Autore: Barbara Cutrone
È l’alba.
L’Aurora galleggia pigramente, ancorata in mezzo ad un tiepido mare. Dal sundeck,
muovendo lo sguardo a 360°, il paesaggio che si presenta ai miei occhi è
costellato di panettoni calcarei color smeraldo che, più o meno alti, si
affacciano sull’acqua turchina creando lagune incontaminate dalle molteplici
sfumature.. Questa è Raja Ampat.
Tradotto dall’indonesiano, “I quattro re” è il nome
dato ad una parte della provincia indonesiana della Papua Occidentale, formata
da parecchie centinaia di isole, per lo più montuose e disabitate, situate a
nord ovest della Nuova Guinea.
Ed io sono qua, imbarcata su un “pinisi”, imponente veliero indonesiano a due
alberi, interamente costruito in legno, a contemplare questa infinita bellezza.
Cerco di imprimere nella memoria ogni angolo di terra, di cielo e di mare
sfilato davanti ai miei occhi in questo unico ed indimenticabile viaggio ai
confini del mondo.
Purtroppo domani si fanno le valigie..
Ore 6,45: la campana suona per il briefing e tutti ci presentiamo puntuali e
veloci sul ponte, per l’ultimo tuffo concesso in questo straordinario mare
lontano, così da rispettare l’intervallo minimo di superficie tra l’ultima
immersione e i tre lunghi voli di ritorno.
Anche l’attrezzatura è pronta. Le bombole, in alluminio da 12
litri sono caricate a nitrox. Effettuando in media 3 / 4 tuffi al giorno,
abbiamo optato per l’utilizzo di aria arricchita in ossigeno al 32%. Abbiamo
così potuto ridurre l’assorbimento di azoto da parte del nostro organismo e, di
conseguenza, abbiamo aumentato i tempi di fondo in curva di sicurezza.
Partiamo sui veloci gommoni che ci conducono in prossimità della zona di
immersione. Siamo preceduti dalla guida che effettua il check della corrente,
stabilendo così il punto migliore dove poterci tuffare. L’arcipelago si trova
nella convergenza tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico e il mare è spesso
percorso da correnti, anche molto forti. Per questa ragione sovente a Raja Ampat
l’immersione è in drift.
Impieghiamo una manciata di minuti per il trasferimento e il versante
meridionale dell’isola di Kri è ora davanti a noi; l’immersione sarà verso est,
cioè verso il promontorio, con la parete alla nostra sinistra.
Tre, due, uno… giù…Un breve ok e inizia la discesa: Cape Kri, arriviamo!
La temperatura dell’acqua è di 29° e, se non si è freddolosi,
permette comodamente di indossare una muta da 3 mm. La visibilità è buona,
nonostante la notevole presenza di plancton.
Raggiunti i 30 mt, iniziamo a percorrere il pendio costeggiando la parete
dell’isola. La corrente per ora è moderata e permette senza grossa fatica di
ammirare lo spettacolare panorama che ci circonda. In questo sito la quantità e
la qualità di specie è impressionante.
Procediamo verso il capo fluttuando su una tavolozza variopinta di coralli duri
e molli di ogni forma e colore; sfiliamo davanti ad enormi ventagli di gorgonie
e galleggiamo sopra acropore e alcionari; infiliamo la testa dentro spugne a
botte di ragguardevoli dimensioni, all’interno delle quali brulicano
incessantemente piccoli anthias multicolori.
Sotto un larghissimo corallo tavola avvistiamo uno “wobbegong”,
uno squalo tappeto che riposa indisturbato. Ormai in questo viaggio ne ho visti
diversi esemplari, ma ogni volta rimango incantata e incuriosita (e anche un po’
intimorita) dalla bizzarra morfologia della sua larga bocca, circondata da
lunghi barbigli che lo aiutano a mimetizzarsi meglio sul fondo.
Ci fermiamo a fotografare due bellissimi esemplari di nudibranco, a fianco di un
anemone ricco di rossi pesci pagliaccio che ondeggiano vorticosamente,
nascondendosi tra i mobili tentacoli urticanti.
Alzando lo sguardo ci troviamo letteralmente circondati da migliaia di creature
multicolori.
In alcuni momenti dell’immersione è assai difficile riuscire ad osservare tutta
insieme la vita che ci circonda. È impressionante la quantità di specie che
volteggia davanti ai nostri occhi…sembra di essere immersi in una vera e propria
zuppa di pesce!
Attorno a noi stazionano pesci farfalla, pesci angelo,
grugnitori, centinaia di piccoli pesci chirurgo, che danzano veloci seguendo una
misteriosa coreografia. Guardando verso il blu ci superano banchi di carangidi,
fucilieri e barracuda. Lungo il percorso sfila davanti a noi un bell’esemplare
di squalo pinna nera, incurante della nostra presenza.
Sono trascorsi 40 minuti, ma l’impressione è che qui sotto il tempo si sia
fermato: solo il manometro ci riporta alla realtà…
Siamo ormai giunti in prossimità del capo, intorno ai 10 metri di profondità,
felici del fatto che la nostra riserva d’aria ci permette di restare ancora un
po’ di tempo immersi nel Paradiso.
Gruppi di platax giganti ci sfiorano lentamente, mentre ci fermiamo vicino ad un
gruppo assai numeroso di pesci pappagallo gibboso, affiancati da grugnitori
dolci labbra dalle diverse livree. La cosa che più stupisce è che pare non
abbiano alcuna paura dei sub: ci guardano, immobili, con silenziosa
indifferenza.
Infine ci fermiamo, sospesi in questo caleidoscopico
carosello, storditi da queste visioni, pervasi di empirea felicità.
Il tempo a nostra disposizione sta inesorabilmente terminando, così come la
nostra scorta d’aria. Qui, sul capo, a circa 5 metri di profondità, la corrente
è decisamente forte. È meglio rientrare. Dopo la consueta sosta di sicurezza,
effettuata a fatica ancorati al suolo, a malincuore risaliamo in superficie.
Un consiglio per chi decide di intraprendere un viaggio in
questi luoghi è di portare sempre con sé l’hook, il gancio d’acciaio che
permette di sostare in zone con corrente, senza rischiare di rovinare le
delicate forme coralline, nel tentare di aggrapparsi ad esse.
Emergiamo inebriati dallo spettacolo a cui abbiamo assistito, stregati dal
prodigio di madre natura, che qui sembra aver dato il meglio di sé, concentrando
tutta questa vita al di sotto dello specchio d’acqua. Entrarvi significa
oltrepassare l’ultima frontiera, un varco che conduce il subacqueo nel Paese
delle Meraviglie, ultimo luogo ancora intatto, ai confini del mondo.
Non è un caso se Cape Kri è considerata una delle immersioni più belle
dell’Asia. Geograficamente siamo nel cuore del “Triangolo dei coralli”, ideale
porzione di terra posizionata tra Filippine, Indonesia e Papua, considerata
l’epicentro della biodiversità.
Si conclude così il nostro viaggio a Raja Ampat, definita da molti come la
“culla della creazione nel mezzo dell’Oceano”. Grazie al relativo isolamento,
ampie zone di questo mare sono ancora inesplorate, così come molte forme di vita
sottomarina sono ancora sconosciute.
Le immagini di questo prezioso ed inestimabile mondo rimarranno per sempre con
noi, volteggiando nella nostra memoria, come le ali delle grandi mante avvistate
ieri nell’immersione di Manta Sandy, poco lontano da qua.
Ma questa è un’altra storia…
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