L’iconografia più antica ci riporta di Medusa fattezze mostruose – aspidi in luogo di folti boccoli, ali d’oro, zanne grottesche – e la vuole risiedere, insieme alle sorelle Steno ed Euriale, in un antro cavernoso nei pressi dell’Ade, sebbene Ovidio, nelle Metamorfosi, racconti invece di una donna bellissima, dalla chioma fluente, la quale diveniva oggetto delle brame di Poseidone, dio del mare, che la violentava sulle porte di un tempio di Minerva. Inorridita ed offesa per l’affronto, la “casta” figlia di Giove tramutava i bellissimi capelli di Medusa in ripugnanti serpenti, di modo che chiunque la guardasse cadesse vittima del suo sguardo letale, pietrificato.
La più temibile delle gorgoni cadeva sotto il colpo mortale dell’harpe di Perseo, il quale, cogliendola addormentata e protetto dallo scudo riflettente donatogli da Minerva, riusciva a non farsi pietrificare e la decapitava, portando via con sé il macabro trofeo chiuso in un sacco.
La testa mozzata della creatura, però, non smetteva di generare effetti prodigiosi anche a distanza; per coprire pietosamente il volto di Medusa, Perseo ricorreva infatti a certi “ramoscelli acquatici”, che a contatto con il sangue della creatura, si pietrificavano all’istante e ne prendevano il color cremisi. Era l’origine mitica del corallo, a cui sin dagli albori della sua scoperta (dovuta probabilmente ai Fenici) venivano per questo motivo attribuite capacità curative, poteri apotropaici, ed infine una preziosità tale da divenire ornamento e gioiello.
Dal mito di Medusa alla biologia
Quella che passava alla storia come un’antica leggenda, nei secoli dava corso ad un grave misunderstanding scientifico: il corallium rubrum, infatti, a lungo veniva assimilato ad un vegetale e non ad un animale, quale in realtà è, appartenente al phylum degli Cnidari, o Celenterati, ed alla classe degli Antozoi. Occorrerà attendere l’intervento dello scienziato Marsili, nel XVII secolo, per avere una dimostrazione incontrovertibile della natura del corallo. Trattavasi infatti di una colonia di piccoli animali, detti polipi, di colore bianco, ciascuno dotato di otto tentacoli, organizzati stabilmente all’interno di uno scheletro calcareo che alla luce di un illuminatore subacqueo appare di colore rosso. Sebbene non sia impossibile avvistarne ancora degli esemplari a partire dai 30, 40 metri di profondità, oggi il corallo scarseggia quasi ovunque, a causa dell’elevato pregio commerciale della specie, che lo rende oggetto di sfruttamento intensivo.
Il corallo si distingue dalle sue parenti, le gorgonie, poiché queste ultime presentano uno scheletro meno calcificato, rivestito di un tessuto molle nel quale i polipi si ritraggono se avvertono un pericolo, e che conferisce colorazione all’animale. Amanti dei substrati rocciosi, delle acque fredde e pulite, le gorgonie presentano la classica forma “a ventaglio”, e rievocano anch’esse il mito di Medusa, vuoi per la loro variazione cromatica più comune, quella rossa (la Paramuricea clavata), vuoi per la parziale rigidità dello scheletro, che le assimila al corallo. Soggetto fotografico per eccellenza, la bella paramuricea non di rado si vede “occupata” – non sappiamo se di buon grado – da un altrettanto fascinoso echinoderma che, in maniera decisamente più scenografica, richiama anch’esso il mito della tremenda gorgone, l’Astrospartus mediterraneus. Detto Stella gorgone per l’inestricabile groviglio dei suoi tentacoli, ramificati e mobili, che ricordano la capigliatura selvaggia di Medusa, l’Astrospartus è invece affine ai ricci di mare, alle oloturie e alle ofiure, le stelle serpentine. Di colore grigiastro, durante il giorno sta per lo più racchiuso “a cesto” (da qui il nome inglese, basket star) e di notte, svolgendo le sue estremità in pose plastiche, si mette a caccia delle micro-particelle planctoniche trasportate dall’acqua, di cui si nutre.
Senza alcuna pretesa di scientificità, abbiamo voluto usare la leggenda di Medusa solo per raccontare un piccolo pezzo di quel mare da cui al momento siamo costretti a star lontani, e magari proporre una lettura diversa del mito. Se infatti il simbolismo ricondotto alle Gorgoni (nella mitologia, nella pittura, nella scultura) era per lo più quello che tradizionalmente associava alla femminilità un valore negativo — la bellezza che uccide, la perversione, sessuale (Euriale), morale (Steno), intellettuale (Medusa) che corrompe gli animi — ci chiediamo se non sia finalmente il caso di riabilitare Medusa e ciò che rappresenta: una creatura unica nel suo genere, fiera, forte, ma anche estremamente fragile come lo sono il corallo, la gorgonia, l’Astrospartus, ed in definitiva tutti gli esseri viventi, maschi o femmine che siano.
Complimenti a Francesca per l’originale descrizione del nostro oro rosso