Autori testo: Filippo Cestaro e Chiara Di Credico
Autore foto: Marco Daturi
L’estate trascorsa è stata segnata purtroppo da numerosi incidenti subacquei.
Nonostante gli enormi progressi fatti in campo medico e tecnologico, esiste
qualcosa che rende tutt’oggi la subacquea un’attività da affrontare con le
dovute cautele. In questo articolo approfondiremo alcuni aspetti importanti che
potrebbero determinare il verificarsi di un incidente.
Andiamo con l’immaginazione indietro nel tempo fino alla metà del secolo scorso:
un subacqueo del tempo avrebbe avuto sicuramente più preoccupazioni rispetto a
uno contemporaneo. Pensatevi in immersione senza GAV, senza computer, senza
manometro e senza l’indispensabile esperienza acquisita in anni di subacquea
ricreativa. Pensiamo al GAV per esempio, implementato solo di recente
nell’attrezzatura: permette di galleggiare comodamente in superficie (come un
giubbotto salvagente) e di raggiungere l’assetto neutro sott’acqua risparmiando
energie e rendendo l’immersione più sicura (con buona pace per tutti coloro che
ancora dibattono sull’effettiva sicurezza del GAV – causa di pallonate).
Le moderne attrezzature, quindi, unitamente allo sviluppo di teorie
decompressive e di computer con algoritmi sempre più conservativi (protettivi)
hanno, nel tempo, contribuito fortemente a rendere la subacquea oggettivamente
più sicura, e alla portata di molti. Non dimentichiamo inoltre l’importanza
dell’addestramento, dell’esperienza e della prudenza.
Nonostante questo, anche se controlliamo scrupolosamente questi fattori, esiste
il rischio che qualcosa vada storto, e che di colpo un’immersione tranquilla si
trasformi in un’esperienza negativa: oltre ai fattori di sicurezza oggettivi
esistono, infatti, fattori soggettivi legati unicamente alla persona e al
suo stato psicofisico che possono condurre al panico, sfociare quindi in
comportamenti inconsulti e molto pericolosi.
Durante l’attacco di panico il sub vorrà raggiungere la superficie il più
velocemente possibile e probabilmente tratterrà il fiato nel farlo, entrambi
sono comportamenti pericolosissimi in immersione.
Non è un caso che le statistiche sostengano che il panico è stato responsabile
del 20-30% degli incidenti subacquei mortali.
Ma che cos’e’ il panico? E’ una reazione istintiva non
controllata e disadattiva del nostro organismo in risposta ad un evento
stressante, reale o immaginario che sia.
L’ambiente esterno ci sottopone costantemente ad eventi e sfide, ed il nostro
organismo vi reagisce in maniera prevedibile e gerarchica. Questa gerarchia
negli esseri umani è composta da tre circuiti neurali: il circuito
evolutivamente più giovane ha la precedenza sugli altri, ma se fallisce allora
interverranno i sistemi più antichi e automatici, che condividiamo con
gli altri mammiferi e per ultimi con i rettili.
Comportamenti inconsulti che conducono il sub a ricercare la superficie il più
rapidamente possibile o a togliersi la maschera e l’erogatore potrebbero essere
causati dal fallimento del nostro circuito neurale più evoluto (es. nervo vago
mielinizzato), al quale si sostituisce quello meno evoluto, che reagisce
spontaneamente, istintivamente (sistema nervoso simpatico). E’ importante
sottolineare che il nostro istinto, che reagisce in maniera automatica, è il
prodotto di millenni di evoluzione sulla terraferma: è quindi comprensibile che
risponda all’immersione spingendo l’organismo a ricercare la superficie, l’aria,
la vita.
Purtroppo però mal si adatta all’ attività sub, che ci impone di salire
lentamente e di non trattenere il fiato. Per questo le maggiori didattiche
insegnano, in caso di stress fisico o mentale, a fermarsi, respirare, pensare
e poi agire. In questo modo possiamo riprendere il controllo sui nostri
istinti prima che ci guidino verso azioni sbagliate.
Da un certo punto di vista il subacqueo ha contro di sé millenni di evoluzione
sulla terraferma. Se pensiamo all’uomo in quest’ottica, ci rendiamo conto di
quanto la possibilità di respirare sott’acqua con l’ARA sia una magnifica
manifestazione dell’intelletto e della capacità di ragionamento dell’essere
umano grazie alla neocorteccia (la struttura più recente nel cervello – si
occupa delle funzioni superiori), caratteristiche che per quanto ne sappiamo
fino a oggi, ci differenziano da tutte le altre specie con le quali condividiamo
il pianeta. Il fatto però che ci siamo evoluti respirando aria sulla terraferma
facilita, soprattutto quando non siamo molto esperti, la valutazione
dell’ambiente acquatico come rischioso aumentando la possibilità di attivare i
sistemi difensivi più istintivi (condivisi con le altre specie animali), che
come abbiamo già detto mal si adattano ad una situazione d’immersione con ARA.
L’attività subacquea richiede quindi come caratteristica
principale un’ottima capacità di controllo di sé: non è richiesta una
particolare prestanza fisica magari e non occorre essere atleti, ma è molto
importante rimanere in contatto con la propria umanità, usando il potere della
ragione e della logica per tenere a bada la parte più animalesca.
E’ fondamentale quindi, oltre a mantenersi allenati e ad utilizzare attrezzature
in buono stato, rinforzare la capacità di dominare l’istinto attraverso
specifici training. E’ da tempo dimostrato, per esempio, che lo yoga e le
tecniche di meditazione sono potenti strumenti per migliorare il proprio
autocontrollo e per imparare a gestire le “emergenze” con la giusta dose di
calma e tranquillità. Già usate dagli apneisti alla ricerca del limite fisico,
potrebbero essere implementate nell’addestramento del sub.
Noi crediamo, come scritto nel precedente articolo (pubblicato sul n.4 di
ScubaZone), che la
subacquea stessa racchiuda in se il potere dello yoga e della meditazione, e che
attraverso particolari tecniche respiratorie ed esercizi, anche sfruttando
alcuni riflessi fisiologici automatici presenti quando ci immergiamo, possa
essere essa stessa (se rispettiamo determinate condizioni) lo strumento per
migliorare il nostro autocontrollo, rendendoci più padroni dei nostri istinti, e
quindi dei subacquei più lucidi e sicuri.
La subacquea allena la ragione e potrebbe diventare un training perfetto
per rafforzare alcune importanti caratteristiche dell’essere umano,
indispensabili per affrontare al meglio la vita di tutti i giorni così come le
immersioni.
Articolo pubblicato su ScubaZone n.6:
http://www.scubazone.it/mag/scubazone6/
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