Autore: Andrea Neri
Scopo di questo articolo è evidenziare come la continua diffusione dell’immersione profonda con decompressione, e le annesse diversità didattiche, ponga importanti interrogativi riguardo al concetto di sicurezza dei gas respirati in profondità.
Diversamente dal settore ricreativo, quello delle immersioni tecniche è decisamente più eterogeneo riguardo alle metodiche e all’attrezzature da impiegare.
Il primo effetto di queste diversità è la nascita di diffidenze in tutti quei subacquei che non hanno le conoscenze necessarie per fare distinzioni, pertanto sorgono spontanee perplessità o convinzioni che l’immersione profonda non sia ancora ben conosciuta, e quindi non sicura.
Il secondo effetto ha origini meno scientifiche e più …affettive. Il riferimento è a coloro che iniziano il loro percorso di formazione per immersione profonda in base alla stima, all’amicizia o per semplice fidelizzazione a un dato istruttore, a una scuola o a un dato sistema, presuppongono inconsciamente che non esistono metodi migliori e più sicuri di quello a loro proposto.
Aprendo i manuali delle numerose didattiche ricreative si può assumere, tranne rare eccezioni, che i sistemi e gli esercizi non si differenziano tra loro in modo sostanziale. Le stesse tabelle di immersione ufficiali pur generate da algoritmi diversi hanno una convergenza di dati che divengono quasi speculari nelle immersioni oltre i venti metri di profondità con differenze irrilevanti. Si potrebbe quindi sostenere con alte percentuali di esattezza, che nel settore ricreativo le tecniche di immersione sono convergenti.
Nei manuali delle didattiche tecniche vi sono invece metodi con differenze più significative, alcune delle quali non possono non impressionare chi vi si approccia per la prima volta e da qui emergono, logicamente, le perplessità e le diffidenze alle quali si è fatto riferimento poc’anzi.
Queste differenze non si limitano solamente alla codificazione degli equipaggiamenti da utilizzare (altra diversità dal settore ricreativo) ma anche e soprattutto alla scelta di ciò che deve essere respirato (aria? nitrox? trimix?) e con quale metodo debba essere eseguita la relativa decompressione.
Decompressione si, decompressione no
«Non conosco subacquei che si siano limitati a scendere solo a quote molto modeste» .
È una frase presente nella premessa di un libro sull’immersione profonda edito nel 1980. Anche se generalizza un comportamento, quella frase indica una verità che era attuale negli anni ’80 ma che lo è ancor di più venti anni dopo. Lo è di più perché oggi sono disponibili attrezzature più affidabili, e le conoscenze sull’immersione profonda sono aumentate in modo vertiginoso.
L’avvento di Internet con i suoi numerosi link e siti dedicati alle immersioni con decompressione, offre molti spunti di riflessione anche se nello stesso tempo, rappresenta un pericoloso labirinto informatico in quanto possono essere alimentati opinabili sistemi autodidattici.
La comparsa delle didattiche tecniche ha demolito concetti, e in alcuni casi veri e propri miti, avversi all’immersione profonda con decompressione. L’avversità alle immersioni con decompressione è stata enfatizzata per molti anni dalle stesse didattiche ricreative, salvo poi tornare sulle proprie decisioni probabilmente proprio in virtù dello sviluppo delle conoscenze.
Nonostante il dissenso filosofico, deontologico o altro verso le immersioni profonde, quest’ultime sono state sempre eseguite adottando criteri e metodi che potevano essere condivisi venti anni fa, ma non oggi.
Prendendo atto che le immersioni profonde con decompressione sono state fatte, sono fatte e saranno fatte, è di fatto moralmente obbligatorio per il subacqueo attento alla sicurezza, compiere aggiornamenti, sviluppare conoscenze e se necessario, mutare abitudini. Ma è quest’ultimo aspetto il maggior freno all’evoluzione, vediamone alcuni aspetti.
«Mi sono immerso sempre così senza avere problemi, perché dovrei cambiare abitudini?»
Questa frase non è prelevata da un libro sull’immersione profonda, non è nemmeno stata raccolta da qualche autorevole relazione. Essa appartiene al modo di pensare di una tipologia di subacqueo tuttora presente, e che periodicamente risuona nelle discussioni.
Se si desidera non mentire a se stessi, quella frase non è altro che la celebrazione della pigrizia mentale, connessa in modo stabile alla presunzione, quest’ultima titanico problema con il quale spesso debbono confrontarsi gli istruttori e le guide subacquee.
Se si accetta l’ipotesi che le immersioni con decompressione abbiano avuto forti sviluppi negli ultimi anni, è intuitivo considerare che tali sviluppi materializzano modifiche più o meno rilevanti nelle tecniche di immersione, e allora perché restare ancorati a sistemi e attrezzature precari?
Affermare di essersi sempre immersi in un dato modo «senza avere problemi», non significa automaticamente che quel sistema non necessita migliorie; molti subacquei si sono immersi per anni senza gav e senza computer «senza avere problemi».
Il best-diver e la best-mix
È naturale che ad ogni diver sia gradito essere considerato un bravo subacqueo o qualcosa di più: un best-diver. Per essere un best-diver però, non è sufficiente disporre di un’ottima attrezzatura, di un’evidente acquaticità, d’esperienza ed aver frequentato corsi di formazione. Per essere un buon subacqueo è richiesta un ulteriore caratteristica: respirare le best-mix, ma cosa significa best-mix?
Per Best-Mix deve intendersi una data miscela respiratoria i cui gas componenti non superano precisi limiti di pressioni parziali alla massima profondità programmata.
In altre parole, la best-mix è una miscela respiratoria le cui percentuali dei gas che la compongono, sono stabilite dal subacqueo in fase di pianificazione. Le percentuali stabilite rispetteranno precisi valori di pressione parziale dell’ossigeno e dell’azoto sul fondo e dell’elio se è il caso. Tutto ciò significa gestire le miscele e non essere gestite da loro. Il concetto base si racchiude in una semplice domanda che deve porsi l’aspirante best-diver: «Quale è la migliore miscela da respirare per l’immersione che voglio fare?»
Se il subacqueo si pone questa domanda si renderà presto conto che l’aria diventa il peggiore gas da respirare in assoluto, che il nitrox ha forti limiti di profondità operativa, che per fare immersioni profonde occorre il trimix ma c’è un piccolo problema: per rispondere con esattezza a questa domanda occorre un bagaglio di conoscenze rilevante.
A questo punto il lettore potrebbe chiedersi come ottenere le conoscenze «giuste» in modo da poter disporre di un bagaglio tecnico rilevante.
Per giungere alle conoscenze giuste occorre studiare anche ciò che si ritiene errato, chiedersi quali siano i motivi per i quali si sostengono teorie contrarie alle proprie convinzioni, occorre liberarsi dai preconcetti ma soprattutto, occorre mettere in discussione ciò che si ritiene corretto al momento presente perché potrebbe non esserlo più il giorno dopo.
Nel caso delle immersioni subacquee lo sforzo di giungere a conclusioni certe è reso maggiormente complicato dall’innumerevoli variabili fisiologiche individuali, che mal si adattano ai calcoli generati dagli algoritmi decompressivi. Nonostante l’asincronia tra fisiologia e matematica, molti aspetti dell’immersione subacquea sono ben conosciuti tra i quali vi sono le proprietà tossiche dell’ossigeno e dell’azoto respirati in iperbaria.
Ossigeno e Azoto, amici o nemici?
L’immersione subacquea presenta alcuni rischi, l’immersione subacquea profonda ne presenta di più, questo lo sanno tutti.
I rischi maggiori non sono determinati dalle abilità tecniche del subacqueo. Per imparare a immergersi esistono i corsi e gli esercizi, i rischi maggiori sono quelli che non si osservano materialmente con gli occhi perché si muovono all’interno del proprio corpo, e cioè i gas con i loro effetti chimico/fisici direttamente proporzionali alla pressione ambiente e al tempo di permanenza. Tuttavia, come sopradescritto, le proprietà tossiche dei principali gas respirati nelle immersioni (ossigeno e azoto), sono ben conosciute e questo è molto importante per l’aspirante best-diver.
Per stabilire la migliore miscela per la propria immersione occorre avere bene in mente i significati di pressione parziale e di Narcosi Equivalente ad Aria (END = equivalent narcosis depth).
Prima di parlare di tutto ciò occorre fare alcune considerazioni.
L’ossigeno è un gas vitale, senza ossigeno l’uomo non potrebbe vivere, tuttavia l’ossigeno se respirato a pressioni elevate diventa tossico e può condurre a noti incidenti, per cui diventa importante stabilire precisi limiti della pressione massima dell’ossigeno da poter respirare.
Il nitrox usato nelle immersioni ricreative e tecniche è una miscela dove la percentuale dell’ossigeno è ben superiore al 21% presente nell’aria. Aumentando la percentuale dell’ossigeno diminuisce proporzionalmente quella dell’azoto e considerando che è l’azoto il gas che determina i limiti di non decompressione di ogni tabella d’immersione e computer subacqueo, diventa facile capire il grande vantaggio del nitrox, ma facciamo un passo indietro e torniamo alla tossicità dell’ossigeno.
Via via che aumenta la percentuale dell’ossigeno nella miscela nitrox, parallelamente aumenta la forza (pressione parziale) del gas e il subacqueo deve calcolarne i limiti in atmosfere assolute che respirerà alla massima profondità. Per saperlo basta moltiplicare la percentuale del gas per la pressione assoluta; esempio: la pressione parziale dell’ossigeno presente a 30 metri respirando nitrox con il 32% di ossigeno sarà 1,28 ata (0.32 x 4 = 1,28).
A questo punto diventa importante stabilire quale sia il limite massimo di pressione parziale dell’ossigeno in modo da evitare gli effetti tossici ad esso collegati, ma quali sono e cosa fanno gli effetti tossici dell’ossigeno?
La tossicità bivalente dell’Ossigeno
Le respirazione di miscele con alte frazioni di ossigeno può portare a due differenti forme di intossicazione: l’intossicazione al sistema nervoso centrale e l’intossicazione polmonare ambedue note come Sindrome di Paul Bert e Sindrome di Lorrain-Smith.
Per molti anni le immersioni nitrox hanno avuto nella NOAA il punto di riferimento principale. I limiti NOAA prevedono immersioni nitrox fino a una pressione parziale dell’ossigeno di 1,6 bar, ma nel tempo molte didattiche ricreative e tecniche hanno abbassato tale valore a 1,4 bar.
La riduzione della massima pressione parziale dell’ossigeno da 1,6 bar a 1,4 bar è dovuta essenzialmente dall’obiettivo di limitare il grado di tossicità al sistema nervoso centrale.
La tossicità del sistema nervoso centrale (Central Nervous Syndrome o CNS%O2) o sindrome di Paul Bert descrive i segni/sintomi di questa particolare forma di tossicità che trova nelle convulsioni il suo massimo stadio di gravità. La sindrome di Paul Bert è determinata dal tempo al quale permane il diver a una, solitamente elevata, pressione parziale dell’ossigeno. Proprio per questo motivo, nonostante i limiti NOAA siano affidabili, le didattiche ufficiali hanno ulteriormente ridotto tali limiti portando la sicurezza delle immersioni nitrox ad alti livelli di affidabilità.
In ogni caso è opportuno precisare che il valore di 1,6 bar della PO2 (pressione parziale ossigeno) è rimasto immutato nelle miscele usate per eseguire decompressioni e non immersioni tradizionali.
In un primo momento si può dedurre che riducendo la percentuale dell’azoto si riduce conseguentemente il potere narcotico di questo gas e in parte è vero. Alcuni studi e teorie però, sostengono l’azione sinergica dell’azoto con l’ossigeno riferita agli effetti narcotici, ma di questo si rimanda il lettore alla lettura del box dedicato alla narcosi.
L’azoto è quindi un gas «scomodo» per l’immersione: crea problemi per i tempi di permanenza e crea problemi di narcosi, nonostante queste caratteristiche indubbiamente negative dell’azoto, occorre precisare che questo gas è importante per la sopravvivenza umana in quanto non sarebbe possibile vivere respirando solo ossigeno perché l’ossigeno puro determinerebbe nel tempo patologie al territorio polmonare quali l’ispessimento della membrana alveolare, danni al surfactante, fibrosi, fenomeni atelectasici.
Queste problematiche sono prevenute attraverso un sistema di valutazione/prevenzione chiamato OTU (Oxygen Tolerance Unit) che permette al subacqueo di pianificare in sicurezza le proprie immersioni. Al fine di non diffondere falsi allarmi è doveroso precisare che per raggiungere livelli OTU di attenzione, occorrono fare immersioni che nello stesso ambiente tecnico subacqueo sono definite molto impegnative o estreme.
Ringraziamo Andrea Neri per l’articolo fornito.
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