Sentenza storica in Costa Rica: un’imprenditrice responsabile della morte di centinaia di squali è stata condannata a sei mesi di carcere.
Il tribunale di Puntarenas, Costa Rica, ha condannato a sei mesi di carcere un’imprenditrice di Taiwan per aver ordinato a dei pescatori 652 pinne di squalo destinate alla vendita in Asia. Si tratta della prima sentenza penale nel paese centro americano contro la pesca allo squalo.
Il caso risale al 2011, quando una barca da pesca appartenente alla donna è stata trovata con 151 squali con le pinne mozzate a bordo. Inizialmente l’imprenditrice era stata assolta nel 2014, è stato però presentato un appello e ora la corte di Puntarenas ha giudicato l’imputata colpevole di danni alle risorse naturali della Costa Rica.
Giova sempre ricordare che gli squali sono attivamente pescati in tutto il mondo, che la loro pesca è chiaramente insostenibile perché sono animali che, a somiglianza dei mammiferi, hanno una maturità sessuale tardiva e partoriscono pochi piccoli al termine di una lunga gravidanza. Che il valore delle pinne, vendute sui mercato orientali per preparare una zuppa (che sa di poco, parere mio) ha portato alla barbara pratica del finning, il taglio delle pinne di animali pescati, ributtati in mare ancora vivi senza pinne (= condannati a una morte atroce). E anche che l’italia è tra i primi consumatori al mondo di carne di squalo, spesso venduto nei supermercati con nomi che il consumatore non identifica immediatamente con uno squalo (chi di voi sa cosa sono palombo, verdesca, nocciola, vitella, canesca, nera?).
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