Autore: Eva Bacchetta
Foto: Lorenzo Del Veneziano
HAVEN OLTRE “IL RICREATIVO “
HAVEN ……la nave per eccellenza. Di questo grande “mostro” marino dalle dimensioni impressionanti, dalle emozioni suggestive, che riposa silenzioso nel mare di fronte ad Arenzano, sembra si conosca tutto, oramai. Migliaia di subacquei si riversano ogni anno ad ammirare, con timorosa devozione, questo grande “esemplare” dalle dimensioni imponenti, fino a non molti anni fa, così sconosciuto.
La Superpetroliera, infatti, in poco meno di un paio d’anni, ha cambiato volto, trasformandosi da sito riservato a pochi esperti e ingiustamente considerato pericoloso, a vera attrazione turistica. Esiste un perché di tanto successo. Primo fra tutte, la sua maestosità, così rara che la rende ricca di fascino e mistero.
Così dell’Haven è stato scritto e detto di tutto, dalla bellezza delle immersioni, alle polemiche per il disastro ecologico….In pagine e pagine di articoli di giornali del settore e no; attraverso foto e lunghi emozionanti racconti a testimonianza di quello che molti vedevano durante le numerose escursioni sul relitto.
L’Haven, però, non finisce qui….Scendiamo sotto il livello del mare e rechiamoci ad ammirare ciò di cui ancora poco si è parlato.
“Era l’aprile del 1991, quando con un gruppo di amici miei coetanei, andammo ad ammirare dalla cittadina di Arenzano quell’inferno di lingue di fuoco che dalla superficie del mare si innalzavano verso il cielo. Certo la visione che si mostrava ai nostri occhi era degna di uno dei migliori spettacoli che la natura potesse offrire ed in quel momento dei ragazzi di 18 anni non si rendevano conto dell’immenso disastro ambientale che quella grande nave che stava bruciando avrebbe recato alle coste genovesi e non solo.
Dopo aver bruciato per giorni la nave si innabisò innalzandosi con la poppa verso il cielo, ultimo grido di dolore prima di sparire per sempre alla vista dei curiosi spettatori.
Lì è rimasta silenziosa e via via dimenticata dalle menti che l’avevano vista ardere provando un doloroso rammarico perciò che si sarebbe potuto fare ,ma che non era stato fatto.
Chi avrebbe mai pensato , allora, che io, facente parte di quei curiosi, avrei potuto rivederla, integra ,in perfetto assetto di navigazione da diversi punti di vista sconosciuti a chi ha potuto osservare questa enorme petroliera solcare i mari.
POPPA ( elica )
Lo spettacolo di immergersi sulla Haven è indescrivibile ed estremamente emozionante; la vedi arrivare, nelle giornate di buona visibilità da 10 metri, prima piccola e sfuocata poi sempre più grande. Una nave enorme che da un fondale di 80 metri si innalza fino a 33 metri, in una visione di scale, ponti , bighi, grandi bitte, ringhiere…..porte aperte ed enormi spazi.
Nell’inverno del 2002 l’elica che avevo visto undici anni prima riappare al mio sguardo come se il tempo si fosse fermato.
Era una bellissima giornata di sole, ma come sempre nel periodo invernale il vento da nord tirava così forte quasi da farci rinunciare a proseguire; passato Voltri ,però tutto si quieta e il mare è molto più calmo.
Giornata ideale, sole, mare piatto e nessun cliente da dover accompagnare : siamo io, Lorenzo e Pierpaolo che ci farà assistenza di superficie.
Finalmente, dopo tanto tempo ho programmato una immersione sull’elica della Haven. Ho dovuto lavorare molto per arrivare ad effettuare una immersione per me così impegnativa , con discese via via a profondità sempre maggiori. L’elica della Haven ha rappresentato da quando ho iniziato ad immergermi su di essa , un traguardo importante, quella visione dal basso verso l’alto che ancora mi mancava.
Sono molto emozionata e contenta di effettuare questo tuffo con Lorenzo; arriviamo all’ormeggio sul solito canapone e aiutati nella vestizione da Pier ci buttiamo in acqua. Abbiamo programmato 12 minuti alla profondità massima, anche se non consumeremo tutto il tempo a 80 metri , bibombola 12+12 caricato con un Trimix 18/40 con decompressione in Nitrox e Ossigeno puro.
Per arrivare alla parte poppiera, dove si conclude lo scheletro della massiccia petroliera, il cammino è piuttosto lungo….un salto oltre le paratie dello scafo e giù nelle viscere di quello che da quella posizione sembra il più pauroso dei mostri notturni.
L’elica giace lì nell’immobilità sinistra del buio di 80 metri di fondo in una fierezza e grandezza sconcertanti.
Vederla ferma sul fondo , con le pale molto più grandi di me mi trasmette delle sensazioni che solo un subacqueo appassionato di relitti sommersi può comprendere.
Il silenzio è rotto solo dal sibilo dell’erogatore e il mio sguardo è fisso su quell’apparato del motore che con una semplice rotazione faceva spostare questa immensa nave.
Il mio momento di irreale suggestione è rotto dai potenti fari della macchina fotografica di Lorenzo , che mi riportano ad una realtà che avevo quasi dimenticato , ed un grongo curioso che si sporge dal bulbo dell’elica maestosa mi ricorda che il tempo sta per terminare e dobbiamo risalire verso una profondità inferiore.
La visibilità all’elica non era ottima, ora ci troviamo a 65 mt e , come da programma consumiamo gli ultimi cinque minuti dell’immersione a livello del timone dove la luce riesce a penetrare e a dare alla visione un’immagine altamente carica di emotività. Tecnicamente il timone di una nave ha la funzione di dirigerla nella sua navigazione; il timone dell’Haven ha un valore particolarmente importante per me e mi fa osservare il puzzle nella sua totalità senza parti mancanti.
Inutile parlare della grandezza del organo direzionale del relitto che come tutto il resto offre al subacqueo che lo sta osservando un senso di assoluta impotenza. Lorenzo si mette in piedi sul timone , non arriva a toccare la chiglia della nave che si erge sopra di noi in tutta la sua magnificenza.
Ci portiamo ad una quota inferiore per seguire scrupolosamente il piano decompressivo, possiamo soffermarci ancora qualche istante ad osservare argani, grosse bitte e l’invaso della scialuppa di salvataggio ,che è probabilmente bruciata, prima di raggiungere la cima di salita.
Dobbiamo risalire e abbandoniamo con deferenza quella parte del corpo della nave che rimane la maggior parte del tempo libera dagli sguardi di inconsueti visitatori.
SALA MACCHINE ( officina )
Ora mi trovo in un’altra dimensione; la stagione è diversa ed il sole cocente di luglio riscalda prepotentemente i nostri corpi e la superficie del mare, che è di un blu intenso.
Sono ancora in acqua, muta leggera , una lieve corrente e scorro il solito canapone in attesa di vederla ;ad un tratto l’acqua scompare e la Haven mi si manifesta titanica in tutta la sua grandezza, quasi mi scosto per farla passare , la totale trasparenza dell’acqua mi fa dimenticare che oramai lo scafo è un relitto immobile sul fondo del mare.
Vedo distintamente sotto di me gli enormi tubi della parte prodiera che mi lascio rapidamente alle spalle per arrivare con movimenti lenti , ma efficaci verso quella che molto probabilmente era la sala officine.
La bellezza di visitare un relitto sommerso è di poterlo esplorare cambiando ad ogni immersione la prospettiva di osservazione, la capacità di cogliere un’immagine unica ed indimenticabile in ogni angolo è quello che mi spinge a tornare laggiù.
Arriviamo alla stanza che stavo descrivendo dall’alto ed entriamo lentamente dal tetto, ormai reso invisibile ai nostri occhi dal fuoco che ha avvolto la nave per intere ed interminabili giornate.
Nonostante la profondità sia superiore ai 50 metri, la miscela che sto respirando mi provoca una narcosi equivalente di circa 30 metri e questo mi permette di cogliere dei particolari altrimenti indistinguibili.
Il primo oggetto che attira la mia attenzione è una morsa su di un tavolo da lavoro, perfettamente riconoscibile nonostante le incrostazioni abbiano cercato di nasconderla ai nostri sguardi; provo a ruotare la manovella e ancora gira!
Mi guardo attorno e noto delle grosse bombole, ancora intatte , con la rubinetteria perfettamente integra e i manometri dove attraverso i vetri si possono osservare le lancette e dei tubetti di stoccaggio ; mi domando come abbiano potuto resistere all’elevata temperatura raggiunta durante l’incendio.Mi volto e dietro di me si aprono numerose stanze, mi avvicino con Lorenzo a quelle di maggiore ampiezza dove è possibile entrare senza perdere di vista l’uscita. Osserviamo una serie innumerevole di altre bombole , quadri elettrici e pannelli di controllo.
Prendiamo velocemente una piccola porta che ci fa entrare nell’angusto buco della sala macchine, in alto la luce, sotto un buio inquietante.
Arriviamo alla profondità di 55metri, dove si apre un primo spazio;vedo chiaramente davanti a me una grossa cremagliera che penso dovesse servire per azionare il portellone posteriore e alcuni quadri elettrici.Usciamo dall’apertura per la sala macchine e ci ritroviamo sul ponte principale, dove i raggi del sole riescono a penetrare attraverso la superficie dell’acqua e mi fanno quasi dimenticare dove sono; Lorenzo scatta le ultime fotografie alle torrette di ventilazione di enormi proporzioni e ad alcuni oggetti a cui non so dare una collocazione precisa.
Intanto io godo della visione che questa giornata di eccezionale visibilità ha potuto regalarmi; riesco a scorgere tutto il profilo dello scafo fin dove il mio sguardo può giungere e penso che , nonostante i numerosi tuffi ogni volta riesco a notare qualcosa che la volta prima non avevo osservato…..
Il giorno successivo, Lorenzo , Rizia e Fabrizio programmano una discesa fino alla sala macchine per poter immortalare attraverso delle immagini, parte dei motori o quello che la grande signora vorrà mostrare di sé. Come una madre che protegge i suoi figli, la Haven ha fatto vedere ben poco di quello che nasconde nelle sue viscere; la visibilità equivalente a pochi centimetri nei punti peggiori , ha tenuto ben nascosti i segreti più intimi della sua padrona.
Nonostante ciò Lorenzo ha potuto fotografare le molle delle valvole, il cui diametro corrisponde a quello dei pneumatici di un tir e alcune lampade rimaste perfettamente integre con il vetro ancora all’interno.
Arrivati sui bilancieri dei meccanismi propulsori , punto più basso dell’immersione, a 67 metri di profondità, nonostante l’ingresso alla sala macchine sia ampio almeno 30 metri quadrati, guardando verso l’alto non se ne vede la luce.
Il tuffo in sala macchina è un’ immersione molto complessa,non tanto per la profondità che comunque necessita di una miscela ternaria per essere raggiunta, ma soprattutto perché l’acqua li stagnante crea un torbido degno delle acque verdi degli stagni e quello che si riesce a vedere è veramente poco.
Nonostante le avverse condizione trovate, una piccola parte di testimonianze di questo luogo avvolto dalle tenebre è stato immortalato attraverso immagini che ben rendono l’idea della caratteristica principale della Super petroliera; anche gli ingranaggi che in altre imbarcazioni sono piccoli ed insignificanti, qui assumono un valore ed una collocazione ben precisa.
INTERNI
L’immersione più affascinante dell’intera stagione è stata la discesa che ho fatto con Lorenzo per esplorare una zona particolarmente suggestiva all’interno della nave. Li’ ancora tutto è al proprio posto, integro come se nessun disastro fosse passato, come se la forza distruttiva della natura non avesse colpito ed ogni curioso oggetto osservato fosse rimasto depositato per essere usato di li a poco.
Nonostante la Haven, non sia legata ad alcun evento bellico sulle cui lamiere si può leggere una pagina della storia , essa fa comunque parte di quella storia umana di gente semplice che lì ha trascorso una parte della propria vita; sul ferro ormai arrugginito scorrono le vicende di vita quotidiana che su quella parte della lamiera contorta possiamo tranquillamente leggere.
Lorenzo con diverse immersioni di pura ricerca aveva ogni volta esplorato una stanza più interna , con il necessario filo di arianna, fino ad arrivare a trovare un percorso opportunamente sagolato solo per il breve periodo necessario per scattare le foto.
L’estate di quest’anno ci ha regalato giornate eccezionali, il sole ed il mare piatto hanno agevolato il nostro lavoro e reso molto piacevoli le nostre immersioni.
In una delle tante giornate di agosto , organizzato scrupolosamente il lavoro del diving, affidato per mezza giornata esclusivamente ai nostri fedeli e competenti collaboratori, io e Lorenzo ci prepariamo per il tuffo programmato ormai da intere settimane.
L’attesa mi crea una certa apprensione, anche perché l’immersione non è semplicissima ; entrare all’interno di uno scafo affondato, anche se di grandi proporzioni, necessità di una certa padronanza di se e soprattutto di grazia nei movimenti, per evitare di sollevare l’inevitabile sospensione che si sarà adagiata sui pavimenti, visto che dobbiamo fotografare.
Lorenzo mi ha precedentemente messo a conoscenza di ciò che troveremo e del percorso che dovremo fare; la nostra attrezzatura è molto leggera; io mono bombola da 15 litri, Lorenzo bibombola 7+7 completamente separato , più una decompressiva da 7 litri di EAN 36 che lasceremo sul ponte di comando per rendere più agevoli i nostri spostamenti; tempo di fondo massimo 20 minuti, che ci obbliga ad un run time di poco più di un’ora, profondità massima che raggiungeremo 55 metri.
Anche oggi fortunatamente, la visibilità è ottima; ai 6 metri mentre scendo lentamente aggiustando i cinghiacci del gav , posso vedere i sub che nuotano sul ponte di comando.
Posate sul ponte le nostre decompressive, un ok e velocemente raggiungiamo la piccola porticina che apre la via ad altre ed innumerevoli stanze.
Anche all’interno la visibilità è eccezionale, appena entrati una timida luce riesce a penetrare attraverso un oblò aperto.
Ora è buio, la stanza si apre ed è piuttosto grande , cerco di avvicinarmi molto lentamente all’oggetto che Lorenzo vuole fotografare e puntando la luce vedo che è una vasca da bagno perfettamente intatta. Volto lo sguardo e non perdendo mai di vista né Lorenzo ne la nostra cima guida, noto i resti di una branda e di un letto a castello. Le stanze che visitiamo sono piuttosto grandi, al loro interno molti oggetti sono scampati alle fiamme, ma sono avvolti dalle spesse lamiere che accuratamente custodiscono gli intimi segreti della petroliera più grande del mondo.
Lorenzo mi fa cenno di precederlo, entro in una stanza dove ci sono un’infinità di oggetti caduti ed accatastati l’uno sull’altro, fra questi riesco a distinguere i forni, la cappa della cucina , un cucchiaio, il cesto della lavastoviglie e appeso al muro di fronte a me l’orologio.Per la prima volta, dopo tanti tuffi sui ponti esterni della nave, ora osservando questi utensili percepisco la presenza di uomini che hanno vissuto in quei luoghi compiendo rituali assolutamente normali per la vita quotidiana e lavorativa di tutti i giorni.
Prima di uscire dal locale adibito alla ristorazione degli uomini dell’equipaggio, Lorenzo mi indica una stretta e tenebrosa entrata, mi avvicino senza fretta, punto la mia potente torcia e cerco di mettere a fuoco; dapprima non noto nulla, poi ad un tratto vedo in uno scaffale fra il fango delle parti bianche che poco dopo identifico come piatti da cucina; con molta attenzione ne sollevo uno e lo studio : sulla sua superficie non riesco a leggere nessuna scritta, è bianco probabilmente di porcellana con decorazioni floreali per tutto il contorno.
La tentazione di tenerlo con me è molto forte , ma lo rimetto nella stessa posizione dove lo ho raccolto,con un certo rispetto; il loro posto è in quel luogo , sotto la superficie del mare, guardiano imperituro, a monito della sciagura dell’affondamento.
Usciamo dalla cucina e proseguiamo lungo il corridoio, dove si aprono le altre stanze ; posso osservare uno scaffale pieno di oggetti , che sembrano essere pezzi di ricambio; più avanti una specie di generatore di corrente con ancora evidenti i manometri.
Ora il buio comincia a schiarirsi lentamente , in quanto ci stiamo avvicinando al punto di uscita, l’acqua sembra non esserci e la totale assenza di vita provoca in me un certo senso di illusione e malia.
Oramai vedo chiaramente davanti a me la piccola apertura che mi porterà nuovamente all’esterno , lungo gli immensi ponti della coperta, ma ancora un vano mi si apre al fianco sinistro; entro e distinguo nettamente l’oblò di una lavatrice….e mi viene da sorridere..
Lorenzo esce prima di me dall’angusto atrio ed io mi soffermo qualche istante per immortalare nella memoria questo momento irripetibile, mi volto, dietro di me un buio ostile, mi fa fantasticare su quali e quanti intimi segreti, le spesse e avverse lamiere occultano ai nostri sguardi. Un profondo respiro e lascio alle spalle l’immobilità ed il silenzio, che fanno di tutto ciò un disegno sempre attuale ed immortale.
La luce mi invade, guardo verso l’alto e vedo la superficie del mare, cerco di godere di questi indimenticabili istanti, e nuoto ,con Lorenzo che mi precede e scortata da un numeroso branco di dentici li stanziali , verso il ponte di comando e la cima di risalita.
Una volta arrivati sul ponte di comando veniamo abbandonati dalle nostre fedeli guardie del corpo che spariscono rapidamente ai nostri occhi ed incontriamo un simpatico pesce luna che vagabonda lento intorno a noi.
Dobbiamo lasciare i 35 metri perché il tempo ce lo impone, vicino al canapone oggi una numerosissima quantità di pesci accompagnano la nostra via verso la superficie impedendoci quasi di vederci fra noi. Respiro lenta fino a che a 20 metri i grossi dentici tornano a farci visita , si vedono lontani fanno un giro e poi spariscono nuovamente….alla prossima volta….
PARTE PRODIERA
Settembre, il mare è buono ed il sole ci regala ancora una inconsueta giornata degna del caldo di agosto.
Io e Lorenzo abbiamo programmato una immersione sulla parte prodiera della nave. Questa volta si tratta di una discesa diretta a 50 metri, non ci sono i vari ponti che gradatamente ci accompagnano fino alla coperta dello scafo.
Arrivati sul ponte di comando ci lasciamo cadere, sospinti solo dall’acqua e da una leggera corrente. La visibilità è buona, ma un sottile strato di sospensione rende difficile avere una visione d’insieme di forte impatto come la Haven solo sa dare.
Appena giunta sul ponte più basso, mi volto e l’altezza del castello, simile da questa prospettiva ad un muraglione con tante piccole finestre, mi fa quasi girare la testa; sembra un grattacielo pronto a schiantarsi su di me ad ogni istante. Raggiungo rapidamente Lorenzo che sta già scattando le foto ad un argano di dimensioni notevoli, dove si vede una targhetta di ottone che le incrostazioni tengono ben nascosta agli sguardi di inconsueti testimoni.
In questa parte dello scafo maggiormente ci si rende conto della grandezza, della maestosità della nave; è immensa e il mio sguardo non riesce a vedere il contorno da un lato all’altro dello scafo. Sembra di trovarsi nel bel mezzo di un campo da pallone, dove ogni cosa è estremamente distante.
Proseguiamo nella pinneggiata, sotto di noi enormi tubi , che servivano per lo stoccaggio del greggio proseguono veloci, senza tregua; smisurati bighi si ergono verso la superficie del mare, come mani umane protese verso la salvezza; gigantesche bitte, ben più grandi di un uomo, sono sparse lungo le paratie come solide guardie di fronte ad un fortino. Sono estasiata, vorrei fermarmi per contemplare con calma tutto ciò che vedo per riconoscerlo e collocarlo in una precisa funzione, ma il tempo scorre veloce e quindi andiamo avanti per poter immortalare maggiori immagini possibili. Lorenzo nuota davanti a me e si perde piccolo in questi spazi grandi e dove sembra facilissimo perdersi, mi segnala di entrare in un magazzino dove posso osservare diversi attrezzi da lavoro e vari barattoli , ammucchiati in un disordine quasi ingiustificato dalle proporzioni di assoluto dominio sul mondo degli oggetti posti all’esterno.
Noto anche due estintori , abbandonati e penso che comunque, nonostante tutta la sua prestanza, che la rendeva conquistatrice incontrastata dei mari del globo, nulla ha potuto contro la natura e la sua ribellione.
Avere la visione d’insieme della Haven, conoscere , anche se in piccola parte , il suo scafo, averne constatato l’immensità, da cui si può leggere potenza, robustezza forza e supremazia è in netto contrasto con quello che è ora: un relitto quieto sul fondo del mare.
Qui, nella parte di prua ti trovi di fronte a tutte queste caratteristiche con prepotenza e rassegnazione.
Siamo quasi in fondo, dove le lamiere si sono spezzate, la profondità degrada rapidamente, dalla contorsione delle lamiere si può leggere l’urlo di dolore urlato dalla nave prima di inabissarsi, anche i giganteschi tubature si sono piegate sotto la potenza dell’acqua , improvvisandosi cannoni di una corazzata che nulla possono però contro la potenza generatrice di tutto ciò che ci circonda.
La haven da protettrice diventa protetta da quel mare che mostra solo ciò che decide di far vedere. Noi siamo solo passivi spettatori di uno spettacolo sempre nuovo ed emozionante ad ogni discesa.
Ancora qualche istante per contemplare lo spettacolo , dietro di me il castello lontano, di fronte il blu del mare….. mi sento veramente piccola, guardo Lorenzo che sta già gonfiando il pallone della mitica “ turbo tanica “ e abbandoniamo lentamente lo scafo sotto di noi…
Quando siamo intorno ai 20 metri sentiamo il rombo di un motore, guardiamo verso la superficie e vediamo lo scafo del gommone; ci rilassiamo e concludiamo la nostra decompressione, scambiandoci a gesti le prime impressioni.
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