroviamo nello sguardo di due consumati giocatori di scacchi di fronte alla scacchiera. A chi tocca fare la prossima mossa?
Mi trascino con una lentezza infinta guadagnando pochi millimetri. Mi blocco. I nostri spazi prossemici rimangono intatti. Per avere una migliore percezione visiva sui miei movimenti lui ondeggia, cullandosi nel liquido salino che ci avvolge. Non mi mostra colori irriverenti, la sua pelle è liscia e la livrea trasparente tanto da mostrarmi le parti vulnerabili all’interno del suo corpo. I suoi tentacoli con un’imprevista audacia si protendono verso di me per poi ritirarsi timidamente. Sono emozionata e sorpresa che rallento il respiro.
Uno sguardo educato e rispettoso mi scruta come a volermi chiedere fin dove voglio arrivare. Provo ad avvicinarmi lentamente per non turbare l’intesa venuta a crearsi, ma lui arretra con ugual lentezza. Più di così non mi è concesso avvicinarmi. Ha stabilito la linea di confine oltre la quale non mi è permesso andare.
Il resto del gruppo è in disparte, poco lontano; pascola in una delle folte aiuole che numerose movimentano il fondo sabbioso. Un alternarsi di chiazze verdi e bianche rompono la monotonia di un fondale dove pochi coralli hanno trovato dimora.
Io e lui immersi in una piscina senza confini abitata da grossi ricci da folti aculei che si muovono perfettamente coordinati come carri armati impazienti di raggiungere il fronte.
Jey, il mio “body guard”, ragazzo timido e delicato e fedele compagno di immersioni, mi fa cenno che il tempo è scaduto. I suoi polmoni richiedono più ossigeno rispetto ai miei e l’aria ha quasi raggiunto il limite di guardia.
Mi sollevo dal fondo e a malincuore saluto questa stupefacente creatura che con semplicità ha voluto condividere con me pochi istanti di vita
La Princess of Malapascua, con i suoi due bilancerei ingombranti e governata con sapienza dal capitano Renato, ci raccoglie per approdare sulla spiaggia dove bambini gioiosi aspettano il nostro ritorno.
Do you have a candy? Anche questa è innocenza.
È assolutamente vietata la riproduzione, anche
parziale, del testo e delle immagini presenti in questo articolo senza il consenso dell’autore.