Autore: Davide Boschi
In tutti gli hotel sul Mar Rosso, almeno il 90 per cento dei
clienti si chiude fuori dalla camera come minimo una volta durante la vacanza, o
perché ha perduto le chiavi, o più banalmente perché le ha dimenticate
all’interno della camera stessa. E’ incredibile, alla luce di questo dato, come,
il personale della reception, riesca a guardare ogni volta i malcapitati con la
faccia tipica di quelli che non hanno mai visto un turista chiuso fuori,
contribuendo in tal modo a far sentire il vacanziere, una sorta di imbecille
nato.
Anche solo da questo piccolo particolare, si evidenzia, fra gli operatori del
settore, una importante attitudine alla recitazione che, molto spesso, si
consolida in un autentico "becco di ferro" quando si tratta di raccontare balle
a scopo di lucro. Sicuramente qui, dalle parti di Marsa Alam, ci sono un sacco
di siti d’immersione più che degni di nota, ma inesorabilmente al turista di
passaggio, tentano tutti di rifilare una serie di pacchi mondiali che vanno dai
tuffi con partenza dalle marse (baie roventi che lambiscono le coste orientali
del Sahara) raggiungibili con le jeep o i pullmini, fino alle lagune torbide e
quasi limacciose, frequentate da qualche sporadico ed estinguendo dugongo.
Sappiate intanto che il dugongo (Dugong dugon), è un mammifero marino, erbivoro,
appartenete all’ordine dei sirenidi, che (appunto come una sirena) ha la
prerogativa di scomparire sempre qualche minuto prima del vostro arrivo, cosi
come quella di ritornare sul sito poco dopo la vostra dipartita, lasciandovi
come unico spettacolo, quello di un fondale melmoso punteggiato di pallide alghe
velate dall’acqua torbida. Da queste parti non c’è verso di salvarsi
dall’ossessionante petulanza di qualsiasi guida, autista o accompagnatore che
riusciate ad incrociare, il quale vorrà , a tutti costi, portarvi a vedere questa
povera bestia che, nonostante il vostro innato e consolidato animalismo,
prenderete presto ad odiare, augurandovi la sua più repentina e sempiterna
scomparsa dal regno animale (per il bene di tutti,,, compreso il suo).
La trombata e’ sapientemente condita da una estenuante serie di briefing, tenuti
sotto un sole cocente che, contravvenendo allo scopo originale di chiarire la
situazione, tendono invece a renderla incomprensibile, nell’intento d’invalidare
sul nascere ogni sorta di possibile, quanto prevedibile lamentela, derivante
dalla mancata corrispondenza fra le descrizioni stesse e la triste realtà . A
dimostrazione di quanto fin qui esposto, vi consiglierei di farvi un tuffo da
Sharm Tromb ( non e’ una battuta, ‘sta baia si chiama proprio cosi), in modo che
possiate dissipare, da soli, ogni eventuale dubbio sulle mie presunte doti di
enfatizzatore. La vera chiavata comunque, la beccate se sbagliate l’ubicazione
dell’hotel, ovvero: se vi ritrovate ad alloggiare in un resort che ha la
spiaggia, o il fronte mare, non ridossato o protetto da una baia. Il mare
infatti, su queste coste, sbatte 13 giorni su 14 e se, colti da un impeto di
nervoso, tentate di raggiungerlo attraversando la bancata madreporica a piedi,
fingendo di non sentire i fischi dei guardia spiaggia per tuffarvi fra le onde,
altro non state facendo che rischiare di farvi grattugiare vivi sui coralli al
primo "blisgone". Infatti, la barriera a frangente (quella che partendo dalla
spiaggia, a pelo d’acqua, si allunga verso il mare per terminarvi con una sorta
di gradino nel blu) non e’, come può apparire, una grande scogliera di granito o
di basalto levigato, bensì un inestricabile e immenso nido calcareo, costruito
da animali marini piccolissimi e tentacolati, nel quale a loro volta, albergano
migliaia di specie di pesci, molluschi, echinodermi, poriferi, cnidari, vermi e
briozoi. Buona parte di questi esseri, sia fra i costruttori che fra gli
"inquilini" della barriera e’ geneticamente dotato di armi da difesa e offesa,
che possono talvolta, essere addirittura letali anche per l’uomo. Comunque sia,
una cospicua percentuale di queste creature e’ ricoperta di cellule urticanti,
di ciglia ustionanti, di mucose, tossine e di aculei più o meno velenosi. Il
contatto a pelle nuda con questa eterogenea e multiforme struttura vivente, si
risolve, solo nel migliore dei casi, con un’escoriazione, ma va tenuto a mente
che non e’ poi cosi remota l’eventualità che finisca anche peggio. Ad esempio:
il banale e romantico gesto di raccogliere una bella conchiglia colorata,
qualora questa fosse un conide vivo, potrebbe anche condurvi in breve tempo alla
tomba, facendovi saggiare, già durante il viaggio, un esaustivo preambolo delle
pene dell’inferno. Fra questi stupendi gasteropodi che abitano piccole
conchiglie (appunto coniche) decorate in maniera sorprendente, si annovera il
Conus textile, un mollusco vorace, ma lentissimo negli spostamenti. Per ovviare
al suo handicap motorio, questa bestiola ha sviluppato, nel corso della propria
evoluzione, una strategia di caccia che farebbe impallidire uno squalo bianco.
Ha sintetizzato infatti, una delle tossine più letali che si trovino in natura
[(la conotossina) al confronto della quale, nella medesima quantità , il veleno
di un crotalo e’ poco più tossico di un the’ al limone] e riesce ad inocularla
nella vittima prescelta sparandole un dardo perforante dal raggio di azione
ridottissimo, ma dall’efficacia sconcertante. La vittima resta paralizzata in
pratica, istantaneamente,,, e muore subito, li, sul posto, consentendo al
mollusco di raggiungerla in un tempo ragionevolmente breve per potersene cibare.
L’arma ha evidenti scopi di offesa, con fini principalmente alimentari ma, nulla
vieta a questo animaletto, di utilizzarla anche a scopi difensivi. A voi il
compito d’immaginarne gli effetti, se l’uso venisse inferto ai danni del palmo
di una manina incauta.
Tra i tanti incontri, più o meno coinvolgenti che potete fare durante
l’attraversamento di questo “trottoire†costiero per raggiungere il mare, ci
sono, ad esempio fra i pesci, le scorpedini. In questa popolosa famiglia è
pressoché impossibile trovare generi o specie, prive di aculei velenosi. Si va
dai normali scorfani (simili alla nostra Scorphaena scrofa), dalla puntura
soltanto molto dolorosa, fino alla tossicissima (Scorphaena diabolus), detta
anche falso pesce pietra, o pesce diavolo, il cui veleno può provocare danni
anche irreversibili. Pure rappresentanti dei magnifici “lionfish†[(pteroides)
in italiano “pesci cobra†nome che già la dice lunga a sufficienza], nelle loro
diverse specie, rimangono talvolta “intrappolati†dall’effetto della bassa
marea, nei buchi allagati della bancata di superficie. I russi, o più in genere
gli abitanti dell’est Europa, pare abbiano una predilezione innata per gli
aculei veleniferi di questi spettacolari pesci che, immancabilmente ad ogni
stagione e presso ogni hotel, provvedono a gonfiarne qualche arto, infierendovi
punture che farebbero piangere anche uno già in coma profondo.
Più difficile, ma non impossibile, è imbattersi in una synanceide (Synanceia
horrida e Synanceia verrucosa). Queste due specie sono note come i veri pesci
pietra. Date le sorprendenti capacità mimetiche (non solo a livello cromatico,
ma anche morfologico), sono praticamente irriconoscibili dal substrato
madreporico, se non agli occhi di un esperto, e questo aspetto li rende
pericolosissimi in quanto facili da calpestare. I loro aculei disposti lungo la
pinna dorsale, ma anche sulle pettorali e gli opercoli, sono un’arma di difesa
micidiale che, se non contrastata tempestivamente dallo specifico antidoto, ha
quasi sempre esiti fatali.
Fra gli echinodermi di barriera invece, si collocano i più famosi sciupa vacanze
del mare.
Non sono certo le stelle marine o le ofiure,,, bensì, i ricci.
Fra tutti, il riccio diadema (Diadema setosum) è quello fornito degli aculei più
lunghi e meglio orientabili. Quando questi vengono sollecitati, anche solo
avvicinati, l’animale riesce a disporli subito in modo tale per cui, almeno uno
fra di essi possa sforacchiare il molestatore. Queste lunghe spine mobili sono
ricoperte da un sottile strato di mucosa dal potere infettante, sono
acuminatissime, dure e fragili come scaglie di vetro, e una volta infilzatesi
nel malcapitato,,, vi si spezzano dentro. Questo riccio ha abitudini notturne,
come la quasi totalità dei suoi conspecifici, ma tende a formare popolose
aggregazioni diurne sotto gli anfratti di superficie, per difendersi
dall’irradiazione solare, e non è così infrequente trovarsene attorniati, mentre
si nuota a rana nei 60 centimetri d’acqua di una pozza del reef.
Anche solo l’effetto di questo avvistamento, provoca nell’uomo, un’ immediata
eruzione cutanea di cosiddetta “pelle d’ocaâ€, acuisce lo stato di allerta e fa
propendere il bipede all’allontanamento.
Un altro riccio che può rivelarsi un pessimo “cliente†è il riccio puntaspilli
(Asthenosoma nova species e Asthenosoma varius ). Nella migliore delle sue
livree si propone di un bel color “pesca maturaâ€. Evidenzia piuttosto bene la
struttura penta radiata del corpo, in quanto gli aculei che lo rivestono sono
corti, radi e molto sottili,,, alla stregua di peli biondi. Specialmente se è
incazzato però, li presenta tutti sormontati da piccole vescicole sferiche e di
colore lattiginoso che gli conferiscono quell’aspetto da puntaspilli di
sartoria, al quale deve il suo discusso appellativo “volgareâ€
(infatti c’è chi lo chiama riccio cuoio o riccio di fuoco).
Sì, queste piccole “capocchie†bianchicce altro non sono che ghiandole
velenifere, contenenti una potente e pericolosa tossina, della quale a
tutt’oggi, non si conosce granché. Basta provare a sfiorarlo, nell’intento di
verificarne la morbidezza (perche così appare,,, morbido), per pentirsene subito
e molto amaramente.
I subacquei già sanno, che potrei continuare per diverse pagine ad elencare la
presenza di creature, in questo ecosistema, con le quali è veramente inopportuno
stabilire (anche solo accidentalmente) un contatto diretto. Ma non essendo
intento (né tantomeno qualificato) a scrivere qui un “trattato†di biologia
marina,,, mi fermo.
Assodato a ‘sto punto che è sconsigliabile toccare o calpestare la barriera, e
ancor prima consapevoli che, pur sapendo nuotare,,, non sappiamo volare per
poterla scavalcare,
consiglio a chi voglia assaporare le bellezze del mare, in quel di Marsa Alam,
di trovarsi un’ubicazione con agevole accesso allo stesso e, possibilmente,
protetta dai frangenti imperituri di questo lungo tratto di costa.
Sfido chiunque a farsi fornire questo genere d’informazione in modo preventivo,
da qualsiasi agenzia di viaggi…
Nel caso non voleste correre rischi: Dirottate su Sharm el Sheik
Auguri di buone vacanze.
Jacques-Davide Cousteau
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