Autore: Luca Vignoli
Affondare le piattaforme off-shore in dismissione per
creare hot spots di biodiversità e ripopolamento ittico fruibili per il turismo
subacqueo.
Lo studio è liberamente scaricabile dal sito internet
www.lucavignoli.it
Affondare le piattaforme off-shore in dismissione per creare
hot spots di biodiversità e ripopolamento ittico fruibili per il turismo
subacqueo.
E’a proposta del dr. Luca Vignoli, segretario generale AISA -Associazione
Italiana Scienze Ambientali- nonchè istruttore subacqueo: "E’ la soluzione
migliore, diventeranno oasi marine subacquee". Una volta bonificate non
inquinano: "Sarebbe una soluzione vincente e di grande richiamo turistico"
RAVENNA – Come giganteschi iceberg metallici, emergono
dall’acqua, nelle giornate più terse, al largo della costa. Sono le cosiddette
“isole di ferroâ€, le piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi in
mare. Una fonte di ricchezza inestimabile nel periodo di attività , ammassi
ferrosi abbandonati dal momento in cui il giacimento si esaurisce. E a quel
punto qual è il loro destino?
La soluzione economicamente più conveniente, ma anche ecologicamente migliore, è
una sola: affondarle. Rabbrividiscano pure gli ambientalisti, ragionevolmente
“scottati†dal recente disastro ambientale della “marea neraâ€. L’idea,
dettagliatamente illustrata a Eni, – liberamente scaricabile dal sito
www.lucavignoli.it,
parte dalla seguente considerazione: opportunamente bonificate, le piattaforme
affondate non inquinano, ma al contrario si trasformano in “hot spots di
biodiversità biologicaâ€. Tradotto: diventerebbero vere e proprie oasi di
ripopolamento marino, al riparo dalle reti dei pescatori e paradiso sommerso per
i turisti appassionati sub.
Di piattaforme offshore ce ne sono più di 20 tra Comacchio e Rimini e oltre 80
in tutto l’Adriatico: “Per legge Eni, una volta esaurita la concessione
mineraria, è obbligata a bonificare i siti di estrazione ed a smaltire le
piattaforme dismesseâ€. E questo al momento significherebbe solo una cosa.
Riportarle a terra e smantellarle per inviarne i pezzi al ferrovecchio.
Operazione complessa e costosa..
In tanti hanno proposto soluzioni alternative di vario genere: dall’installarvi
sopra delle pale eoliche, sino addirittura al costruirvi sopra degli alberghi di
lusso.
Soluzioni per niente convenienti e con nessun vantaggio di ritorno per Vignoli
che, nel 2006, ha presentato all’Eni un dettagliato progetto di affondamento,
arrivato lo scorso ottobre sul tavolo del ministero dell’Ambiente. Un’esperienza
già sperimentata con successo negli Stati Uniti, in Australia ed in molti altre
nazioni a vocazione marino turistica. [diversi filmati sono disponibili
all’indirizzo
http://www.youtube-nocookie.com/user/lucavignoli#grid/user/B8C607FACE130F55 . ]
Ed in Italia non sarebbe nemmeno un’assoluta novità .
In diverse località costiere italiane, a seguito dell’affondamento di navi
spesso le popolazioni locali si sono mobilitate al fine di evitarne il recupero
a terra da parte delle autorità . Qualche anno dopo l’affondamento succede che il
pescato aumenta, ed i turisti subacquei pure (categoria che spende, ndr). Basti
pensare al relitto della Haven, di fronte ad Arenzano (La Spezia). La petroliera
incendiata ed inabissatasi davanti la costa dopo alcuni anni è tornata a nuova
vita colonizzata da tantissime creature marine di tutti i generi e specie. Ma
non solo: ora il sito è meta di turisti subacquei esperti provenienti da tutta
Europa. Una singola immersione può arrivare a costare sino a 100 euro. E pure i
ristoranti e gli alberghi non piangono.
Ma ora, tornando all’Adriatico, è bene sapere che in realtà , nonostante i suoi
pochi colori, l’adriatico è un bacino biologicamente fertilissimo; molto più del
Tirreno. Grazie sia ai nutrienti portati dal Po che alla sua conformazione
geomorfologica. Il “problemaâ€, da un punto di vista per così dire naturalistico,
è il fondale sabbioso. Non permette agli organismi di attecchire e fissarsi, e
quindi di creare comunità biologiche fisse geograficamente stabili, evolvibili
nel tempo. Qualsiasi altra superficie solida, invece, diventa un ‘punto caldo’
in cui la biodiversità può attecchire e, a velocità esponenziale, proliferare.
E’ a questo punto che entrerebbero in gioco le piattaforme dismesse, bonificate
e poi affondate: materiali diversi, a differenti profondità e a gradi di
esposizione luminosa variabile. Un habitat ideale per flora e fauna marina, di
tutti i generi e specie … dalle microalghe, agli anemoni, crostacei, …. sino
alle corvine, astici, aragoste, orate, saraghi, gronchi e boghe, ecc… Luoghi
perfetti per tutte le creature marine per nascondersi, cacciare, cibarsi,
deporre le uova, riprodursi…
E si che l’esempio più conosciuto in mar Adriatico l’abbiamo
sempre avuto sotto gli occhi: il Paguro, la piattaforma Agip inabissatasi in
mare nel 1965 di fronte a Ravenna a seguito di un’esplosione, a 12 miglia dalla
costa. 35 anni dopo il suo relitto è anch’esso, come la Haven, divenuto meta
privilegiata per gli appassionati di immersioni. Si pensi che è definito
ufficialmente quale “Sito di interesse comunitario†nell’ambito di Rete Natura
2000 ed è classificato come Zona di riserva integrale dello Stato. [
www.associazionepaguro.org ] . In 10 anni vi si sono raggiunte quota 40mila
immersioni. “Si pensi che il relitto è ad un’ora di navigazione dalla Marina di
Ravenna e raggiunge la profondità massima di 32 metri… Ogni escursione costa dai
35 ai 50 euro a persona; è facile immaginare il boom turistico-economico che si
creerebbe con un parco subacqueo che collega tutte le piattaforme adriatiche
dimesse e affondateâ€.
Un ‘Adriatic Reefâ€, una rete ecologica artificiale subacquea dell’Adriaticoâ€,
fruibile al turismo subacqueo, naturalistico e sportivo. Un parco unico nel suo
genere, che offrirebbe alla riviera romagnola, un’ altra attrattiva molto
affascinante insieme a movida e ombrellone.
una volta inabissate e stabilizzate, le immersioni possono cominciare fin da
subito e, dopo 10 anni dall’affondamento, si potrà ammirare un ambiente analogo
a quello del Paguroâ€.
Attualmente in mare Adriatico sono attive circa 80
piattaforme di estrazione metanifera off-shore:
ora, se all’atto della loro dismissione esse verranno trasportate a terra e poi
smantellate, tra 20 anni al posto delle piattaforme ci saranno 80 residui di
buchi nella sabbia; se invece si seguirà la presente proposta tra 20 anni ci
saranno 80 oasi marine di ripopolamento biologico talmente vicine da poter
creare una vera, e preziosissima, rete ecologica marina.
Per il momento il progetto è stato apprezzato da ENI Petroli, Regione Emilia
Romagna, Arpa e Ministero, ma ora ci vorranno almeno 5-7 anni prima che la prima
piattaforma esaurisca la produzione, poi si vedrà .
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