Autore testo: Cristiana Rollino
Autore foto: Attilio Eusebio
“Non voglio fare un viaggio subacqueo!: sono stufa di vedere solo pesci;
voglio vedere altro!”. Iniziavano così le nostre discussioni per scegliere
la meta delle vacanze e anche quest’anno non era diverso. Allora ognuno (meno
male che eravamo solo due!) avanzava proposte per soddisfare interessi di tipo
diverso, non solo subacqueo.
Quest’anno la scelta è caduta sul Messico e in particolare sulla penisola dello
Yucatan. Ma l’interesse subacqueo di questa zona per noi non risiedeva nella
Barriera Corallina Mesoamericana, che peraltro è la più grande dell’emisfero
settentrionale, estendendosi per 965 chilometri lungo le coste di Messico,
Belize, Guatemala e Honduras ed è ricca di siti di immersione e diving
organizzati. Attilio infatti, affascinato dai cenotes, che aveva in parte
esplorato a Cuba, aveva abilmente manovrato in modo che io sviluppassi curiosità
per queste grotte speciali e che fossi io stessa a proporre lo Yucatan, che
offriva, oltre a queste immersioni particolari, altri luoghi da visitare molto
suggestivi: le “Biosfere”, riserve naturali con fauna di grande varietà, e le
vestigia Maya, di grande interesse storico.
La penisola dello Yucatan si protende tra il Mar dei Caraibi e il Golfo del
Messico. E’ ormai percorribile in sicurezza in autonomia, con auto noleggiate,
anche nei punti più lontani dalle città e nel Chiapas, che negli anni ‘80-‘90 la
guerriglia condotta dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per
migliorare le condizioni di vita degli abitanti della regione, in parte di etnia
Maya, aveva reso poco sicuro. La città turistica più conosciuta della penisola è
Cancun.
Il nostro giro turistico iniziò dunque il 15 Febbraio 2012 e toccò i siti
archeologici più famosi: Chichén Itzà con la grande piramide “El Castillo” e i
campi di gioco da pallone dei Maya, Uxmal con il quadrilatero delle monache,
Edznà con la piramide dei cinque livelli, Palenque, un’intera città governata
dalla dinastia del re Pacal, Campeche, città coloniale spagnola con le sue case
color pastello, Calakmul con una grande piramide che si erge isolata nella
foresta ai confini con il Belize.
Tra i siti naturali più belli, nella riserva di Rio Lagartos abbiamo potuto
vedere, oltre ai coccodrilli immobili sulla riva dei canali salmastri, numerose
specie di uccelli, tra cui i fenicotteri rosa, e il Limulus polyphemus, un
artropode ancestrale (Foto 1).
Foto 1. Il Limulus polyphemus è un artropode che vive sul fondo del
mare nel Golfo del Messico. E’ noto in ambiente sanitario per il “Limulus test”,
un esame che permette di individuare endotossine batteriche e che si basa su
enzimi estratti dal Limulus.
Nella laguna di Celestun, in un’acqua salmastra, grigia e
fangosa, spicca tra le mangrovie un occhio d’acqua azzurra limpidissima: si
tratta di una sorgente d’acqua dolce nella foresta, in cui si può fare il bagno.
Nella Laguna do Terminos, a sud di Campeche, al tramonto numerosissime fregate,
gabbiani e altri uccelli si posano per la notte sulle mangrovie rosse.
La mia sete di viaggiatrice era dunque stata soddisfatta e arrivava il clou
della vacanza per Attilio, che di sassi Maya era saturo.
Nei pressi di Tulum, a Chemuyil per l’esattezza, abbiamo affittato un alloggio,
che la nostra guida di cenotes, Alessandro, metteva a disposizione dei suoi
clienti per una cifra ragionevole. Alessandro è un italiano ormai residente in
Messico, con un ricco curriculum subacqueo di istruttore in ogni genere di mare
e da alcuni anni anche di corsi di speleologia subacquea. Dispone di
attrezzatura speleo-subacquea da affittare, il che rende ragionevole associare
un viaggio turistico a tappe multiple ad una vacanza subacquea.
Oltre ad accompagnare i clienti nelle grotte, Alessandro è un attivo esploratore
che pubblica e rileva nuove grotte.
Cenote è un termine intraducibile in italiano: si riferisce ad un pozzo
naturale, sinkhole in termini geologici, formatosi, in un ambiente carsico, per
il collasso del soffitto di una cavità in fondo alla quale c’è un lago: una vera
finestra carsica. I cenotes danno accesso a sistemi di grotte a sviluppo
impressionante di centinaia di chilometri, che sono esplorati solo parzialmente.
Alcuni sistemi sono collegati tra loro e certamente con il mare, benché il punto
di ingresso dell’acqua salata non sempre sia stato individuato.
La particolarità di queste grotte è che nelle varie ere glaciali la variazione
del livello del mare ha mantenuto le grotte asciutte per lunghi periodi, nei
quali hanno potuto formarsi le concrezioni calcaree. Con successivi scioglimenti
dei ghiacci e innalzamento del livello dell’acqua queste concrezioni sono
rimaste immerse nell’acqua e tra esse si può ora nuotare.
Molti sono i diving attrezzati ad accompagnare subacquei nei cenotes lungo tutta
la Riviera Maya, cioè proprio nel tratto tra Cancun e Tulum. Si tratta infatti
di uno dei luoghi più famosi e più belli al mondo per ammirare questo genere di
grotte. Numerose strutture turistiche, oltre a vari centri di ricarica delle
bombole efficiente e in funzione tutto l’anno, rendono questa esperienza alla
portata di tutti in qualunque periodo.
Tuttavia, bisogna sapere che i brevetti subacquei ricreativi permettono una
ingresso solo parziale nelle grotte, limitato cioè alla parte più esterna, il
cenote vero e proprio, ossia la caverna in cui penetra la luce: a questo punto
si incontra infatti un cartello con l’inequivocabile scritta: ”Peligro no pase”.
I giochi che la luce crea nell’acqua, rifrangendosi in raggi affascinanti con le
rocce che creano ombre e controluce magici rendono un’immersione nei cenote
molto emozionante pur senza ulteriore addentramento.
La penetrazione oltre a questi limiti è consentita solo a chi possiede un
brevetto “Cave”: la guida conduce gli speleo-subacquei con questo brevetto solo
nei settori già esplorati, tutti attrezzati con filo d’Arianna, teso in modo
molto regolare e provvisto di indicatori direzionali precisi, tanto che è
possibile fare una vera “navigazione” all’interno delle grotte.
Alessandro, dopo il controllo dei nostri brevetti, e un efficace briefing sulla
formazione dei cenotes (di cui poi si vergognò, venuto a sapere che Attilio è
geologo), ci accompagnò alla visita del primo cenote, che volevo assolutamente
vedere perché famosissimo: Dos Ojos, due enormi buchi gemelli circolari. La
prima impressione meravigliosa furono gli effetti di luce all’ingresso del
cenote con i raggi che diffondono tra le rocce e ricompaiono poco a poco man
mano, di ritorno, ci si avvicina all’uscita (Foto 2).
Foto 2. Il cenote “Dos Ojos”
La grotta, ampia e spaziosa, era decorata da stalattiti e
stalagmiti, tra cui ci inoltravamo, sospesi in un’acqua cristallina. L’acqua era
trasparente come l’aria e non sembrava nemmeno di nuotare, ma piuttosto di
volare. Anche nelle fotografie si nota questo effetto e solo le bolle emesse e
l’erogatore in bocca dimostrano che si tratta di subacquei. Sul soffitto talora
comparivano specchi: erano gigantesche bolle d’aria, create dalla confluenza
delle bolle emesse dai subacquei. L’ambiente era precario: il fondo fangoso (“silt”
è il termine geologico) non doveva essere assolutamente sfiorato per evitare di
creare sospensioni.
Alessandro con grande perizia ci guidava galleria dopo galleria. I colori erano
cangianti: il bianco, candido come un velo da sposa, era qua e là sporcato da
macchie grigiastre. Gli ambienti erano soprattutto grandi sale in cui si passava
facilmente anche appaiati. La profondità era scarsa: nelle prime immersioni non
abbiamo superato i 12 metri.
Alessandro conosceva molto bene le grotte in cui ci portò, sceglieva grotte in
cui ci fossero uscite alternative a quella principale e sempre lungo percorsi
sagolati ed era estremamente preciso nei briefing riguardanti la morfologia, i
percorsi e la sicurezza: il controllo dell’aria includeva, oltre al “bubble
check”, la comunicazione da parte di ogni subacqueo immediatamente prima
dell’immersione della pressione della bombola a cui avrebbe dovuto richiedere
l’inversione di percorso, seguendo rigorosamente la regola dei terzi.
E quindi, con la regola del terzo di aria respirata, con il bibombola 11+11
litri che avevamo, percorrevamo distanze che a me sembravano già molto
importanti: 300-400 metri circa per una durata di immersione di 97 minuti a Dos
Ojos e 110’ a Gran Cenotes (Foto 3).
Foto 3. Nel “Gran cenote”
Questa grotta era più bella di Dos Ojos: c’erano infatti
bellissime stalattiti e stalagmiti con passaggi, talvolta stretti, tra le
colonne.
Alessandro ci aveva giustamente decantato queste grotte, ma il suo compito di
guida era di farci meravigliare ogni volta di più. Così il non plus-ultra delle
decorazioni fu il cenote Nohoch-Nah-Chich (Foto 4 e 5), dove il paesaggio era
fiabesco: lì era stato costruito il castello di Biancaneve: picchi, torri,
torrette, merli, là era il bosco della Bella Addormentata. La sabbia sul fondo
sembrava velluto e piccole stalagmiti si rizzavano verticali, ma non erano
veramente solidali con il fondo.
Foto 4 e 5. Nel cenote “Nohoch-Nah-Chich”
Ogni giorno Alessando doveva pensare a qualcosa di diverso
per impressionarci, dopo che ci aveva già mostrato le migliori espressioni del
concrezionamento. Così ci aspettava tutt’altra esperienza: il cenote “Minotauro”,
che anch’esso dà accesso a un imponente sistema di grotte parzialmente esplorato
(Foto 6).
Foto 6. Nel cenote “Minotauro”
La mia impressione fu del tutto diversa. L’ingresso era
angusto, il colore della roccia era cupo, rosso mattone. L’ambiente non era più
costituito da gallerie ampie e decorate, ma da cunicoli, curve, passaggi in
discesa, strettoie. Ricordavano le miniere di ferro che avevo visitato da
bambina: pensavo ai minatori che, magari ancora adolescenti, vi si introducevano
quotidianamente e che forse non erano nemmeno sfiorati dal pensiero che tutto
potesse crollare. Io invece quel pensiero ce l’avevo: sul fondo giacevano
stalattiti disposte obliquamente, proprio come se si fossero staccate dal
soffitto. Era un ambiente di precarietà assoluta.
Foto 7. Nel cenote “Tux Kubaxa”
Nel cenote “Tux Kubaxa” (Foto 7) riprendemmo le lezioni di
navigazione: i “jump” con relativi indicatori direzionali (Foto 8). A me piaceva
molto mettere e togliere questi segnali: era un approccio scientifico che
richiedeva accuratezza, ma nello tempo lasciava immaginare luoghi remoti e
inesplorati.
Foto 8. Navigazione nel cenote “Tux Kubaxa”, seguendo gli indicatori
direzionali.
E infine fu la volta del cenote “Taj Mahal”. Che effetto
magico!: l’acqua che galleggia sull’acqua: è l’aloclino, l’interfaccia tra
l’acqua salata, più pesante, e quella dolce che le galleggia sopra, a circa
15-20 m di profondità. Ma questo effetto si può apprezzare solo se si passa per
primi: allora si vede una linea di demarcazione contro la roccia, come una tenue
onda. Ma se qualcuno pinneggia davanti a noi, non si vede nulla: tutto è
offuscato e l’effetto è quello di entrare nel vetro fuso. Ecco quindi che Santa
Sagola diventa l’unica guida affidabile.
In conclusione, un’immersione nei cenotes può essere fatta, almeno in parte, da
chiunque possieda un brevetto subacqueo. Anche così l’immersione è eccezionale
per il fatto stesso di nuotare in una grotta e per i magici giochi di luce. In
alcuni cenotes si può anche fare snorkeling: si possono vedere pesci, alghe e
radici che scendono dal soffitto. Per chi possiede un brevetto “Cave”, che si
può ottenere anche in loco con un corso, ci si può invece affacciare al mondo
fantastico delle grotte allagate.
Un ultimo consiglio: non perdete la spiaggia di sabbia bianca e finissima di
Tulum: vi sembrerà di camminare su un tappeto di velluto.
È assolutamente vietata la riproduzione, anche
parziale, del testo e delle immagini presenti in questo articolo senza il consenso dell’autore.