Lo confesso: amo l’acqua calda. La muta leggera, 1 o 2 mm, la zavorra quasi inesistente, e via. Ho lavorato come guida e gestito attività in Indonesia, ho esplorato altri siti, quasi sempre in acque calde. Non ho mai indossato una muta stagna, non ne ho mai sentito il bisogno. Da un lato non patisco il freddo, dall’altro non ho mai fatto immersioni sotto i 12-13°.
Mi sembra di sentire qualche “e chissene…”. La mia introduzione era volta a sottolineare un fatto. Che io mi considero inadatto a parlare di freddo. Ho letto articoli bellissimi su immersioni in Norvegia, in Islanda, in lago, sono esperienze che non mi appartengono.
Però vorrei spezzare una lancia in favore del freddo, della stagione fredda del Mediterraneo, che ahimè stiamo perdendo. Ormai è chiaro che stiamo attraversando una fase di cambiamento climatico, che le temperature medie del pianeta si stanno innalzando per effetto dell’incremento dei cosiddetti gas serra, in primis dell’anidride carbonica generata dalle combustioni. Mentre scrivo si è da pochissimo conclusa la COP27, la conferenza delle Nazioni Unite per avviare iniziative atte a contrastare il cambiamento del clima.
Mi astengo dal commentare notizie che sono ancora in corso, e di cui ho una visione pessimstica. Torno al Mediterraneo e alla sua situazione attuale, che noi subacquei abbiamo sott’occhio. Il bacino del Mediterraneo sta sperimentando l’impatto dei cambiamenti climatici più di altre aree del pianeta, per diverse ragioni: parliamo di un’area fondamentalmente chiusa, intensamente sfruttata rispetto ai suoli delle regioni che si affacciano su questo mare, altamente urbanizzata e inquinata. Come risultato le temperature medie dell’intera regione del Mediterraneo sono aumentate di 1,4 °C rispetto all’era pre-industriale: 0,4° in più rispetto alla media globale.
Il che sembra poco, ma significa molto. Implica una profonda modificazione delle correnti marine, e come conseguenza della circolazione atmosferica, eventi estremi e catastrofici sempre più frequenti, aumento della siccità stagionale con ripercussioni sulla produzione agricola.
E la subacquea? Ci accorgiamo in immersione del cambiamento climatico in corso?
Un primo indizio potrebbe essere la presenza di inverni miti, con tante belle giornate, che ci permette di praticare il nostro hobby.
Un altro indizio. Provate ad osservare gli animali del mare, non notiamo niente di strano? Qualcosa che non avevamo mai visto prima… il riscaldamento delle acque provoca la risalita verso nord di specie che prima erano presenti in Mediterraneo ma limitate alle coste Nordafricane o dell’estremo Meridione d’Italia. Ha cominciato il Thalassoma pavo, o donzella pavonina. Negli anni ’80, quando imparavo a immergermi, si vedevano i primi esemplari a Portofino, ma era un avvistamento eccezionale, da sottolineare sul log book, per vederne tanti bisognava immergersi in Sicilia. Adesso è strano non vederla a Portofino, dove se il sub non si accorge della sua presenza è perché evita di osservare gli strati più superficiali della scogliera, quelli che il piccolo labride favorisce.
E dietro al Thalassoma altri animali amanti del caldo stanno risalendo lungo la penisola, pesci balestra, barracuda, pesci pappagallo, lo scorfano di Madera, qualcuno riconoscibile solo dagli specialisti, altri facili da individuare. Ai primi appartiene la bavosa africana, Parablennius pilicornis, dalla livrea che si presta a confusioni con altre specie, la cui espansione verso nord è stata velocissima negli ultimi anni. Quella delle foto è la bavosa africana, si riconosce per il disegno a ido d’ape che adorna sempre le guance, in tutte le forme cromatiche.
E accanto a loro si stanno espandendo verso nord i migranti, le specie aliene, penetrate da Suez o da Gibilterra e ambientatesi perfettamente nel Mediterraneo. E qui l’elenco si fa numeroso, e include specie che potrebbero impattare seriamente la diversità biologica del nostro mare, affermandosi come competitori per lo spazio (l’alga Caulerpa racemosa), per risorse alimentari (il pesce coniglio erbivoro Siganus luridus), o come voraci predatori delle forme giovanili dei pesci nostrani (il pesce flauto Fistularia commersoni, il pesce leone Pterois miles). Senza contare i pesci palla, il cui veleno potrebbe uccidere chi li mangi, senza conoscerli.
E gli invertebrati. Alcuni anni fa abbiamo chiesto ai nostri lettori di segnalarci gli avvistamenti di specie aliene, di cui pubblicavamo le schede sul sito (attualmente le schede più aggiornate si trovano su ScubaPortal) https://www.scubaportal.it/?s=clandestini .
L’iniziativa ha avuto un grande successo, e approfittiamo dell’occasione per rivolgere il nostro grazie a tutti quelli che, partecipandovi, hanno contribuito a disegnare il quadro dello spostamento verso Nord di alcune specie. Due in particolare sono da anni ai vertici della hit parade delle specie aliene più avvistate, e sono il granchio corridore atlantico Percnon gibbesi e la lepre di mare ad anelli Aplysia dactilomela. Entrambe sono specie atlantiche, penetrate da Gibilterra, ambientatesi nelle isole Pelagie, entrambe ormai segnalate dai nostri lettori così a Nord come lungo le coste liguri.
La popolarità delle due specie dipende molto dai non subacquei, snorkeler o camminatori lungo la scogliera, che spesso ce le hanno segnalate in acque a profondità limitatissima, quelle che il “bombolaro”, dopo la sosta di sicurezza a 3-5 m, percorre velocemente e senza osservare.
L’ultima questione, sospesa tra morale ed ecologia, riguarda il cosa fare degli alieni. Se spesso ci sentiamo dire che bisognerebbe ucciderli, con una certa soddisfazione scorrendo i commenti dei lettori di cui sopra devo dire che molti sottolineano che si tratta di specie meravigliose.
Se da un lato è indubbio che specie come lo Pterois possono danneggiare gli ecosistemi locali, resta il fatto che difficilmente io sarei capace di lasciarlo agonizzare in punta a un arpione. Secondariamente mi permetto di avanzare forti dubbi sull’efficacia dei tentativi di eradicazione basati sulla violenza.
Penso piuttosto agli ecosistemi naturali come a entità dinamiche, soggette a fluttuazioni di abbondanza delle prede e dei loro predatori come a fluttuazioni della biodiversità, capaci a gioco lungo di regolarsi e di giungere a un nuovo equilibrio, diverso dal precedente.
Ma dobbiamo accettare il cambiamento. Se in un delirio di onnipotenza decidiamo di giocarci l’Universo ai dadi, modificando il clima, aprendo canali, non preoccupandoci di conseguenze ampiamente annunciate (se è vero che la Scienza predica dagli anni ’50 il rischio di un surriscaldamento) alla fine dei conti è giusto cercare di sterminare lo Pterois, colpevole di aver trovato una via aperta (da noi), di essercisi intrufolato, di essersi ambientato in un mare dove la biodiversità ridotta (sempre da noi) gli consente di fare il predatore di vertice?
Articolo pubblicato su ScubaZne n. 59, lievemente riattualizzato.