Autore: Francesco Turano
Da piccolo, non lo dimenticherò mai, passeggiavo sul bagnasciuga con in mano un secchiello pieno d’acqua di mare e seguivo mio padre che nuotava con maschera e tubo (il tubo è quello che oggi chiamiamo aeratore di superficie o snorkel) vicino alla riva; ogni tanto, con qualche breve apnea, un paguro, un piccolo polpo o un cavalluccio marino, appena catturato da mio padre, veniva delicatamente trasferito con le mani nel mio secchiello, per soddisfare la mia grande curiosità. Tra le tante sorprese, l’ippocampo era il mio preferito. Il secchiello lo avrebbe ospitato per alcuni minuti, quanto sarebbe bastato per osservare la strana creatura. Non posso negare che qualche volta ci scappò il cadavere, vuoi per eccesso di manipolazione da parte di un bimbo appassionato come me, vuoi per la mancanza di una vera coscienza ecologica. All’inizio degli anni settanta il mare dello Stretto di Messina era densamente popolato da una sorprendente fauna marina e i cavallucci erano diffusissimi. Quando imparai a nuotare, seguii mio papà osservandolo nelle sue apnee; lo imitai e ben presto riuscii a fare qualche tuffo in un paio di metri d’acqua, sufficienti per cominciare ad affinare lo sguardo e reperire i miei primi cavallucci, perfettamente mimetizzati. L’attività subacquea in apnea e, successivamente, l’uso dell’autorespiratore, mi consentirono di osservare sempre meglio questo curioso pesce; tanto che oggi il mio archivio di fotografo subacqueo, dopo vent’anni, conserva oltre mille scatti di questa specie. Purtroppo fotografare un cavalluccio è diventata ormai una impresa degna di nota.
Ma voi, cari lettori, avete mai visto un cavalluccio di mare? Non c’è da meravigliarsi se la vostra risposta sarà no. In molti mari del mondo ippocampi e pesci ago sono ormai una rarità, per varie ragioni. E anche dove sono ancora presenti in discreta misura, vederli non è cosa facile: sono infatti piuttosto piccoli, decisamente mimetici, e frequentano ambienti dove spesso il subacqueo non si immerge. Nonostante la difficoltà nel reperirli e osservarli, gli ippocampi sono molto popolari non solo tra i subacquei ma anche tra coloro che non si sono mai immersi; vuoi per la loro bellezza, vuoi per la forma stranissima (sono pesci, anche se molti non ci credono…) o per lo stile di vita, sono tra gli animali del mare più noti, fin dall’antichità. Il nome deriva dal greco Hippos (cavallo) e kampos (mostro di mare); per i poeti greci il cavalluccio di mare era una creatura mitica. Gli dei se ne servivano per attraversare i mari e le scene mitologiche lo rappresentano come un cavallo, con la parte inferiore di pesce o delfino. Secondo i greci, il carro di Poseidone era trainato proprio da un esemplare di ippocampo.
Diventato a pieno titolo il protagonista di una infinita serie di loghi tra coloro che, in un modo o nell’altro, si occupano di mare, il cavalluccio marino è sempre stato oggetto dei nostri sogni infantili in quanto creatura di straordinaria bellezza e unico, tra gli abitanti del mondo sommerso, per la sua forma curiosa e al tempo stesso bizzarra, misteriosa e fragile. Il cavalluccio in realtà è un pesce facente parte della stessa famiglia dei pesci ago, la famiglia dei Singnatidi (classe Pesci Ossei, e ordine Singnatiformi).
Sono pesci di taglia piccola, sottili, allungati, col corpo protetto da una serie di anelli e di placche ossee.
La caratteristica principale è quella di avere le mascelle fuse assieme in una bocca a tubo, allungata, con apertura terminale e senza denti.
Tutto ciò conferisce loro un aspetto caratteristico, con muso cavallino soprattutto negli ippocampi, pesci che stazionano in posizione eretta con il capo piegato in avanti posto a formare un angolo retto con l’asse del corpo. I cavallucci hanno corpo compresso sui fianchi, con ispessimenti ossei e talvolta con una serie di appendici lungo il dorso (tipo la criniera di un cavallo…). Presentano un muso allungato con bocca rivolta verso l’alto (da cui la specie detta “camusa”); l’apertura boccale è molto piccola e consente una dieta alimentare estremamente selezionata. Non avendo inoltre una vera e propria dentatura, i cavallucci in pratica “aspirano” il cibo, che consiste in piccoli crostacei e vari animaletti dello zooplancton.
Più volte mi è capitato di vedere in natura un ippocampo nutrirsi, durante il giorno, tranquillamente fermo nella sua posizione di ancoraggio al fondo. Lo scatto della bocca in avanti e la sua simultanea apertura abbinata al “risucchio” lo rendono quasi infallibile nella cattura della piccolissima preda. Nonostante sembrino timidi e tranquilli, i cavallucci sono infatti voracissimi: sono capaci di mangiare anche dieci ore al giorno, periodo durante il quale riescono a ingurgitare fino a 3000 larve di crostacei. Tanto che a due mesi possono superare i cinque centimetri di lunghezza.
I cavallucci sono dotati, come tutti i pesci, di pinne dorsali ed anali, e una coda prensile totalmente diversa da una pinna caudale classica. Se provate a tenere delicatamente tra le nude dita della vostra mano, ovviamente sott’acqua, un cavalluccio marino, potrete apprezzare quella strana sensazione che la coda prensile trasmette quando si attorciglia al dito, stringendolo come fa la mano di un bimbo appena nato quando gli si mette un dito al centro. Sensazione unica…
La colorazione degli ippocampi può variare dal nero-bruno con punti bianchi, al rosso, arancio, bruno e fino al giallo, con vari inserti a macchie o strisce di colori diversi; la lunghezza è compresa tra 15 e 30 cm. Da pessimi nuotatori si muovono usando come propulsore la pinna dorsale, che batte intorno a 50 – 70 volte al minuto, ma ha anche due piccola pinne pettorali vicino alla testa, utilizzate per le manovre di spostamento laterale; la coda prensile è invece adoperata per ancorarsi alle foglie nastriformi della posidonia o di qualsiasi alga o substrato adatto.
Sfruttando le loro capacità mimetiche, gli ippocampi vivono a contatto col fondo in coppie che possono rimanere unite anche per tutta la vita. Il cavalluccio maschio è chiaramente riconoscibile per la presenza del marsupio, mentre la femmina ha un addome arrotondato privo di marsupio.
Dal punto di vista riproduttivo sono poi particolarissimi. Attivi sessualmente già tra i 6 e gli 8 mesi di vita, possono deporre da 5 a 1200 uova. In primavera, quando l’acqua inizia a riscaldarsi, per i cavallucci inizia la stagione degli amori. Dopo alcuni giorni di corteggiamento, durante i quali il maschio e la femmina compiono movimenti lenti e flessuosi (assistere al rituale del corteggiamento è un’esperienza unica), gli ippocampi si accoppiano. La femmina, intrecciando la coda con quella del maschio e ponendo il ventre a stretto contatto con quello del suo compagno, emette le uova, che vengono opportunamente trasferite nel marsupio del maschio, che nel frattempo si era preparato a riceverle e che, simultaneamente, rilascia gli spermatozoi. Il momento cruciale, quando la femmina deposita le uova nella tasca del maschio, richiede una perfetta sincronizzazione e spesso accade che, magari per inesperienza della coppia, l’operazione non vada a buon fine. Le uova, del diametro di un paio di millimetri, aderiscono alle pareti interne del ventre del “papà”, ricevendo da esse le sostanze nutritive necessarie durante la gestazione. Il maschio porta avanti la “gravidanza”, unico esempio in natura, in un tempo che varia da alcuni giorni ad alcune settimane.
Al momento del parto il cavalluccio si ancora con la coda prensile a un supporto e inizia ad espellere i piccoli cavallucci con contrazioni molto simili a quelle di una partoriente umana. Alla nascita i piccoli misurano pochi millimetri e sono totalmente formati, una riproduzione in miniatura dell’adulto.
I cavallucci sono oggi animali in forte regressione in tutti gli oceani, a tal punto da essere inseriti nella Lista Rossa degli animali a rischio di estinzione della World Conservation Union. Sensibili alle alterazioni degli habitat naturali e utilizzati per la preparazione di afrodisiaci, di medicine contro l’incontinenza e la caduta dei capelli, di pozioni magiche, vengono ancora pescati per adornare gli acquari domestici e per produrre vari oggetti ornamentali. Tutti questi modi e la sciagurata abitudine di acquistare cavallucci come souvenir stanno minando gravemente tutte le specie presenti sul pianeta.
Nel Mediterraneo sono presenti solo due specie: Hippocampus ramulosus e Hippocampus hippocampus, volgarmente noti come cavalluccio marino e cavalluccio marino camuso.
In ecologia, gli ippocampi sono considerati validi indicatori di qualità ambientale, in quanto sono organismi stanziali che vivono in habitat in stato di equilibrio naturale. Il ritrovamento di popolazioni numerose di cavallucci marini in determinate aree è, quindi, indice di buona qualità ambientale. Essi vivono nelle baie e nelle insenature vicino alle coste, fino a circa 30 metri di profondità, e la loro casa è costituita dalle folte praterie di vegetazione marina, ma non solo (ho trovato spesso molti esemplari su fondali totalmente sabbiosi). Nel Mediterraneo calabrese, in particolare nel mare dello Stretto di Messina e dintorni, ho avuto la possibilità di osservare, studiare e fotografare molti ippocampi. Ma ho avuto anche la sventura di assistere alla loro repentina regressione.
Immergendomi oggi e scoprendo ogni tanto che ancora esiste qualche cavalluccio, mi domando se la specie possa essere considerata un relitto vivente o se in qualche modo questi pesci riescano ad adeguarsi alle novità e modificare il loro comportamento secondo la necessità.
Tempo fa ho cercato i cavallucci su uno dei siti più profondi che conosco, nella speranza che almeno lì ci fossero dei sopravvissuti. Esistono diverse colonie di questi animali sullo Ionio calabrese e la più numerosa che sia stata finora segnalata è quella di Soverato (CZ), dove un fondale sabbioso ospita diversi esemplari in pochissimi metri d’acqua. Altre colonie sono diffuse nei dintorni di Reggio Calabria, entro e non oltre i 20-25 m di profondità. Quella di Marina di San Lorenzo (RC) è la colonia che ho studiato di più, oltre ad essere una di quelle dislocate a maggior profondità. Con grande sorpresa ho trovato due discreti esemplari di Hippocampus ramulosus, a circa 28 metri, ben saldi alle poche foglie di Cymodocea nodosa presenti nel vasto deserto di sabbia. La ricerca è durata una trentina di minuti e i due cavallucci, poco distanti uno dall’altro, erano di sesso opposto. Che spettacolo!
Sono rimasto favorevolmente colpito dalla attuale presenza di questi pesci e un barlume si speranza ha invaso i miei pensieri. Tuttavia non si sa, oggi, quale sarà il futuro di questa specie. Certo è che un animale come il cavalluccio marino resterà sempre impresso nella memoria dell’uomo e fino a quando, sott’acqua, avrò la possibilità di incontrarlo, mi riterrò un uomo fortunato, molto fortunato.
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