Autore: Marco Sirotti
Il racconto deve partire qualche giorno prima dell’immersione vera e propria.
Quando ricevo la risposta da parte di Bruno alla mia richiesta di disponibilità per un’immersione, la sorpresa è stata tanta. Leggo meglio il messaggio, mi propone la possibilità di fare un’immersione tecnica. Lo chiamo e non me lo faccio ripetere due volte, accetto subito felice. Non ho il “tech” ma posso fare lo stesso il tuffo avendo un brevetto “Trimix”, la cosa m’inorgoglisce un bel po’ perché non lo propone a tutti.
Fatta questa doverosa premessa arriva sabato.
Mi sveglio di buon ora per preparare l’attrezzatura e, anche se il ritrovo è previsto per le 14.00 al diving, decido di partire per tempo perché non voglio arrivare in ritardo o fare fatica a trovare il parcheggio, siamo ancora in piena stagione estiva e Santa Margherita è una meta ambita.
Durante il viaggio ripasso mentalmente tutte le manovre che dovrò fare, la postura in acqua da tenere; lo confesso, sono un po’ agitato ma allo stesso contento e con la speranza di vivere una bella giornata.
Passano i kilometri e verso Pavia incontro la nebbia, vuoi vedere che hanno sbagliato in pieno le previsioni meteo.
Verso Genova in cielo si apre, la nebbia scompare e si fa spazio una calda e serena giornata di sole.
Mentre percorro l’autostrada che da Genova mi porta all’uscita per Santa Margherita ogni tanto lo sguardo va in direzione del mare alla mia destra, è una tavola; sempre meglio!
Arrivo, trovo il parcheggio non come di solito sul lungo mare ma in un parcheggio al coperto, è un’po’ lontano ma forse è meglio, l’auto rimane all’ombra e pago una volta sola.
Al diving non c’è ancora nessuno, sono ancora in mare per le immersioni del mattino, faccio a tempo quindi a mangiare un buon pezzo di focaccia da “Crêuza de Gio”, un piccolo negozio in cima a una scalinata che fa una focaccia spettacolare.
Alle 14.00, come d’accordo, mi trovo al diving e con l’aiuto di Bruno vado a recuperare la mia attrezzatura che avevo lasciato in auto.
Monto l’attrezzatura, analizzo le miscele di gas nelle bombole, mi vesto, metto le cose sull’ape facendo una sudata incredibile, sono pronto a partire.
Imbarchiamo tutto, molliamo gli ormeggi e si prende il mare.
Nel frattempo iniziamo a pianificare l’immersione e la rispettiva risalita.
Non avendo titolo, sto ad ascoltare e mi adeguerò a quello che sarà deciso.
Dopo una buona mezz’oretta di navigazione arriviamo sul punto, si ormeggia al pedagno e, come deciso, faccio parte della prima squadra che entra in acqua; siamo in 4 e chi guiderà l’immersione sarà Niccolò, io sarò il suo compagno e l’altra coppia a seguire.
Mi tuffo, il mare è di un blu intenso, mi faccio passare la bombola di fase e l’aggancio subito senza difficoltà, un rapido controllo alle bolle e si parte.
L’acqua è limpidissima e la discesa è come veleggiare nel nulla, l’unica cosa che si vede è la cima del pedagno che si perde nel blu del fondo.
Scendiamo veloci e a circa 30 metri dalla superficie s’inizia a intravvedere la sagoma della nave 20 metri più sotto, è una bella emozione vedere il relitto che si avvicina e appare quasi dal nulla, la buona visibilità aiuta molto in questo.
Arriviamo sul ponte a 51 metri e appare subito la prima sorpresa. Attorcigliato a una lenza scorgiamo un astice con la pancia all’aria, così grosso non l’ho mai visto e penso che è stato un peccato che sia morto.
Ci avviciniamo, tocchiamo il filo e con grossa sorpresa vediamo che si muove, è ancora vivo, urge liberarlo.
Niccolò impugna subito il coltello e inizia a tagliare il filo di nylon, io l’aiuto ma stiamo attenti a non fargli del male ma soprattutto teniamo lontane le nostre mani dalle sue grosse chele, sarebbe molto spiacevole rimanere colpiti da loro.
Questo nuovo comandante della nave sembra capire le nostre intenzioni e arpiona la lama quasi a dire di non abbandonarlo. Vuole vivere.
Dopo qualche minuto di lavoro riusciamo a tagliare tutta la lenza e lo osserviamo prendere di nuovo possesso della sua cabina sotto coperta.
Siamo a prua e iniziamo a visitare il relitto, usciamo dalle murate e andiamo a vedere il tagliamare che da l’impressione di voler ancora fendere i flutti a tutta forza con macchine avanti tutta.
Prendiamo la via della murata di dritta e percorriamo la nave fino a quella che doveva essere la poppa andata distrutta dal siluro che l’ha ferita mortalmente.
Ispezioniamo il primo ponte e si riesce a scorgere un lavandino e altre cose, il pavimento di legno è quasi sparito.
Guardando negli oblò si vede dall’altra parte della nave un bel branco di dentici, probabilmente il nuovo e combattivo equipaggio di questa nave.
Prendiamo la via di babordo per riportarci a prua nuotando in mezzo a una nuvola di castagnole che avvolgono gli armamenti rimasti sulle murate e a prua e che sono puntati contro un nemico che non verrà più.
Tornati nuovamente a prua saliamo di qualche metro per entrare nel cassero dove una volta il capitano, quello vero questa volta, impartiva gli ordini al suo equipaggio, me lo immagino che fuma la pipa e scruta l’orizzonte.
Guardo il profondimetro per vedere il tempo che è trascorso e contemporaneamente il manometro, ormai siamo arrivati alla pressione di rientro che avevamo fissato in 90 bar e sono trascorsi 35 minuti ma non me ne sono accorto per niente.
Iniziamo la risalita ed io, avendo perso un po’ l’abitudine seguo da vicino la cima del pedagno mentre gli altri li vedo nel blu.
Arriviamo alla prima sosta programmata che è a 24 metri per preparare il cambio di miscela, si deve prendere il Nitrox EAN 50 miscela di aria con una percentuale elevata di ossigeno.
Questa ci aiuterà a smaltire la miscela di elio e ossigeno respirata sino a quel momento.
Ho ripreso confidenza con l’assetto anche se un po’ negativo e mi allontano anch’io dalla cima, è sempre una sensazione bellissima fluttuare sospesi nel nulla.
Niccolò detta le tappe. Ha anche avuto il tempo, senza perdere un centimetro, di aprire l’erogatore della bombola di decompressione, sistemarlo, rimontarlo e iniziare a respirare. È veramente bravo.
Trascorrono i minuti e al suo comando cambiamo la quota come si era previsto.
La nave ormai non si vede più, è tornata nel suo silenzio a riposare in fondo al mare.
Ormai siamo alla fine della decompressione e ci dirigiamo sotto la nostra barca per riemergere e uscire, sono davvero soddisfatto e contento della bella avventura.
Ormai abbiamo la testa fuori dall’acqua, passiamo la bombola di decompressione e saliamo in barca, anche gli altri membri della squadra sono contenti.
Siamo tutti a bordo e liberiamo la barca dall’ormeggio, si rientra in porto.
Il pomeriggio è finito, fa già parte dei bei ricordi e delle belle sensazioni che quest’attività mi permette di vivere.
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