Autore: Gigi Casati
La spedizione in Croazia del 2006 segue le orme di quelle degli anni precedenti, facilitata dai contatti già esistenti e dalle amicizie già allacciate. Anche la conoscenza di massima del territorio e l’assaggio esplorativo d’alcune sorgenti, permette di avere un’idea chiara di dove sarà preferibile indirizzarsi con le bombole.
L’incognita maggiore ed impossibile da evitare é, come per tutte le imprese che hanno a che fare con la natura, il tempo meteorologico che, nel nostro caso, significa piogge più o meno abbondanti, cioè corrente più o meno intensa, visibilità più o meno ridotta e così via.
A parte gli speleologi croati, che oltre ai loro propri lavori esplorativi (facciamo parte della spedizione da loro organizzata e nominata ”Zermania”), ci daranno una mano con indicazioni preziose e con il trasporto dei nostri materiali che normalmente non é molto agevole, in questa spedizione siamo Jean.Jacques ed io, ed altri amici come Alberto, Davide, Lorenzo e Valeria che ci affiancheranno dandoci una mano per alcuni periodi della spedizione.
Prima di raggiungere la Croazia, le tappe prioritarie sono a Brescia alla Giòsub dove ritiro dei nuovi potenti impianti d’illuminazione subacquea, ed a Trieste, per apportare alcune modifiche ai miei rebreathers Voyagers, direttamente alla casa madre l’Aquatek. Durante l’inverno e la primavera mi sono concentrato sulla messa a punto di un “ingombrante” circuito chiuso completamente ridondante, da indossare sulla schiena, adatto alle immersioni in ambienti di grandi dimensioni e di un altro circuito laterale decisamente più pratico, che viene trasportato come se fosse una bombola relè e permette la massima mobilità in ambienti stretti od in ambienti ove occorra trasportare a lungo, in zone aeree, le attrezzature, anche se, a causa della sua posizione, ne viene penalizzato il comfort respiratorio.
Conoscendo a priori la morfologia delle cavità che esploreremo, è necessario avere a disposizione le due alternative.
In Croazia, la prima località che ci interessa, è Racovica, cittadina situata vicino al confine bosniaco non molto lontano da Plitvice, dove si trova l’omonimo spettacoloso parco naturale, meta indiscussa di numerosi turisti.
Il nostro uomo di riferimento è Alan Milosevic, appositamente per noi, rimasto al campo-base perfettamente organizzato per le esplorazioni speleo delle grotte dei dintorni.
La prima sorgente da noi presa in considerazione è Sinjac, che si trova nel paese di Jezero (lago); per raggiungerla dobbiamo superare un altopiano semideserto alto circa 800m; ai nostri occhi presenta una prima grande differenza rispetto a due anni fa: osserviamo infatti che diverse case sono state ristrutturate ed i bosniaci che le abitavano prima del duro conflitto Yugoslavo, pian piano stanno ritornando ad abitarle.
Verso la fine dell’altopiano, sulla sinistra della strada da noi percorsa, c’è un enorme prato verde che sostituisce il lago che si forma a causa delle piogge nei periodi invernali e primaverili. Scendiamo fino a circa 400 m. di quota e, non appena entrati nel paesino, prendiamo la strada sterrata che ci porterà nei pressi del lago formato dalla sorgente; percorriamo gli ultimi duecento metri in un prato la cui erba supera di gran lunga l’altezza del cofano del mio fuoristrada e, dopo aver parcheggiato ad una decina di metri dall’ingresso della sorgente, non ci resta altro che andare a vedere le condizioni dell’acqua. La piacevole sorpresa è di trovarla incredibilmente limpida: Lorenzo potrà sbizzarrirsi a scattare foto aiutato da una situazione così favorevole.
Questo è il quarto tentativo da due anni a questa parte e per la prima volta, mettendo la testa sott’acqua, vedo per intero tutto il pozzo d’ingresso, bello, con significative erosioni ed un tronco d’albero che durante le precedenti immersioni, quando c’era poca visibilità sembrava minaccioso ed ora è solo maestoso: i rami più alti partono da –3m e la parte finale del tronco scende fino ad oltre –20m; più giù a –41m fa bella mostra di sé, per la gioia di Lorenzo, un carretto, caduto nella sorgente nel 1936, le cui ruote appena sospinte, girano ancora.
Nei giorni successivi, per quanto dureranno le esplorazioni, cioè per altri cinque giorni, il tempo fa un po’ il matto alternando momenti di pausa solare ad altrettanti rovesci temporaleschi tali da allagare le strade trascinando ghiaia e fango e non mancando di inzupparci abbondantemente durante le nostre trasferte dalle auto all’ingresso della sorgente, rallentati dal materiale trasportato.
La visibilità tuttavia ne risente solo parzialmente per i primi metri per cui, oltre ad essere facilitati nella penetrazione esplorativa, anche il repertorio fotografico si arricchisce di documentazioni sulla morfologia e sulla biologia. Quando giunge la fine delle immersioni dedicate alle fotografie, Lorenzo ed Alberto rientrano a casa; manca ancora un’immersione per terminare la messa in sicurezza del percorso nella sorgente.
Mentre io rimango al campo per preparare le attrezzature, gli altri, Jean Jacques, Alen, Davide e Valeria che nel frattempo ci hanno raggiunto, si danno da fare, ognuno per la loro competenza; Jean Jacques soprattutto, è il principale artefice della sistemazione del materiale per la progressione e della linea decompressiva di sicurezza. Per Davide e Valeria è la prima volta in questa sorgente, quindi sono liberi di prendere un primo contatto con la sorgente facendo un’immersione nel pozzo iniziale.
Quando tutto è pronto, la notte mi porta gli ultimi preziosi consigli. Durante la prima immersione esplorativa, scendo verticalmente nel pozzo, seguo il pendio inclinato di 45° lungo il quale si sono accumulati oltre ai sassi ed alla ghiaia, anche reperti costituiti da bottiglie, pentole, scarpe con ampia scelta. A –85 m., dove Jean Jacques ha deposto l’ultima bombola di sicurezza, la roccia è, ora chiara ora scura e la sezione di circa 7m./ 8m. Supero orizzontalmente un tratto lungo una ventina di metri e alto 1.5m, riconosco il punto, sono vicino al limite della mia precedente esplorazione dello scorso anno.
Il filo finisce legato su di uno spuntone: sono a –119m ed a 203m di distanza dall’ingresso. Velocemente prendo dallo svolgi-sagola il capo del filo, lo annodo con quello già esistente e posso iniziare ad esplorare il nuovo. La galleria si allarga tanto da impedirmi di vederne la parete opposta, l’acqua lattiginosa, la parete ed il fondo resi tetri dalla quantità d’argilla che le ricopre impediscono parzialmente la penetrazione del fascio luminoso delle mie torce HID da 10W. Dopo un tratto orizzontale di 50 m., mi ritrovo alla profondità di –130 m.; decido di rientrare.
Davide che è il principale sostenitore delle mie tappe di decompressione, mi fa visita quando sono a –21m portandomi generi di conforto come il thé caldo e le batterie di ricambio per il mio giubbetto elettrico riscaldante. L’immersione è durata 17’ e il tempo totale di decompressione necessario per riemergere è stato di 120’.
Per continuare l’esplorazione, decido di utilizzare un maialino (propulsore subacqueo) e Jean Jacques, mentre riorganizzo le mie attrezzature, si preoccupa di andarlo a posizionare a –115m di profondità, punto in cui l’andamento della galleria è quasi orizzontale. Nei tratti molto verticali il maialino mi penalizzerebbe la rapidità di discesa.
Il 1°agosto riprendo l’esplorazione con il mio doppio circuito con il quale mi sento sempre più a mio agio; raggiungo il maialino a –115m dopo solo 5’ dalla mia partenza, mi posiziono anteriormente grazie ad una modifica apportata da Jean Jacques: è la prima volta che lo utilizzo con questa impostazione, ma mi trovo subito a mio agio sentendolo perfettamente bilanciato tra le gambe.
Dopo un comodo percorso lungo una settantina di metri, raggiungo i –134 m.: sono costretto ad abbandonare il propulsore agganciandolo al filo, perché la progressione diventa più delicata: la galleria riprende a scendere con una forte inclinazione e preferisco spingermi dolcemente con le pinne. Tengo controllata la pressione parziale dell’ossigeno, ad ogni ancoraggio inevitabilmente sollevo sospensione e la visibilità in questi punti si riduce a poche decine di centimetri. Ad un certo punto ascolto la vocina dentro che mi suggerisce che è ora di tornare: attacco il filo ad un’asperità. Con uno sguardo agli strumenti vedo sono trascorsi 18’ e che mi trovo a –155 m di profondità. Il rientro è veloce fino alla prima sosta di decompressione poi, lento fino a raggiungere la superficie dopo 209’. Quando finisco di caricare la macchina tiro le somme: i 117 m. di nuove gallerie ed i –155 m. di profondità, fanno di Sinjac la più profonda sorgente croata.
Quando sono solo per un ultimo sguardo al laghetto, un pensiero si insinua nel mio cuore: la malinconia nel ricordare il mio amico Massimiliano Valsecchi che avrebbe dovuto essere con me e che ha perso la giovane vita questa primavera mentre si dedicava sulle alpi Apuane a questa stessa attività che lo appassionava in modo esclusivo.
La speleologia subacquea, che da qualche anno è diventata per me anche un lavoro, è da venti anni, la mia “droga” e la sua mancanza mi rende la vita priva di stimoli importanti. I giorni passano, le ferite si rimarginano, ma le cicatrici rimangono impresse nel cuore e nella mente e non è facile per me procedere trascinandomi questo triste ricordo.
La prossima meta è la sorgente Kusa la cui esplorazione per noi è iniziata la scorsa estate.
Si trova nella parte meridionale della Croazia, vicino al paese di Obulin poco distante dal parco del Velebit. Anche qui c’è un campo speleologico organizzato da Tiki il responsabile della spedizione Zermania rispondente ad ogni possibile necessità: due cascine risistemate il mese prima, contatore per l’energia elettrica, cucina, gabinetti chimici, postazione con computer per vedere ed elaborare le immagini; nell’unico hotel di Obulin è stato installato il punto di riferimento per la stampa.
La parte già esplorata della sorgente è un primo sifone lungo 200 m. e profondo 50 m.; al di là di questo, c’è una parte aerea lunga poco meno di 200m, abbastanza scomoda per il trasporto del materiale, ci sono tre “facili” arrampicate alte 5-6m, due laghetti da superare a nuoto, fango sulle pietre che rende scivolosa la marcia fino ad arrivare al secondo sifone già visitato da me lo scorso anno per 350 m. di lunghezza.
Il primo assaggio di verifica delle condizioni lo facciamo in tre: JJ, Davide ed io. In linea di massima le precipitazioni di questa estate sono state scarse; il livello dell’acqua è basso ma le piogge violente di questa ultima settimana hanno fatto in modo che la visibilità diventasse pessima. Una schiera di robusti portatori volonterosi ci danno una mano per il trasporto fino all’ingresso poi, noi, ci occupiamo del trasporto di una parte del materiale nel sifone, per attrezzarlo con le soste di sicurezza, mentre un’altra parte sarà disposta al di là, nella parte aerea, in previsione dell’esplorazione del secondo sifone. Superato il primo sifone sorge qualche incertezza sulla riuscita dell’esplorazione dovuta alla visibilità pessima che limiterà notevolmente la progressione. Decidiamo di aspettare un paio di giorni per vedere se le condizioni migliorano.
Il giorno 6 agosto, superato il primo sifone, accompagnati anche da Alan, ci suddividiamo i materiali da portare al secondo sifone, necessari per la mia immersione: circuito chiuso laterale, torce, pinne, svolgi-sagola: la solita attrezzatura, più due bombole di miscela iper-ossigenata per ulteriore sicurezza.
In quattro si procede veloci ed in breve trasportiamo tutto al secondo sifone, dove mi abbiglio di nuovo in maniera adeguata per fare una prima ricognizione. L’ingresso del sifone è lungo due metri per uno di larghezza e altezza e, caricato come sono, tribolo un pochino per infilarmici. Sott’acqua, riposiziono il filo, sistemo le bombole, scendo fino a –40 m.; e torno indietro con una visibilità pessima rispetto a quella dell’anno scorso ma sufficiente per tentare.
Il giorno successivo rientriamo ancora in quattro e portiamo il maialino al secondo sifone. Entro in acqua e scendo fino a –55m, proseguo aggiustando il filo in vari punti rotto a causa delle piene primaverili, fino a raggiungere la profondità di –25 m., punto in cui avevo osservato sul soffitto una galleria, poso il maialino, attacco il filo ed il momento magico, la conquista dell’ignoto, inizia.
Salgo prima in verticale, poi inclinato, poi in orizzontale; mi trovo ad un bivio, entro in un pertugio largo 1m. per 2m. mi ritrovo in una saletta aerea con stalattiti e pisoliti ma senza evidenti prosecuzioni. Torno giù ed a -7m ecco un’altra galleria che percorro per 25m molto fangosa. Eccomi di nuovo all’asciutto in aria, ma camminare con i calzari sul fango non è molto salutare, per cui prendo appunti per una prossima volta. Indietro di nuovo, giù con visibilità zero alla base del pozzo poi, seguendo un ennesimo percorso a saliscendi, eccomi ancora in aria. Semplice uscire dall’acqua ma per proseguire, occorre l’attrezzatura speleologica: mi trovo alla base di un pozzo ed è necessario arrampicare.
Durante il rientro, si impiglia un elastico nell’elica del maialino; a parte questo inconveniente che mi fa perdere dieci minuti, riemergo senza altri intoppi dopo 100’. Dopodichè, tutti fuori con 150 m. di nuova esplorazione aggiunti.
Per questo anno le esplorazioni in Croazia sono concluse ma, nella nostra lista, abbiamo aggiunto un’ altra sorgente il cui nome è Krnjeza per raggiungere la quale è una vera avventura: 5 Km in canoa su acque calme, almeno in questo periodo, lasciate le quali ci attende mezzo chilometro a piedi, per arrivare alla sorgente percorrendo il fondo di un canyon selvaggio con pareti scoscese alte più di 400m. e pietraie più adatte ai serpenti che agli umani.
Il periodo dedicato alla Croazia è finito. Riordinato il vestiario, le attrezzature, la tenda, mentre ci si prepara all’arrivederci, la natura incontaminata di questi luoghi regala un’ultima straordinaria visione: un’aquila scende con volo planato ad una trentina di metri sopra il campo, volteggia finché ad un tratto con un paio di colpi d’ala,si allontana continuando il regale volo a perdita d’occhio.
Partecipanti:
Alberto Marconi
Alan Kovacevic
Alen Milosevic
Davide Corengia
Jean Jacques Bolanz
Lorenzo Del Veneziano
Luigi Casati
Tihi Kovacevic
Valeria Nava
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