Autore testo: Eva Bacchetta
Foto: Lorenzo Del Veneziano
IL CACCIAMINE DI HURGADA
Il desiderio continuamente vivo di ricercare relitti sommersi, ci ha portato questa volta in Egitto e precisamente ad Hurgada , nelle acque del mare tropicale più vicino all’Europa : il Mar Rosso.
La nostra crociera di sette giorni con il chaiko Sinem One, parte dall’esplorazione di un relitto, poco conosciuto e spesse volte evitato, proprio perché si trova all’uscita del porto.
Il Mar Rosso, però, non può deludere il subacqueo che visita i suoi fondali e anche questa volta le emozioni trsmesse dalla vita sottomarina e dai relitti sommersi sono state tante ed indimenticabili.
Agli occhi disattenti di un subacqueo amante dei coloratissimi reef del Mar Rosso , il relitto dell’ Minija può sembrare un insignificante amasso di ferraglia, ma allo sguardo attento di un amante di scafi sommersi esso trasmette emozioni e storia dei popoli, episodi di guerra e di odio fra territori confinanti tra loro….
Come possiamo rimanere indifferenti di fronte alla distruzione, come possiamo non leggere sulle sue contorte lamiere qualcosa che va al di là del banale, se pur drammatico , affondamento di una nave, come possiamo non raccontare un avvenimento del passato che la carcassa, adagiata in fondo al mare, del Minija rende intensamente presente?
Il dramma dell’affondamento del Minija va ad inserirsi nel delicatissimo conflittto arabo-israeliano, di cui noi non possiamo certamente esprimere alcuna considerazione politica, ma in quanto osservatori del mondo sottomarino ci limitiamo ad ossservare e trasmettere suggestioni a chi come noi ama i relitti affondati.
Durante la guerra dei sei giorni nel 1967, a cui erano anteceduti in aprile –maggio due eventi importanti; l’alleanza militare fra Egittto, Siria e Giordania e una forte pressione politica internazionale su Israele, il Sinai , i territori palestinesi a ovest della Giordania e le alture di Golan ( territorio siriano), vennero occupati dalle truppe israeliane.
Gli scontri fra le forze armate erano forti e gli incidenti all’ordine del giorno.
Il 6 febbraio del 1970 tre Mirage israeliani si trovavano in avvicinamento al porto di Hurgada. Obbiettivo presunto i radar avversari.
Il Minija, appartenente alla Marina militare egiziana, si trovava all’ancora nel porto di Hurgada , precisamente nella traiettoria di lancio del bombardiere, che la colpi a prua sul lato di dritta.
Nel giro di pochi minuti affondò senza lasciare nessuna traccia di sé e senza tentare una minima azione difensiva.
Lo scafo indifeso del cacciamine Minija, giace appoggiato sulla fiancata di sinistra su un fondale di sabbia misto a frammenti rocciosi a 30 metri di profondità di un mare altrementi coloratissimo, dove la vita classica delle barriere coralline dei reef più famosi al mondo non ha potuto attecchire completamente a causa delle vicinanza con il porto e dell’intenso traffico di grandi navi in transito.
E’ ottobre, il sole è caldo , ma il leggero vento, che soffia costantemente da queste parti rende piacevole la vestizione.
Il colore del mare è di un azzurro intenso, non vedo l’ora di tuffarmi e di cogliere le sensazioni che questo scafo sommerso saprà trasmettermi.
I rumori, il soffio del vento, le voci dei mie compagni di crociera scompaiono in un istante non appena lascio la superficie, guardo Lorenzo che controlla scrupolosamente la macchian fotografica, un’occhiata e giù; la corrente non è molto forte,ma ci obbliga comunque a scendere lungo la cima di ormeggio, vedo solo l’azzurro intenso del mare, continuo a scendere e l’impatto con la nave non tarda ad arrivare, sono a 14 metri, mi fermo un istante per osservare la struttura affondata nella sua interezza, e ne colgo un’immagine di riposo e pace.
Nonostante l’affondamento sia legato ad un evento bellico, ora, da questa visione sembra tutto dimenticato, la luce che riesce ad arrivare dalla superficie crea un disegno quasi fiabesco, che mi fa desistere dall’avvicinarmi.
Compiamo una prima perlurtrazione dello scafo da poppa a prua cogliendo una visione d’insieme e già, in questa fase la distruzione compiuta dall’uomo si mostra in tutta la sua brutalità.
La confusione tipica di una disastro è ora chiaramente leggibile su ogni oggetto che vedo e che analizzando riesco a collocare con precisione all’interno dello scheletro della nave.
La concrezione di soli trent’anni di acqua salata rende facilmente riconoscibili gli oggetti ora in parte schiacciati dalla pesantezza della chiglia.
La visione del ponte di comando e di tutto ciò che si trova sopra di esso ha una prospettiva inusuale rispetto a quella che normalmente abbiamo salendo su una nave, ogni cosa è inclinata sul lato sinistro e questo rende anormale e disorientante, ma suggestivo quello che sto guardando.
Dall’ossatura delle fiancate fuoriescono , quasi a voler svolgere ancora la loro funzione originaria le canne delle mitragliere antiaeree e la grossa canna di un cannone. Il fumaiolo , chiaramente distinguibile si trova al centro del ponte e sovrasta l’intero scafo da poppa a prua. Sulla sua superficie evidentemente visibili gli scalini, totalmente puliti da ogni incrostazione.
Ci soffermiamo ora sul ponte di comando ormai reso inefficace ad qualsiasi tipo di offesa; distinguo chiaramente alcuni fra gli strumenti di bordo e la parte restante della bussola.
Un oggetto in particolare attira la mia attenzione, fra la poltiglia che sta nascondendo come in una morsa ogni cosa, vedo un tubo di gomma: è una maschera antigas!
Maschera Antigas
Con urla incomprensibili e gesti incosueti attiro l’attenzione di Lorenzo che per nulla interessato alla mia ricerca, scattava le fotografie. Rimane sorpreso, entrambi non ne avevamo mai vista una, all’interno di un relitto sommerso; ci affascina, ma nello stesso tempo ci fa sentire la presenza di uomini, della narrazione di una storia non ancora terminata.
Immortaliamo questo interessante e nello stesso tempo terribile reperto che testimonia nella sua semplicità come l’uomo debba difendersi da se stesso.
Antiaereo
Abbandoniamo il ponte comando e ci avviciniamo a prua , dove nell’ancora di dritta ancora al proprio posto , hanno trovato il loro habitat una piccola famiglia di ricci; mentre quella di sinistra è alla fonda e sulla catena che la tiene legata alla nave un immenso numero di alcionari e spugne di svariati colori hanno cercato di nasconderla per sempre e tagliare il suo legame con il mondo terrestre.
Nella parte prodiera un immenso nuvolo di glass fish protegge le strutture dai nostri sguardi curiosi, mentre un piccolo , ma coraggioso lion fish funge da difensore, pronto ad attaccare chiunque si avvicini alla sua postazione.
Continuo a respirare lentamente , mentre la leggera corrente ci porta senza fatica alla parte di poppa, compiamo uno spettacolare passaggio sotto la prua, da dove posso vedere lo scafo nella sua totalità e coglierne le atrocità dei conflitti, in uno spettacolo ora quieto e silenzioso.
Siamo nella parte poppiera , dove i due grossi timoni sovrastano la lamiera altrementi piatta e dove una delle eliche è illuminata dalla luce naturale del sole. Mi avvicino alla lamiera e noto una discreta apertura , forse causata da un’esplosione dopo l’attacco che dimostra la lacerazione dello scafo che ne causò il tramonto.
Elica
Nella parte poppiera possiamo vedere chiaramente gli argani, molteplici avvolgi cavo con ancora la cima arrotolata sopra e varie maniche a vento.
Proseguiamo l’esplorazione e vediamo quello che apparentenmente sembrano essere dei grossi siluri, una indagine più approfondita ci rivelerà invece che sono torpedini che venivano trainate in mare per far esplodere le mine.
Paramine
Arriviamo vicino al cannone dove, la barrierra corallina non ha potuto occultare la postazione di fuoco con ben visibili il seggiolino e il poggia schiena. Alla visione di tutto questo un brivido percorre il mio corpo e comprendo che tutto ciò è una testimonianza della storia, ora incapace di nuocere ad alcuno , ma comunque e sempre uno strumento di morte e distruzione.
Dedichiamo gli ultimi minuti di questa immersione alla perlustrazione della zona intorno al relitto, per trovare qualche testimonianza che possa raccontarci ancora qualcosa del cacciamine.
Molto frecciame è sparso in ogni direzione in cui svolgiamo lo sguardo ed è molto difficile individuare alcunché di interessante nell’ammasso di oggetti che si confondono l’un l’altro.
Poco distante vediamo una piccola scatola , che individuiamo essere i resti della radio di bordo, proseguiamo e non molto distante ancora un ordigno di guerra: una grossa bomba inesplosa.
Nel ritornare vicino al corpo centrale effettuiamo un ultima fermata su una bombola , forse di CO2, con a tutto oggi riconoscibile la manopola di apertura del rubinetto; a nulla però è servita quando a bordo è scoppiato l’inferno.
Torniamo verso il relitto, tutte le porte sono aperte e stuzzicano la nostra curiosità, ma ormai è tempo di risalire e quindi ci dirigiamo diligentemente verso la cima di risalita, abbandonando lentamente e con una piccola ricchezza in più , lo scafo adagiato sul fondo.
Bombola antincendio
Ancora qualche giorno dovremo aspetttare per vedere cosa l’interno del Minija cela fra le sue contorte lamiere.
Per il secondo tuffo arriviamo come primi visitatori della giornata; l’acqua è cristallina, i raggi del sole attraversano la superficie del mare , per andarsi ad adagiare sulle lamine del Minija e donargli un po’ di vita.
La visione che mi si presenta non è la stessa della volta precedente, qualcosa è diverso; la luce, i miei pensieri, la prospettiva, un piccolo pesce che solitario vagabonda senza meta intorno a noi, incuriosito e per nulla intimorito dalla custodia della macchina forografica di Lorenzo e dai potenti fari.
Altre emozioni, differenti sensazioni da cogliere e da consevare in quell’infinito e vario museo dell’ universo sottomarino.
Ci dirigiamo decisi, verso un’ampia apertura , posta al di sopra del ponte comando; dentro non è completamente buio, il chiarore riesce con prepotenza ad entrare da ogni piccola fessura che trova a disposizione.
Posto di combattimento
Lorenzo mi precede, per prudenza io tengo il filo d’arianna bloccato saldamente all’esterno; gli spazi sono piuttosto ampi e delle nuvole di glass fish avvolgono ogni zona; notiamo la bocchetta antincendio ed un generatore di corrente.
Antincendio a sinistra e matassa cavi a destra
In una stanza un’infinità di cassetti capovolti e caduti a terra, distinguo varie paia di scarpe ed maggiormente proseguo con deferenza mista a timore; utensili vari sono li’ a testimoniare tutto quello che è accaduto in passato e che ora, nel nostro momento d’eternità, torna violentemente attuale.
Porta
Arriviamo al vano cucine, dove posssiamo chiaramente distinguere i fornelli, con alcune pentole; la sala macchine è stretta ed angusta; Lorenzo entra per scattare un paio di foto mentre io rimango sulla soglia per indicargli con la torcia la via d’uscita.
Li’ ogni cosa è ancora più ferma nel passato, rispetto alla più colorata parte esterna; tutto è rimasto pietrificato all’istante in cui la possente nave ha smesso di galleggiare, vorrebbe muoversi, ma la sua corsa è terminata in quel non lontano 6 febbraio 1970.
Pubblicato su Sub N° 226 – Luglio 2004
Centro Sub Tigullio – Genova
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