Autore: Isabella Moreschi
Autore foto: Andrea Petrachi
LA MIA AVVENTURA NELLA CASA IN FONDO AL MARE
di Isabella Moreschi ( in esclusiva per Scubaportal )
A due mesi dall’emozionante esperienza vissuta come Acquanauta di “Progetto Abissi 2007 – La Casa in fondo al mare 2”, penso e ripenso ai 14 giorni trascorsi a Ponza, sul fondale di Cala Feola insieme ai miei 5 compagni di avventura, Stefania, Claudio, Luca, Alessandro e Debora ed inizio a trarre alcune conclusioni.
Di certo serve ancora tempo per metabolizzare un evento complesso e dai mille risvolti come questo, ed è difficile condensare sensazioni, emozioni, avvenimenti in poche pagine, ma ci proverò.
Pensare di poter partecipare alla spedizione dell’Explorer Team Pellicano è stato veramente naturale, considerando il fatto che non uscirei mai dall’acqua e che il mio motto è “La settimana lavorativa è solo un intervallo di superficie tra un’immersione e l’altra” : non potevo dunque perdermi l’occasione di stare “a mollo” per un paio di settimane senza mai riemergere! Mi sono informata, ho mandato il mio curriculum, sostenuto un paio di colloqui e mi sono armata di …tanta pazienza.
Infatti il progetto, che doveva essere realizzato in origine nel 2006, è poi slittato a giugno di quest’anno e poi a settembre per le mille difficoltà progettuali ed organizzative che un evento mastodontico come questo ha comportato.
L’impegno economico, logistico ed umano è stato immane, contando anche la “location” e le difficoltà relative al trasporto delle attrezzature e alla gestione delle stesse ( Cala Feola è raggiungibile tramite non so quanti gradini intagliati nella roccia ).
L’idea su cui si basa “La Casa in fondo al mare 2” è quella di portare persone “normali” ad abitare “normalmente” in fondo al mare, dopo aver dimostrato nel 2005 che era possibile passare 10 giorni in acqua senza subire conseguenze fisiche e psicologiche rilevanti.
Nei mesi precedenti alla lunga immersione, ci siamo sottoposti ad innumerevoli ed accurate visite mediche presso le maggiori strutture ospedaliere e universitarie di Roma per verificare le nostre condizioni fisiche pre-evento e fissare alcuni parametri da prendere in considerazione per analizzare eventuali cambiamenti.
Le stesse visite mediche sono state effettuate anche la mattina stessa dell’immersione, costantemente durante la permanenza sott’acqua, all’uscita il 22 settembre e nei giorni successivi , dopodichè avremo alcuni controlli periodici nei prossimi mesi.
Ci tengo a sottolineare l’aspetto medico-scientifico del progetto, aspetto che, in un mondo invaso dai “reality-show” qualcuno ha cercato di mettere in secondo piano sminuendo il lavoro e l’impegno di tante persone provenienti da tutta Italia, tutti volontari ( inclusi noi Acquanauti ) che si sono prestati anima e corpo a questa iniziativa.
Non sempre il grande interesse mediatico che si è scatenato attorno al Progetto Abissi è stato visto di buon occhio, anzi, molte male lingue hanno tentato di farlo passare come “Il Grande Fratello Subacqueo”, mentre invece ha avuto il merito di puntare un riflettore d’eccezione sulla subacquea, che occupa sempre un settore marginale tra gli altri sport. Fortunatamente eravamo lì per ben altri motivi, tra i quali la grande passione che ci accomuna e lega al Mare e alle immersioni ed abbiamo smentito con i fatti questi sospetti maliziosi.
Nessun perizoma quindi o situazione ambigua per i 6 integerrimi Acquanauti.
Quando penso a Cala Feola, mi torna in mente la prima immagine che ho avuto di questa baia, che non scorderò mai : un paio di giorni prima dell’ingresso in acqua, dall’alto della strada che scende serpeggiando verso il porticciolo pieno di barche colorate, guardavo il lungo molo costruito sul frangiflutti, già pieno di attrezzature, compressori, gazebo , gente indaffarata….e poi, un tuffo al cuore: nell’acqua turchese, 4 sagome gialle… le 4 “campane”.
Vi chiederete : ma cosa sono mai queste 4 campane ?
Nient’altro che dei grossi cilindri di ferro affondati sott’acqua e poi riempiti di aria , con 1 oblò su ognuno dei lati lunghi ed uno su un lato corto, ancorati con delle catene ad un sistema di cassoni zavorrati ( i famosi “corpi morti” che hanno inorridito i non addetti ai lavori che pensavano a soluzioni truculente ).
Per entrare ed uscire dalle campane, facevamo come le foche : c’era un foro circolare sul pavimento, con accesso diretto all’esterno, senza compartimento stagno; è proprio il caso di dire che “avevamo l’acqua in casa” !
Questo ha comportato il maggior problema che abbiamo affrontato: l’umidità costante con valori prossimi al 100% , quindi praticamente sempre bagnati!
3 delle campane erano adibite ad alloggi, molto spartani ed essenziali, costituiti da 2 cassapanche ( i nostri letti ) e un micro-bagno dotato di un wc chimico come quelli che si trovano nei camper ed un lavabo ( delle dimensioni di una pentola) dotato di spruzzino utilizzato anche per fare la doccia ; niente porte tra gli ambienti, solo una tenda da doccia! Poca privacy quindi, ma molto spirito di adattamento!
La quarta campana, la cosiddetta Campana Madre, era un po’ più grande delle altre e ospitava un angolo cucina attrezzato di tutto punto ( 2 piastre elettriche, un forno a microonde, un piccolo lavello, un desalinizzatore ) 2 cassapanche ed un tavolo apribile.
Qui ci riunivamo per i pasti ( cucinavamo noi stessi cibi che ci arrivavano dalla superficie ) e per sottoporci alle quotidiane visite mediche.
Tutte le campane erano dotate di telecamere e microfoni, collegati con una sala regia in superficie, dunque sotto costante controllo 24 ore su 24. Va da sé che, dopo un’iniziale imbarazzo, ci siamo presto scordati della loro presenza. Oltre alla tecnologia, siamo stati supportati da una moltitudine di assistenti, che si alternavano sia in acqua sia in superficie, ogni 2 ore, prodigandosi in mille modi per rendere più sicura e piacevole la nostra permanenza sott’acqua.
Tante persone che non hanno avuto la ribalta della cronaca, ma senza le quali indubbiamente non sarebbe stato possibile realizzare il nostro sogno : medici, assistenti, subacquei, tutto un mondo su un pontile!
Tra una campana e l’altra, il fondale era costituito da uno spiazzo sabbioso circondato da posidonia.
All’ “aperto” si trovavano la cyclette, il tapis-roulant, un tavolino con 4 sedie, il divano e….il biliardo!
La giornata tipo era la seguente:
sveglia alle 8 e turno x il bagno: mentre un acquanauta si lavava, l’altro riponeva in apposite sacche impermeabili contenute nelle cassapanche, i sacchi a pelo e gli indumenti che se no avremmo ritrovato fradici la sera. Dopodichè indossavamo il sottomuta, costituito da tute in pile o altri materiali tecnici come il polartech, e poi la muta stagna . Gli assistenti ci passavano le giberne ossia imbracature zavorrate, che per motivi di spazio erano collocate all’esterno delle campane. Alle giberne, tramite un moschettone, veniva fissato uno speciale raccordo d’acciaio progettato appositamente ( chiamato “flauto” ) che raggruppava le varie fruste necessarie : quella principale dell’aria, detta “manichetta” lunga un centinaio di metri, che arrivava direttamente dai compressori posti sul pontile, quella di bassa pressione per poter immettere l’aria nella muta stagna, la maschera “granfacciale” ed un erogatore di riserva.
Niente gav e bombola, quindi, solo un tubicino di gomma ci legava alla superficie.
Completavano l’abbigliamento cappuccio, pinne, cavigliere e, così bardati, eravamo pronti per trasferirci nella Campana Madre dove ci attendevano i prelievi medici, le visite e la colazione.
Ogni passaggio tra una campana e l’altra comportava un accurato calcolo dei tempi, soprattutto quando era necessario muoverci tutti insieme dalla campana madre dato che per la vestizione impiegavamo circa 5 minuti a testa = mezz’ora in 6, ed altrettanti per la svestizione.
In tarda mattinata ci attendevano vari compiti : il controllo degli ancoraggi delle campane ai corpi morti, la pulizia degli alloggi sia all’interno che all’esterno, la preparazione dei pasti e un po’ di sano cazzeggio in acqua.
L’attività preferita è stata giocare con il Forza 4 le cui pedine Debora aveva provveduto ad appesantire con una serie di piombi, con il fresbee di Luca o con il calamaro di Stefania, coadiuvati dagli assistenti.
Dopo pranzo ci attendeva qualche giochetto propinatoci dagli organizzatori per tenerci svagati e reattivi e devo dire che , nonostante al momento odiassimo questi cosiddetti “giochi aperitivo”, col senno di poi, sono stati utili.
In effetti la maggior parte del tempo veniva assorbito dalle più semplici azioni che quotidianamente compiamo automaticamente senza quasi accorgercene, invece sott’acqua comportavano molta più fatica ed organizzazione ed un dispendio di tempo ed energie che non avevamo preventivato all’inizio, anzi!
Ci eravamo premuniti di moltissimi passatempi pensando che la noia fosse il problema maggiore, invece fortunatamente abbiamo dovuto ricrederci.
Libri e fumetti plastificati, la battaglia navale, il sudoku e la Settimana Enigmistica, che credevamo di consumare, sono stati invece utilizzati solo sporadicamente.
Contrariamente alle nostre previsioni, il tempo libero è stato ben poco, e comunque in 6 ci si annoia ben poco.
Dopo il gioco pomeridiano, passavamo qualche ora in acqua, per poi ritirarci nei nostri alloggi, farci una doccia, cambiarci e ritrovarci poi a cena.
Il momento della giornata che preferivo in assoluto era il momento di andare a nanna.
Salutavo gli altri ragazzi, mi infilavo la muta, la giberna con la zavorra, granfacciale e pinne e via! Ne approfittavo per una notturna al chiarore dei faretti che illuminavano il campo.
Giochi di luce eccezionali, così come la quantità di pesce che curiosava attorno alle campane durante le ore notturne facevano di questo un momento molto particolare, in cui mi sono sentita in vera simbiosi con il mondo marino ed i suoi abitanti.
La fauna presente a Cala Feola, dopo un primo momento di diffidenza, constatato che non eravamo affatto pericolosi, ci si avvicinava senza timore : branchi di salpe, occhiate, saraghi passavano tranquilli accanto a noi.
Le seppie poi erano a dir poco spudorate, in particolare un piccolo esemplare che si lasciava avvicinare e giocava tra le nostre dita senza alcun segno di paura.
Oltre al particolare rapporto con la natura che ci circondava, molto bello e speciale è stato quello che si è instaurato tra noi Acquanauti : non c’è mai stato uno screzio, ci siamo sempre supportati a vicenda in ogni momento, cercando di risolvere insieme i problemi che man mano ci trovavamo ad affrontare. Il clima era quello da “gita scolastica” ; risate, scherzi, leit motiv e tormentoni hanno accompagnato le nostre 2 settimane di permanenza, che sono veramente volate.
14 giorni sott’acqua non sono stati però una passeggiata : ci sono state alcune difficoltà sia fisiche che logistiche ed ambientali ma, stringendo i denti, ce l’abbiamo fatta.
Un fattore che avevamo calcolato ma che ci ha comunque messi a dura prova è stata l’umidità dell’ambiente : noi ragazze abbiamo avuto i capelli bagnati x 2 settimane, senza la possibilità di asciugarli. Il tavolo, gli oblò, le panche, le pareti delle campane, gli indumenti, si inzuppavano rapidamente ed era necessario prestare la massima attenzione per mantenerci un minimo asciutti.
I vestiti di ricambio, gli asciugamani, venivano mandati in lavanderia o ad asciugare sul pontile tramite borse e valigie stagne…o che perlomeno lo dovevano essere.
A volte si allagavano, con tutto il loro contenuto.
Io per esempio mi sono trovata ad affrontare le 2 settimane con una sola muta stagna a mia disposizione, quindi non avevo la possibilità di effettuare ogni tanto un cambio in modo da farla asciugare in superficie dato che inevitabilmente si inumidiva ; per alcune congiunture astrali sfavorevoli, allagamenti di valigie stagne, disguidi logistici, ci sono stati alcuni giorni in cui non ho avuto né asciugamano né felpa di ricambio. In una situazione normale è una bazzecola, ma in condizioni di vita estreme come quelle in cui ci trovavamo, la priorità assoluta è il comfort fisico; tutto il resto passa inevitabilmente in secondo piano. Non è sempre stato facile gestire alcune difficoltà per una con un caratterino come il mio, ma attorno a me ho trovato persone fantastiche che mi hanno dato pieno appoggio e mi hanno sostenuta nei momenti di difficoltà.
Ci sono stati vari aspetti di questa lunga permanenza sott’acqua che mi hanno stupito molto : ad esempio la risposta del nostro corpo alle condizioni di umidità elevata come quella presente nelle campane.
Io, avendo i capelli ricci, ero preoccupata di non riuscire e districare i nodi che si sarebbero formati dopo 2 settimane di salsedine. Invece la pelle ed i capelli hanno reagito iper-idratandosi, così non c’è stato bisogno mai di creme né di interventi drastici con spazzola e pettine.
Incredibilmente e contrariamente alle nostre aspettative, gli alloggi subacquei erano molto rumorosi : l’eccesso di aria immessa nelle campane, fuoriusciva da alcuni appositi fori con un rumore simile al fragoroso frangersi delle onde sugli scogli. Rumore che ci ha accompagnati per tutta la durata della nostra permanenza e al quale ci siamo abituati dopo pochi giorni.
Un altro aspetto interessante che secondo me poteva essere indagato più a fondo è quello relativo alla risposta psicologica e comportamentale alle condizioni estreme; ho notato una regressione ad uno stato “primitivo” in cui le priorità fondamentali erano 3 : salute – comfort fisico ( leggi : riuscire a mantenersi più o meno asciutti )- cibo.
Tutte cose che nella vita in superficie sono date per scontate ma che sott’acqua dettavano legge e attorno alle quali ruotava la nostra vita, i nostri pensieri e preoccupazioni.
Non ho mai pensato alla mia vita terrestre, anche se il contatto con la superficie era costante : avevamo a disposizione un pc con connessione ad Internet ( indispensabile nelle lunghe ore di deco, passate a leggere i messaggi sul forum di Poverosub ) e tutti i giorni uno dei nostri premurosi assistenti ci portava un quotidiano. Inoltre eravamo dotati di un telefono satellitare per parlare con amici, parenti, “fans”.
Nonostante ciò, la sfera “reale” appariva lontanissima, il “qui ed ora” aveva preso il sopravvento su tutto il resto.
Credo che tutto ciò sia riferibile all’innato istinto di sopravvivenza, istinto che ci faceva crollare su strette e dure panche di legno ma che alla minima variazione di rumore dell’aria che usciva dalla campana, ci faceva svegliare istantaneamente.
Curiosamente non ho mai sognato.
Ci sono stati diversi momenti difficili: le prime 2 notti, passate in 6 e poi in 4 nella campana madre causa ritardo negli allestimenti degli alloggi causati dal mare mosso dei giorni precedenti ( 40 ore con indosso una muta, in un ambiente umido, senza potersi cambiare nè sdraiare comodamente, non sono state un bel “benvenuto” ) ; un giorno di forte mareggiata che ci ha costretti ancora una volta tutti insieme nella campana principale, con sbalzi di pressione che ci hanno fatto compensare per diverse ore in continuazione ; l’ultimo giorno con 8 ore di ambientamento + 10 ore di decompressione ( 9 nella solita campana madre ed 1ora sul triangolo a 3 metri ) senza poter dormire, respirando dentro mascherine di gomma e facendo svariati test medici…è stata un’avventura, divertente ma tosta.
Non ho mai pensato di abbandonare, non ho mai avuto paura, non ho sofferto né di claustrofobia né il pensiero di non poter risalire immediatamente mi ha limitato in qualche modo.
Non ho nemmeno mai avuto voglia di uscire : certo, col senno di poi molte cose potevano essere migliorate con piccoli accorgimenti, ma sono ancora più contenta di avercela fatta così…”Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”.
Sono riuscita a vivere il Mare, unico elemento in cui mi trovo veramente a mio agio, in ogni suo momento della giornata, in ogni sfumatura di luce, mi sono sentita pesce tra i pesci, mi sono sentita di meritare l’appellativo “Sea Dweller” datomi da un caro amico tempo fa.
Le situazioni divertenti non sono di certo mancate : i tormentoni creati dal team, i fuori onda mitici del giornalista sportivo Andrea Fusco, le trovate del Nucleo Carabinieri Subacquei, il campionato di Spiderman tra assistenti, la visita a sorpresa del mitico Duca, le interviste arrabattate ed imbarazzate di 6 antidivi per eccellenza…
Ci sono stati ovviamente anche momenti molto intensi ed emozionanti: appena prima di entrare in acqua, l’8 settembre, mi sono girata ed ho visto tutto lo staff dell’Explorer Team Pellicano schierato sul pontile…inutile dire che c’è scappata la lacrima!
Oppure quando, l’ultimo giorno, mentre stavo mestamente “facendo le valigie”, vedo scendere un apneista tutto nero e dalle lunghe pinne, che curiosa tra le campane fino ad attaccarsi al mio oblò .
Il primo pensiero ( scocciato ) è stato “E questo chi è?” per poi accorgermi, rimanendo senza parole, inebetita col volto rigato di lacrime, che era mio padre, venuto in segreto da Brescia fino a Ponza.
Per non parlare poi del momento dell’uscita, il 22 settembre. Le nostre teste hanno fatto capolino nello specchio d’acqua antistante il pontile e ci sono stati alcuni lunghissimi istanti di silenzio irreale, poi siamo stati investiti dall’urlo delle sirene delle barche, dagli applausi e dalle grida di tutti quelli che ci aspettavano. Rimettere i piedi per terra, incerti e traballanti sotto la carezza calda del sole, è stato semplicemente indescrivibile.
Sul molo prima, e a casa poi, abbiamo ricevuto innumerevoli sorprese di amici, parenti e persino il mio cane Nudy: in tanti si sono prodigati per accoglierci nel miglior modo possibile ed è proprio vero che i veri Amici si riconoscono in questi momenti.
Questa esperienza rimarrà impressa in modo indelebile nella mia mente e nel mio cuore.
Tornassi indietro, non avrei esitazioni. Guardando avanti però non la ripeterei per non sminuire con un “deja vu” le forti emozioni provate. Però chissà, lascio aperta la porta!
L’intensa avventura vissuta ha contribuito a creare un fortissimo legame con 5 nuovi amici : Stefania, Claudio, Luca, Alessandro, Debora…un legame che rimarrà per sempre.
Ho avuto l’occasione di prendere parte a qualcosa di unico, ad un evento subacqueo eccezionale che in pochi hanno la fortuna di vivere: l’ho fortemente voluto ed ho lavorato sodo per realizzarlo.
“Volere è potere”… il mio cassetto è vuoto, datemi un altro sogno da rincorrere!
Per informazioni puoi chiedere all’autore, anche sul nostro forum di subacquea.
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