Le cronache recenti hanno portato alla ribalta i casi di 3 capodogli che, in modo diverso, tutti nelle acque delle isole Eolie, hanno avuto a che fare con le reti derivanti dette spadare, vietate dalla legge pressoché dovunque ma ancora oggi usate illegalmente in Mediterraneo dove causano la morte di squali, delfini, tartarughe, uccelli marini e altre specie protette.
La storia comincia nel 2017, quando Siso, un capodoglio maschio di 10 m muore annegato per essersi impigliato in una rete spadara. Perché riparliamo di Siso? Perchè oggi il suo scheletro fa bella mostra di sé al MuMa (Museo del Mare) di Milazzo, a memoria delle vittime della pesca illegale.
Capodogli e spadare
Lo scorso 26 giugno le biologhe del centro recupero tartarughe dell’isola di Filicudi avvisano la Guardia Costiera di Lipari della presenza di un esemplare di capodoglio in difficoltà nelle acque dell’Arcipelago eoliano. Spike, maschio di circa 10 m, si è avvolto la coda in una enorme rete da pesca. Spike è fortunato e collabora con i suoi salvatori, stazionando a 2 m di profondità per 1 ora, il tempo necessario per le operazioni. Alla fine, sotto il controllo degli operatori, si riunisce con i tre amici che lo hanno aspettato e riprende il suo vagabondaggio. Le foto della liberazione di Spike sono una gentile concessione di Marco Malpieri.
Si è appena conclusa questa vicenda quando riceviamo da Sea Shepherd un comunicato che ci informa che un terzo capodoglio, Furia, una femmina, nonostante i numerosi tentativi e gli inseguimenti, ha fatto perdere le sue tracce. Furia ha ancora un pezzo di rete che le avvolge la pinna caudale, che non è stato possibile toglierle, perché, forse spaventata o dolorante, si è ribellata a tutti i tentativi di aiutarla.
Sea Shepherd fa sapere che sposterà nell’area Eoliana la nuova imbarcazione Conrad e il mezzo veloce Hunter, per intervenire prontamente in caso di necessità.
Nel video: la liberazione di Spike.