Autori: Pierluigi da Rolt e Raffaele Ferroni
“Senza le attrezzature l’immersione sarebbe rimasta una attività professionale. Il palombaro od il sommozzatore con A.R.O. in assetto pesante, schiavi del camminare per spostarsi, non avrebbero attirato mai l’attenzione del mondo degli sportivi. Semplicità, minimo ingombro, costi modici e ciò che più conta la gioia di “volare” in acqua, ecco cosa offrono le attrezzature” Le pinne ad esempio hanno contribuito alla diffusione dello sport subacqueo non meno della maschera. Hanno trasformato il faticoso procedere della rana in immersione in un movimento facile, fluido, riposante. Senza di loro l’immersione perderebbe una parte notevolissima dell’attrazione che esercita sugli appassionati.”
Questo scriveva Duilio Marcante nel suo “scendete sott’acqua con me” manuale di immersione subacquea scritto da Lui e da Giorgio Odaglia.
Proprio queste parole danno un’idea di quanto le attrezzature subacquee, nella loro evoluzione, abbiano influenzato e reso possibile lo sviluppo dell’attività subacquea.
E, prendendo spunto da ciò, parleremo delle pinne, quegli splendidi attrezzi, che altro non sono, se non il prolungamento della gamba e del piede del subacqueo.
Al giorno d’oggi di tipi di pinne ce ne sono una quantità enorme ed ogni buon subacqueo, quando deve comperarne un paio, ha le sue belle gatte da pelare.
In ogni caso cominciamo il discorso dicendo che le pinne si differenziano principalmente in due grandi famiglie, quelle a calzata chiusa o a scarpetta e quelle a calzata aperta con cinghioli.
Prendendo in esame la prima tipologia diremo che è la più indicata per l’attività di snorkeling ed apnea. Il piede entra nella pinna e viene completamente fasciato dalla scarpetta che lo tiene ben stretto.
La seconda tipologia comprende invece quelle pinne adibite ad immersioni con A.R.A., la scarpetta, o in alcuni casi lo scarpone, è aperta nella parte posteriore ed il piede è fermato da dei cinghioli. Possono essere indossate con calzari provvisti di suola o con gli stivali delle mute stagne.
Anche le dimensioni cambiano in riferimento agli usi di destinazione.
Per le immersioni in apnea le pinne potranno avere delle dimensioni anche ragguardevoli in lunghezza. Questo allo scopo di amplificare la spinta delle pinne stesse.
Per le immersioni con autorespiratore le pinne potranno essere con una pala di medie dimensioni, se non addirittura ridotta l fine di garantire una maggiore mobilità all’interno di ambienti ostruiti. Nulla vieta comunque che le pinne lunghe da apnea possano essere utilizzate anche in immersioni “scuba”.
Per quanto riguarda i materiali di costruzione, al giorno d’oggi sono in linea di massima due. Le plastiche o la gomma naturale. Quanto detto vale per le pale, mentre le scarpette è appropriato che siano sempre in gomma naturale. Altro materiale adoperato per la costruzione di pinne da apnea, è la fibra di carbonio, ottimo compromesso trà leggerezza e caratteristiche meccaniche (elasticità, resistenza ecc. ) che consentono quindi di avere uguale se non maggiore potenza di spinta con un peso e quindi un affaticamento delle gambe inferiore.
Risulta quindi evidente che il materiale di costruzione della pala influenzerà direttamente la potenza di spinta, è risaputo che le plastiche danno alla pinna una potenzialità di spinta molto maggiore che non la gomma naturale, ma durano molto meno e sono più facili al rovinarsi.
Attenzione, le pinne possono avere un assetto sia negativo che positivo, mentre quelle in gomma avranno un assetto senza dubbio negativo, quelle in altri materiali, potranno essere l’uno e l’altro. Bisogna tenere ben presente questa caratteristica, in quanto, nell’attività subacquea è compromettente adoperare pinne che abbiano una spinta positiva.
Alcune case hanno inserito, nelle pale delle loro pinne, materiali diversi che hanno consentito un ulteriore accrescimento della spinta senza affaticare troppo la gamba, tipo esempio ne sono le mitiche avanti4 della Mares.
Infatti bisogna dire che, il più delle volte, ad una maggior spinta della pinna, corrisponde un maggior affaticamento della gamba. In parole più semplici una pinna potente richiede un maggior allenamento.
Un discorso a parte meritano le pinne dell’ultima generazione trà le quali troviamo la serie Twin della Scubapro e le Force Fin. Le loro forme non sono senza dubbio tradizionali, le prime hanno pale bilobali, vale a dire che le pale a metà sono separate da un taglio che permette la modificazione della geometria delle pale stesse. Le Force Fin, costruite in poliuretano puro, derivano il loro disegno dalle pinne caudali di alcuni pesci pelagici.
Altre pinne come le Jetfin di Scubapro e Techfin di Divesystem, anche se vengono pubblicizzate come novità, non sono altro che delle riproduzioni di vecchi modelli di pinne. Infatti, un tempo, le pinne avevano più o meno tutte la forma dei due modelli citati, pala corta e larga.
Una novità invece è rappresentata dal tipo di cinghiolo a molla. In poche parole anziché in gomma, il cinghiolo ritentore, è costrituito da una molla in acciaio inox ricoperta di neoprene, grandi vantaggi indistruttibilità, longevità, grande svantaggio una certa difficoltà in fase di calzata e sfilata delle pinne, specialmente con gli stivali delle mute stagne.
PierLuigi Da Rolt. (Old Shark) e Raffaele Ferroni (Deepdiver)
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle foto presenti in questo articolo, senza il consenso dell’autore.