Autori: Vincenzo Sopranzetti e Paola Merola
In pieno Oceano Atlantico, al largo del Portogallo, come piccoli puntini in un mare sconfinato, emergono le Isole Azzorre.
Faial, San Miguel, San Gorge, Pico, Flores, Graziosa, Terceira, Santa Maria, Corvo, sono le nove isole che compongono l’arcipelago. Leggendo qua e là apprendiamo che il clima è dolce e temperato, con temperature che oscillano tra i sedici gradi in inverno e i ventisei in estate, e d’altronde è qui che ha origine l’anticiclone delle Azzorre. Anche l’acqua è gradevole, e ciò è dovuto alla famosa “corrente del golfo” che regala temperature che vanno dai sedici gradi in inverno ai ventidue-venticinque in estate. La corrente del golfo è la principale corrente di superficie del Nord Atlantico e porta acqua calda dal Mar dei Carabi e dal Golfo del Messico fino all’Europa settentrionale, giocando un ruolo importante nella biodiversità delle Azzorre. Il colore dominante dei paesaggi è il verde, dovuto al fatto che piove spesso, ma mai troppo a lungo, ti puoi alzare la mattina con il cielo coperto e una pioggerellina fine, per poi avere una splendida giornata di sole.
Sbirciando in rete troviamo che alle Azzorre si possono svolgere molte attività, tra cui l’osservazione delle balene, lo snorkeling in compagnia dei delfini, le immersioni, la pesca d’altura, ed anche il trekking, per arrivare sulla sommità del vulcano Pico a 2500 metri, o per i meno allenati fino alla Caldara nell’isola di Faial.
Essendo io e la mia compagna dei subacquei è naturale che la nostra attenzione venga attirata da un’immersione molto particolare. Il nome del sito è “Princess Alice”, così in un primo momento pensiamo al relitto di una nave affondata, magari mentre attraversava l’Atlantico per recarsi nel nuovo mondo. Il dubbio rimane, fino a quando per curiosità decidiamo di andare a fondo e scopriamo che si tratta di una secca nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, addirittura a quarantacinque miglia nautiche dall’isola di Faial, la testa di uno spillo in un mare infinito. L’interesse sale alle stelle, e la decisione è presa, ci immergeremo a Princess Alice. Il nome deriva da una campagna oceanografica voluta dal principe Alberto I di Monaco nel 1886 a bordo della nave da ricerca denominata appunto “Princess Alice”, durante la quale fu scoperta la montagna sommersa che dai mille metri arriva fino ai trentacinque dalla superficie.
Giungiamo a Faial il 19 agosto, è sera, un taxi ci porta ad Horta, la cittadina principale dell’isola, il tempo di sistemare i bagagli e via, al porto. Qui i Diving e le altre attività che hanno a che fare con il mare sono sistemati in funzionali e deliziose casette di legno, con le imbarcazioni a pochi metri pronte per accompagnare subacquei o escursionisti alla volta delle balene o dei delfini.
Dall’Italia avevamo contattato il “Diving Azzorre” gestito da Tiago e Joanna, ambedue biologi marini, così dopo le presentazioni andiamo subito al sodo, spiegando che il nostro obiettivo era immergersi a Princess.
Tiago è un ragazzo sulla trentina, tipo serio, e pare sappia il fatto suo, so benissimo che mentre parliamo sta cercando di valutare la mia esperienza. Non sono molti i sub che vengono qua a chiedere direttamente di fare l’immersione a Princess, Tiago la propone solo a pochi, e solo dopo averli ben testati durante le immersioni locali. Così penso che ci sia un solo modo per convincere Tiago: andare in acqua, e per toglierlo dall’imbarazzo, gli chiedo di fare un’immersione sottocosta. L’indomani siamo sul versante ovest dell’isola, c’è corrente ed un po’ di mare, nessun problema, scendiamo in acqua e giriamo intorno ad un pinnacolo fino ad arrivare sui 28 metri, quindi inizio a risalire, osservo Tiago che ci guarda dall’alto, ed intanto mi godo l’immersione. Rimango colpito dalla quantità di vermocani presenti fra le rocce, e tuttavia il fondale non è colorato come il Mediterraneo, le rocce sono vulcaniche e non ci sono molti organismi incrostanti. Saraghi, murene, gronghi, cernie, sono invece numerosi e grandi, mentre a mezz’acqua nuotano dentici, carangidi e barracuda, e poi un tocco di esotico con pesci pappagallo e balestra, non c’è male come prima immersione. La temperatura dell’acqua è di diciannove gradi e la scelta della semistagna rende l’immersione gradevole.
Risaliamo sul gommone e via verso il porto, la sera ci attende una buona cena a base di pesce, cotto direttamente sulla pietra lavica e accompagnato con del buon vino, prodotto nella vicina isola di Pico. Siamo così entusiasti che già pregustiamo l’immersione a Princess, ma è meglio non correre troppo, infatti bisogna considerare che Princess si trova molto lontano dalla costa e siamo in pieno oceano, per cui le condizioni meteo dovranno essere ottimali per affrontare prima la navigazione e poi l’immersione. Tiago ha il nostro numero telefonico e quando sarà il momento ci avviserà, non è certo un’immersione che si può programmare in largo anticipo, bisogna essere pronti ed approfittare del momento buono. Nei giorni che seguono il tempo è variabile, sole e pioggia fine si alternano. La mattina facciamo colazione presso il mitico “Peter Cafè Sport”, luogo d’incontro dei velisti diretti in America, e comunque tappa obbligata di ogni appassionato di vela. Tipici sono i murales lungo la banchina del porto, che raffigurano il logo delle imbarcazioni a vela che vi hanno ormeggiato, sono così tanti che è difficile trovare uno spazio libero, ma rendono l’idea di quanto sia importante e famoso questo piccolo porto nell’Oceano Atlantico. Al Peter Cafè Sport ogni giorno viene esposto il bollettino dei venti e dei mari e con gioia mi pare di capire che nei prossimi giorni il tempo sarà ottimo. Attendiamo con trepidazione la telefonata di Tiago, e finalmente arriva, si parte l’indomani, appuntamento alle 5.30 al porto. La sera prepariamo le attrezzature fotografiche, mettiamo nello zaino creme solari, occhiali da sole e giacche a vento. Arriviamo al porto che è ancora buio, i compagni d’immersione sono quattro, ed insieme carichiamo le attrezzature. Il gommone è un nove metri motorizzato con due potenti fuoribordo, adatto ad una navigazione oceanica. Si parte, ci vorranno circa tre ore e mezza di navigazione, così per ingannare il tempo parlo con Tiago dell’immersione e di come si svolgerà nei dettagli. In pratica arrivati sul punto, ci ancoreremo, e poi tutto dipenderà dalla corrente, la corrente del golfo ovviamente, e se sarà forte non ci saranno alternative, bisognerà stare attaccati alla cima dell’ancora per tutta l’immersione. Se qualcuno molla la presa risale, spara la boa di segnalazione e verrà recuperato dal gommone. Capisco bene, osservando il mare aperto, la diffidenza di Tiago, quella che ci aspetta non è una classica blu-dive, qui siamo in Oceano in balia della corrente del golfo, bisogna essere esperti e psicologicamente preparati. Il consiglio è di non stare sul fondo ma di sostare tra i venti ed i quindici metri, dove ci saranno tante cose da vedere. Tiago non si sbilancia sui possibili incontri, dice che qui tutto è possibile e sorprendente. Durante la navigazione i delfini saltano sulla scia del gommone, ogni avvistamento di cetacei viene registrato e comunicato via radio ad un centro di ricerca. Le Azzorre sono state fino al 1974 una zona di caccia alla balena, soprattutto capodogli, “cachalote” in Portoghese, oggi la caccia è stata sostituita dal whale watching che è molto praticato e rappresenta una grande risorsa turistica, considerate che qui l’avvistamento è garantito al 90%.
Finalmente il gps segnala l’arrivo su Princess Alice. Il gommone dovrà essere posizionato proprio sul cappello della secca, ma la corrente ed il vento rendono la cosa assai difficoltosa. Dopo circa mezz’ora viene dato l’ok e l’ancora scivola veloce verso il fondo, il gommone si posiziona perfettamente, ma l’ancora non tiene. Viene calata un’altra ancora e questa volta siamo fermi. L’onda oceanica si gonfia e si sgonfia come un polmone, non c’è molto vento e la superficie è piatta. Intorno a noi solo mare, non ci sono altre imbarcazioni, per un attimo, spenti i motori ci godiamo questo momento. Ma l’incantesimo non dura molto, sulla superficie a poche decine di metri c’è qualcosa che si muove e ci viene incontro, poco dopo siamo circondati da una decina di grosse mante. Tiago ci spiega che si tratta della Mobula tarapacana, in inglese Devil fish e chiamata in portoghese Jamanta. Attratte dal gommone ci nuotano intorno, istintivamente indosso la maschera ed infilo la testa nell’acqua, tenendomi con le mani al gommone per non cadere. Che spettacolo!
Le mante sono tantissime e sfilano una ad una sotto il gommone, meglio non perdere tempo ed infilare subito la semistagna. Ultime raccomandazioni e via, tutti in acqua. Ho il cuore in gola per l’emozione, tutto è blu, la visibilità è straordinaria, raggiungo subito la cima e comincio a scendere verso il picco. Mi stacco dalla cima, capisco che la corrente non è forte, decine di balestra mi vengono incontro, guardo nel blu, ma niente, non un pesce né una manta. Non è possibile, forse la corrente è poca o le mante sono soltanto in superficie? Aspetto ancora un po’ e poi risalgo a 20 metri, ho ancora 150 bar e 30 minuti di non deco, bisogna avere pazienza. Scruto l’orizzonte subacqueo come la vedetta in cerca della terra ferma, poi qualcosa rompe la monotonia del blu, sono le sagome affusolate, inconfondibili, dei barracuda, centinaia, un carosello che sembra non finire mai, si dispongono in circolo e mentre mi avvicino per fotografarli noto che sotto di loro nuotano enormi ricciole, le nostre Seriola dumerilli, ed un muro di carangidi.
Provo una grande emozione, piano piano mi avvicino, e per non rompere la magia respiro pochissimo, sono nel mezzo del banco di pesci, rapito, incantato, ma conosco i barracuda, loro lentamente scendono verso il fondo e tu non te ne accorgi. Una volta in Mar Rosso dai 20 metri sono arrivato a 40 in pochi istanti, mentre riprendevo i barracuda e sarei arrivato oltre se il computer non avesse iniziato a suonare freneticamente. Questa volta non ci casco, ed inizio a risalire, ma dopo le prime due pinneggiate i barracuda si aprono a ventaglio, segno che qualcosa dall’altra parte sta nuotando attraverso il banco. In lontananza vedo la mia compagna che mi segue, l’ unico punto di riferimento in quel blu infinito. La tensione è alta, aspetto ancora, ma non perdo d’occhio il computer, e risalgo leggermente. Sono a venti metri di profondità, quando dal banco di barracuda si materializza una grossa sagoma scura, è una grossa jamanta, poi due, tre, è uno spettacolo incredibile, sembra che si divertano a sfrecciare nel bel mezzo del banco di pesci. Improvvisamente dal blu ne arrivano a decine.
I barracuda, infastiditi, si allontanano, ma restano sempre a vista così come i carangidi, che lentamente si allontanano per poi apparire dal lato opposto. In questo girotondo le jamante la fanno da padrone, rimanendo sempre nelle nostre vicinanze, curiose, delicate, con i loro movimenti fluidi e sinuosi. Il resto del gruppo è rimasto attaccato alla cima dell’ancora, sono tutti ipnotizzati, rapiti dallo spettacolo.
Vorrei andare nel blu, là dove a debita distanza sostano le grandi ricciole, là dove i barracuda disegnano spettacolari caroselli, là dove sono sicuro è il regno dei grandi pelagici, del mako, delle verdesche, dei delfini, ma le 50 bar del manometro mi impongono di tornare verso la cima, ed unirmi agli altri, per trascorrere insieme la tappa di sicurezza. Restiamo tutti a goderci gli ultimi istanti con queste splendide creature. Nessuno vuole uscire dall’acqua, ma Tiago minaccia di abbandonarci nell’Oceano, e così a malincuore saliamo a bordo. Durante il rientro in porto mi stendo sul tubolare del gommone, chiudo gli occhi e rivedo quel blu intenso dove nuotano tanti pelagici. Siamo veramente soddisfatti ed appagati, non vediamo l’ora di guardare le foto, intanto si fa sera, il sole comincia a tramontare, i colori sono stupendi, la scia si confonde con l’orizzonte, poi un grido risveglia tutti, “Cachalote, Cachalote!”, Tiago punta il dito sulla sinistra, e ad un centinaio di metri da noi vediamo il soffio di un capodoglio, poi la sua coda, inconfondibile, s’inabissa. Tiago aveva ragione, qui tutto è possibile.
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