Il giovane pesce farfalla si muove circospetto, come deve chi esplora un nuovo ambiente. Fino a ieri, come larva pelagica, lo sfondo abituale delle sue scorribande era il blu profondo dell’oceano. Adesso tutto è cambiato. Una voce interna gli impone di stare vicino al reef, ai coralli. Che da un lato danno protezione, ma dall’altro potrebbero nascondere insidie ancora sconosciute.
Dietro di lui si materializza un’ombra scura. Non fa in tempo a metterla a fuoco, che una sorta di imbuto si apre e un risucchio potente lo attira. Non è ancora passato un secondo, l’oscurità lo avvolge e la corrente lo trascina giù, un torpore strano lo avviluppa. I predatori possono nascondersi ovunque, ma ormai è tardi per imparare una lezione.
Per un pesce osseo, animale sprovvisto di arti, la bocca è un organo fondamentale: serve per esplorare, toccare, conoscere, e ovviamente per mangiare. L’evoluzione dei pesci, attualmente come numero di specie il gruppo dominante tra i vertebrati, si basa proprio sulla plasticità di quest’organo fondamentale.
Le ossa premascellari, che uniscono l’arco delle mascelle al neurocranio (la parte superiore del cranio, che protegge il cervello) formano un’articolazione lassa e molto mobile, che consente alla mascella di essere letteralmente proiettata in avanti formando un tubo boccale.
La bocca dei pesci
In alcune specie, come nel labride Epibulus insidiator, quando la mascella è lanciata in avanti si forma un tubo lungo anche 1/3 dell’intero animale. E il tutto (spinta in avanti del tubo boccale e risucchio della preda) avviene nel tempo incredibile di 30 millisecondi!
Già, ci mettiamo molto di più a spiegare il meccanismo a parole, ma un predatore ha fretta, la sua cena non aspetta. Il meccanismo di spinta in avanti della mascella, combinato con la chiusura dell’opercolo branchiale, produce inizialmente una depressione nel cavo orale. L’apertura improvvisa della bocca quindi causerà un risucchio, quello che stava davanti in quel momento viene attirato dentro con una velocità che in certe cernie è stata misurata in 80 km/h.
Studi recenti hanno chiarito che l’estroflessione delle mascelle ha anche il significato di portare la bocca verso la preda senza che tutto il pesce si debba avvicinare. L’ultimo avvicinamento viene fatto solo dalla bocca, il predatore si tiene lontano e spinge avanti le mascelle. Che comunque, avanzando verso la preda, la spingerebbero via (in un mezzo denso come l’acqua a ogni azione corrisponde una reazione), ed allora ecco il risucchio: in molti casi serve semplicemente a controbilanciare e annullare questa onda di prua.
Di solito i pesci predatori hanno bocche molto rapide e grandi, con denti caniniformi aguzzi come aghi (o pugnali, dipende dalla dimensione) che penetrano nelle carni della preda e la immobilizzano in una morsa da cui sarà difficilissimo uscire vivi. Ma sono denti tutti uguali, incapaci di tagliare, di fare a pezzi una preda grossa per mangiarla un pezzo per volta (questo lo fanno gli squali, pesci cartilaginei). La preda deve essere inghiottita intera, in un boccone solo o tirandola dentro con pazienza e applicazione.
Ma per arrivare a questo punto i predatori mettono in atto una serie di tecniche diverse, che hanno tutte lo scopo di portare la preda a portata di bocca, per poi scattare.
La bocca dei pesci
La prima categoria è quella dei predatori che si basano su un nuoto veloce e piombano sulla preda in velocità. Tecnica tipica dei carangidi e degli scombridi, cacciatori di mare aperto, dal corpo rigido e dalla pinna caudale falcata.
La seconda categoria, molto numerosa, comprende specie che cacciano all’agguato, nascondendosi per attendere la preda. I pesci lucertola, la maggior parte degli scorpeniformi (scorfani e famiglie affini) usano questa tecnica assai bene: l’immobilità, una livrea marmorizzata e la possibilità di variare il colore per adattarlo a quello del fondo li rendono invisibili. La preda che si avvicini troppo cade vittima di uno scatto improvviso con estrusione delle mascelle. Denti piccoli ma aguzzi la immobilizzano e ne fiaccano la resistenza mentre viene inesorabilmente ingoiata.
C’è chi ha perfezionato il mimetismo aggressivo con strutture che addirittura attirano la preda e la portano vicino: gli antennaridi (pesci rana) hanno un corpo che non ha nulla del pesce, sembra piuttosto una spugna globulare, una parte del fondo coperta di incrostazioni vere e di finti buchi. Il primo raggio della pinna dorsale modificato porta in punta un esca (un pompon, un finto verme, diverso a seconda della specie). Il movimento ritmico di questa appendice, mentre il pesce resta immobile, è un’attrazione irresistibile per l’incauta vittima. Bocca e stomaco dilatabili consentono loro di ingoiare rapidamente prede enormi.
Le specie che appartengono alla terza categoria, si muovono tranquillamente senza nascondersi, e sembra che abituino le prede alla loro presenza, celando le reali intenzioni. Così si comportano di solito cernie, lutianidi, emulidi (labbradolci o grugnitori), muovendosi da soli o in gruppo, spesso attivi verso il tramonto. La cerniotta che sembra salutare agitando le pinne, che inclina il capo verso il basso, si finge remissiva e innocua ma osserva attentamente i pesciolini cha la circondano pronta a individuare e a piombare con un guizzo su quello che si muova male, con difficoltà, o che, meno prudente degli altri, semplicemente si avvicini troppo. La cernia non è veloce, è massiccia e ha pinna caudale triangolare o arrotondata, ma l’ampia superficie natatoria nella parte posteriore del corpo garantisce uno scatto rapidissimo.
Se vogliamo non è troppo diverso il comportamento di specie che si avvicinano alla preda lentamente, nascondendosi (quarta categoria). I pesci trombetta ne sono forse l’esempio più eclatante. Il corpo sottilissimo visto frontalmente ha un ingombro quasi nullo. Spesso si associano a pesci più grossi, e nuotando nel cono d’ombra, si avvicinano non visti alla preda, ne escono solo per acchiapparla con un potente risucchio favorito dal lunghissimo tubo boccale.
Tipica degli anguilliformi (quinta categoria) è la tecnica di inseguire la preda in fessure tra le rocce, addirittura dentro le tane. Murene, anguille serpente, gronghi sfruttano un corpo serpentiforme che nuota con ondulazioni, non consente velocità elevate ma può penetrare nel buco più stretto.
Recentemente è stata studiata anche la particolare conformazione della bocca delle murene, che hanno due ordini di mascelle, come la maggioranza dei pesci ossei: entrambi si chiudono sulla preda, poi le mascelle esterne, dopo che la stretta di denti a pugnale e le sostanze tossiche contenute nella saliva ne hanno fiaccato la resistenza, la lasciano temporaneamente alle mascelle interne che si ritirano verso la gola, e mordono un poco oltre. A piccoli spostamenti, il boccone è ingollato, spesso ancora vivo.
Altre tecniche di caccia sono più difficili da inquadrare. I pesci leone del genere Pterois (scorpenidi) avanzano verso la preda avvolgendola con le pinne pettorali in uno spaventoso abbraccio, e spingendola verso una roccia, formando un imbuto al cui vertice è la bocca.
La bocca ci dice molto sulla dieta del pesce. Nel corso dell’evoluzione di questo gruppo ha subito modifiche alla base delle diete fondamentali. Abbiamo preso in considerazione solo i pesci predatori di altri pesci, bocche diverse sono quelle di chi mangia plancton, vegetali, invertebrati… ma queste sono storie diverse.
L’articolo era su Scubazone n. 30. Lo avete scaricato, vero?