Autore: René Buri
Se la quantità dei rifiuti di plastica va progressivamente aumentando in tutto il mondo, mettendo a repentaglio la vita di parecchie specie animali che vivono nei mari, i residui di plastica si trovano sempre più anche nei nostri cibi e, in ultimo, nel nostro organismo.
Il problema è che da qualche decennio la quantità dei rifiuti di plastica cresce a ritmi minacciosi. In un solo anno, sono prodotte attualmente in tutto il globo circa 280 milioni di tonnellate di plastica. Rispetto al 1950, tale quantità è aumentata ben 140 volte.
È pertanto fondamentale che in futuro si punti ancora di più su prodotti ecologici e riciclabili, come ad esempio quelli realizzati con polietilene tereftalato (PET).
A seconda della qualità, del materiale di partenza e delle condizioni ambientali, i materiali plastici possono essere molto longevi e spesso dissolversi completamente soltanto a distanza di secoli. Questo è il motivo per cui sulla terra la plastica viene riutilizzata, sotterrata o bruciata. Nel mare, però, essa galleggia trasportata dalle onde. Se l’equipaggio di una nave getta a mare la propria immondizia di plastica, questa galleggia in acqua – minacciando la fauna locale.
Da una parte, gli abitanti del mare possono rimanere impigliati in reti, lenze, gomene perse o materiale plastico gettato a mare come ad es. sacchetti di plastica, non riuscendo più a muoversi e infine morendo. Dall’altra, essi ingurgitano la plastica stessa, finendo con il soffocare o morire, presto o tardi, di fame.
Dentro la catena alimentare
Sotto l’effetto di sole, maree, vento e onde, gli oggetti di plastica gettati a mare diventano sempre più piccoli. Tali particelle minuscole rappresentano un pericolo per l’ambiente, poiché le loro dimensioni consentono il deposito di sostanze nocive. Se ingerite da microorganismi, le particelle contaminate arrivano nella catena alimentare e, di conseguenza, anche all’interno di animali di dimensioni maggiori come i pesci. Seguendo tale iter, le particelle possono finire anche nel corpo umano.
La densità di rifiuti di plastica è particolarmente elevata laddove le correnti marine oceaniche danno origine a forti vortici, all’interno dei quali i rifiuti girano in modo analogo allo scarico di una vasca da bagno. Nel corso di parecchi decenni, si è venuto così a costituire nel Pacifico settentrionale un simile carosello di rifiuti, che circola a più di 500 miglia dalle coste occidentali degli Stati Uniti ed oramai si estende per una superficie pari al doppio dello stato del Texas. Un’altra immensa discarica di rifiuti è stata rintracciata nell’Oceano Atlantico, a nord delle isole caraibiche. Sembra che vi galleggino fino a 200.000 pezzetti di plastica per km quadrato.
Una breccia aperta nel 1907
Il documentario intitolato «Plastic Planet» mostra i possibili rischi ambientali causati da tale materiale economico, ricavato chimicamente dal petrolio e dal gas naturale, evidenziando l’atteggiamento dissipatore con cui la società odierna ne faccia uso e come le famiglie di tutto il globo accumulino un numero sempre maggiore di cianfrusaglie di plastica senza rendersene praticamente conto. Non è stato, però, sempre così. Un tempo la terra era scevra da tali beni di consumo, fabbricati con prodotti di scarto su scala industriale. A dare l’avvio all’era della plastica è stato il chimico belga Leo Baekeland, realizzando nel 1907 il primo materiale plastico interamente sintetico. Con la sua bachelite, materiale resistente al calore, infrangibile e chimicamente stabile, il ricercatore – proveniente da una modesta famiglia di calzolai – ha segnato l’inizio di una nuova era.
A finire nel nostro stomaco sono anche minuscoli pezzetti di plastica dall’aspetto simile al plancton . . .
All’incirca l’80% dei rifiuti di plastica provengono dalla terraferma, il resto da navi e costruzioni offshore..
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