“La sola ragione d’essere di un essere è essere, quindi agire, per mantenere il suo essere. Un sistema nervoso non serve che ad agire” (Henri Laborit)
Vorrei partire commentando un articolo scientifico, per la verità di qualche anno fa, ma tornato agli onori delle cronache in seguito a un dibattito che si sta accendendo su diversi media. All’alba del 2009, un gruppo di scienziati norvegesi (Nordgreen et al.), osservando la diversa reazione a stimoli dolorosi prima e dopo l’applicazione di un analgesico, conclude inequivocabilmente (e finalmente) che sì, i pesci possono provare dolore!
Massimo rispetto per un lavoro che finalmente sancisce con metodo sperimentale quello che noi subacquei e osservatori del mondo naturale pensavamo da tempo, ma la scienza ufficiale non riconosceva. Secondo l’idea dominante fino a ieri infatti, i pesci sarebbero stati in grado di reagire a uno stimolo negativo, ma solo a livello spinale, inconscio, senza coinvolgere i centri nervosi della corteccia cerebrale (che i pesci non hanno), con una specie di riflesso istintivo cioè, senza elaborare alcuna sensazione emotiva di dolore o paura. Dei piccoli automi, insomma, che se li pungi si spostano un poco più in là e riprendono a fare quello che facevano, dimenticandosi subito di cosa è successo, perché si riteneva anche che i pesci non avessero memoria (altra falsità, ma questa è un’altra storia).
Alla fine questa idea del pesce che non sente il dolore è comoda per molti. Il mondo della scienza può contare su animali da esperimento muti, che mai si sognerebbero di dire “Ohi, tu mi hai fatto male!” (come dice a Geppetto il pezzo di legno da cui nascerà Pinocchio). Dei pesci di legno? Molte leggi nazionali che stabiliscono i sistemi migliori per evitare sofferenze inutili agli animali di laboratorio escludono proprio i pesci, come se questi non fossero nemmeno degni della definizione di animale.
Anche nella pesca sportiva, la tecnica detta del catch and release, che consiste nel prendere la preda all’amo per sport e poi liberarla, si basa proprio sull’idea che i pesci non provino dolore né paura. Alcuni cantoni della Svizzera hanno recentemente vietato questa pratica, obbligando i pescatori a sopprimere il pescato, e dando istruzioni per porre fine in modo umano alle loro sofferenze (anche questo è discutibile).
Per inciso, i pesci non sono gli unici vertebrati a non avere corteccia cerebrale, anzi, sono in ottima compagnia: solo i mammiferi hanno sviluppato questa parte del sistema nervoso, accentrando molte funzioni che in tutti gli altri vertebrati, uccelli, rettili, anfibi e pesci, hanno semplicemente una localizzazione diversa. Nel 2012 infatti, un gruppo di autorevoli neuroscienziati riuniti all’Università di Cambridge, firma una dichiarazione in cui si afferma che la coscienza di sé non è da ritenersi esclusiva dell’uomo e degli altri mammiferi dotati di corteccia cerebrale, ma è stata dimostrata in altri animali, associata a parti diverse del sistema nervoso centrale. Tutti i mammiferi, ma anche ad esempio gli uccelli, i polpi, hanno nel loro cervello il substrato neurologico necessario per poter avere la coscienza di sé, provare dolore e emozioni. Anche i pesci? Sì, evviva! Ma adesso basta teoria, diamo uno sguardo sott’acqua!
che dolore
A volte in immersione è possibile vedere pesci orrendamente feriti o mutilati che nuotano come se niente fosse. Questo è uno degli argomenti usati dai sostenitori del pesce insensibile al dolore. In realtà non sappiamo se e quanto il pesce ferito soffra, ma sicuramente fa finta di niente per sopravvivere, perché sa che i predatori sono molto attenti e attaccherebbero di preferenza un pesce che sta per morire, in grado di opporre una resistenza limitata.
A mio parere l’osservazione dei pesci dal pulitore ci dà chiari indizi della loro estrema sensibilità. I pesci, privi di appendici, per pulirsi devono fare uso del pulitore: già accettare questo contatto, per animali che di solito evitano con cura di toccarsi tra loro, è difficile. Ma non possono tenersi puliti da soli, devono per forza accogliere questo pesciolino che si muove con professionalità e precisione sul loro corpo, liberandoli con sicurezza da parassiti o pelle morta.
Professionale, sì, e preciso, ma l’errore è sempre in agguato. A volte può succedere che il pulitore affondi un po’ troppo il morso, sbagliando valutazione, o semplicemente perché attratto da quella scaglietta appetitosa… anche il pulitore è un pesce. Ebbene, la reazione del morsicato è inequivocabile. Scarti, scrolloni violenti, a volte addirittura l’inseguimento del reo per punirlo come merita! Tutto fa pensare che abbia sentito dolore, che sia molto attento e consapevole della differenza tra farsi strappare un parassita e una scaglia buona.
La paura e il dolore sono segnali che dovrebbero sempre scatenare una reazione di contro-aggressione o di fuga. Il dolore è sempre finalizzato alla possibilità di reagire all’aggressione. È un elemento fondamentale per l’auto-conservazione. E avere un sistema nervoso centralizzato, con un cervello, è importante in quanto consente da un lato di elaborare le informazioni sensoriali per esplorare il mondo attorno a noi, dall’altro di farci reagire prontamente e in modo coordinato quando un’ aggressione minacci la nostra integrità.
Il fatto che per noi queste funzioni di integrazione degli stimoli siano localizzate nella corteccia cerebrale (la cosiddetta materia grigia) non ci deve portare a pensare che negli animali privi di materia grigia non esistano sensazioni e sentimenti. Anzi, più li frequentiamo e più ci convinciamo che gli animali ci assomigliano profondamente, anche nell’espressione dei sentimenti, almeno di quelli più elementari come la paura.
Per la cronaca, il dibattito continua, con un robusto partito avverso che sostiene che i pesci non possono provare dolore. Io ho detto la mia, sarò felice di leggere la vostra opinione e di rispondervi, se commenterete qui di seguito.
Articolo pubblicato su Scubazone n. 10. Lo avete nella vostra collezione? Rimediate subito, è gratis.