In Grecia si trova un luogo simbolo e patrimonio dell’umanità: l’Acropoli di Atene.
Non importa che tu ci sia stato oppure no, ma sai che esiste. L’Acropoli è come il Colosseo: sono luoghi che attraverso la loro presenza determinano il carattere di un territorio. Chiunque sulla Terra conosce questi fatti identitari e li riconosce come fondanti, certo per noi europei mediterranei sono anche alla base della nascita della nostra lingua e cultura. Tuttavia sono certo che questi luoghi siano riconosciuti come fondamentali per chi venga dall’Asia o dalla costa atlantica o pacifica delle Americhe. In ciò che ciascuno di noi crede poco importa, quella che gli antichi greci chiamavano Atena i romani veneravano come Minerva. La fede che ciascuno ha nella vita o nella subacquea è un fatto di amor proprio.
La cronaca tramanda i fatti e la storia ne salva alcuni dall’oblio del momento per metterli sul piedistallo del tempo. Ai posteri, oltre che l’ardua sentenza, spetta anche il compito di non cancellare le tracce del passato e di imparare dai loro predecessori. A volte invecchia il contenuto ma non l’efficacia del messaggio da loro lasciato.
La subacquea contemporanea è frammentata tra sigle didattiche e partiti di appartenenza, rispettando pur la fede di ciascuno, credo che esista tuttora un valore lanciato alcune decadi fa, da un pugno di pionieri con lo sguardo aguzzo e la giusta consapevolezza di creatività e innovazione. L’Acropoli di Atene, in Grecia, è stata costruita millenni fa e ancora oggi continua ad ammaliare chi si pone al di sotto di quei rocchi di pietra che formano templi e architetture bellissime.
L’Eretteo è per me il più bel edificio al mondo, classico senza esserlo. Quattro colonne trasformate in cariatidi sorreggono la trabeazione del tempo, oltre che del tempio. Ogni colonna direi che metaforicamente rappresenta un pioniere della subacquea moderna.
Ho intervistato il fondatore di TDi, Capitano, tecnico iperbarico, record man, profondista e conoscitore della teoria della decompressione, un pioniere della subacquea internazionale: Bret Gilliam.
Se mi chiedete chi siano i quattro personaggi che hanno rivoluzionato la subacquea moderna, lui, a mio avviso è una delle colonne d’angolo. Quanto agli altri tre lì ho in mente per future interviste…
Qual è stata l’immersione che ha cambiato il tuo modo di vedere la subacquea? Voglio dire, un’immersione che è stata un’epifania, un’immersione che ha cambiato il tuo punto di vista sulle questioni tecniche.
Ho iniziato a immergermi all’età di otto anni, nel 1959, a Key West, in Florida. Mio padre mi aveva insegnato a fare snorkeling e quell’anno abbiamo guardato i primi episodi televisivi di “Sea Hunt”. Il programma mi ha spinto a dedicarmi alla subacquea, successivamente mio padre mi ha permesso di iscrivermi ad alcuni dei primi corsi disponibili all’epoca. La mia prima attività professionale in ambito subacqueo l’ho intrapresa nel 1961, all’età di dieci anni, catturavo i pesci per venderli all’acquario di Key West.
Ripensando al passato, puoi descrivere i primi passi della tua carriera di subacqueo e della tua attività di ricerca?
Per dodici anni sono stato un subacqueo sportivo, svolgendo tutti i tipi di lavoro.. pulire la carena delle navi, condurre in escursione subacquei e snorkelisti, raccogliere pesci per gli acquari, fotografare, ecc. Ho iniziato la mia carriera professionale nel gennaio 1971 lavorando con la US NAVY sui loro progetti di immersione profonda nelle Isole Vergini e gestendo il funzionamento della camera di iperbarica di bordo. In seguito sono passato alla subacquea commerciale e sono diventato il manager della compagnia presso cui lavoravo. Ho avuto la fortuna di collaborare con alcuni dei migliori professionisti nella ricerca subacquea grazie ai primi lavori sugli algoritmi di decompressione, fisiologia, interventi di emergenza subacquea, habitat di saturazione, sommergibili e un elenco infinito di altri progetti. Negli ultimi cinquant’anni, mi sono occupato di immersioni a livello professionale e di operazioni navali in tutto il mondo.
Cosa rappresenta per te un relitto?
Ci sono numerose storie sulle navi e sui loro affondamenti. Penso che l’eredità dei relitti sia molto importante. Sono affascinato da qualsiasi cosa stia in fondo al mare: relitti di aerei della Seconda Guerra Mondiale, navi mercantili, dai sottomarini e infine dalle navi da guerra oltre che dall’archeologia subacquea antica.
Le tue migliori immersioni sui relitti?
Le mie preferite sono state alle isole Solomone, a Truk Lagoon, a Papua Nuova Guinea, sull’Atollo di Bikini, in certe zone dei Caraibi e su molti dei relitti profondi al largo della costa della Florida.
Un relitto che manca alla tua lista dei desideri?
Non ho mai avuto la possibilità di vedere il Titanic!
Al Giddings è stato l’unico sub americano a bordo della prima spedizione italiana sul relitto dell’Andrea Doria. Che rapporto professionale avevi con lui?
Al e io ci siamo conosciuti nel 1971 e sono diventato il distributore della sua linea di fotografia subacquea nei Caraibi, la Giddings-Felgen. Ottimi prodotti!
Poi ho fatto dei primi lavori cinematografici con lui prima di iniziare a lavorare su “The Deep” nel 1976.
La lista dei film su cui abbiamo lavorato è stupefacente. Al era il tipo di go-to underwater film guy con successi come “The deep”, “The abyss”, “Titanic”, “Mai dire mai”, “True Lies”, “The river wild”, e decine di documentari e serie televisive tra cui la serie ABC “Ocean Quest” a metà degli anni ’80.
Ho un ricordo bellissimo di Al Giddings quando stava montando le riprese finali per il film “Titanic”, che sarebbe stato distribuito pochi mesi dopo, nel 1997. Una sera ci trovammo a cena con il suo vicino di casa, l’attore Dennis Quaid, nella tenuta di Al nel Montana. Un uomo straordinario e un mentore meraviglioso!
Hai fatto la storia della subacquea assieme ad altri grandi del recente passato. Chi di loro consideri la tua “famiglia subacquea”?
Ho trascorso cinquant’anni nella subacquea professionale e ho avuto la fortuna di avere ottimi colleghi con cui lavorare. Uno dei miei primi mentori è stato Dick Bonin, il fondatore di Scubapro. Inizialmente ho lavorato con lui come distributore di attrezzature sulle Isole Vergini. La società si chiamava V. I. Divers Ltd. ed è diventata la più grande azienda in ambito diving nei Caraibi orientali. Bob Hollis che ha fondato Oceanic e con cui abbiamo lavorato insieme su moltissimi progetti: dalle riprese dei relitti alle immersioni in saturazione, fino alla produzione di attrezzature. Stan Waterman e Hans Hass sono stati fonti di ispirazione nell’ambito della fotografia e delle riprese cinematografiche. Bev Morgan, il pioniere delle moderne attrezzature subacquee commerciali, con lui mi sono incontrato per la prima volta nell’estate del 1967, quando ero ancora alle scuole superiori. È stato fantastico uscire con Bev sia durante le immersioni che per fare surf.
Quali sono state le tue prime esperienze con le immersioni profonde all’inizio della tua carriera?
Il mio impegno professionale nelle immersioni profonde ha avuto inizio nel gennaio del 1971, quando sono stato assegnato a una squadra di immersioni profonde della Marina Militare Americana (US NAVY) che lavorava filmando sottomarini nucleari da attacco rapido a profondità estreme. Il nostro obiettivo era quello di oltrepassare lo strato riflettente profondo, a circa 170 metri di profondità. Questo strato aveva fatto rimbalzare i segnali del sonar sui sottomarini della US NAVY e gli aveva consentito di non essere individuati. Per quanto riguarda invece le immersioni, inizialmente abbiamo utilizzato l’aria fino a 90 metri e poi siamo passati all’Heliox. Abbiamo anche modificato le configurazioni delle nostre apparecchiature, abbiamo creato i primi modelli decompressivi e aggiornato la metodologia procedurale per tenere conto del maggior numero possibile di protocolli di sicurezza in caso di emergenza. Sei mesi dopo l’inizio del progetto, ho raggiunto l’obiettivo di profondità che mi ero prefissato: 160m. È stata un’esperienza affascinante.
Come vedi il futuro della subacquea? Il circuito aperto ha ancora qualcosa da raccontare o è morto?
In realtà noto una certa tendenza verso l’attrezzatura a circuito aperto. È ben progettata, affidabile e conveniente. I rebreather hanno una loro nicchia di mercato, ma sono costosi per la maggior parte dei subacquei, richiedono una vasta formazione ed esperienza pratica e molti produttori specializzati hanno avuto problemi a rimanere in attività. Sono certamente a favore delle innovazioni e del progresso tecnologico. Ma c’è stato un alto tasso sia di infortuni, che di decessi in alcuni ambiti delle immersioni tecniche e questa problematica deve essere riconosciuta e risolta.
Raccontami dell’età d’oro che hai vissuto nel mondo delle immersioni subacquee. Qual è stata l’eredità che ha lasciato?
L’industria subacquea era in continua evoluzione e nei primi anni Settanta ha avuto inizio la sua incredibile crescita. Sono state costruite strutture per immersioni professionali, moderne imbarcazioni per la subacquea, è stato ampliata la certificazione per il training, sono stati fatti stupefacenti progressi nel design dell’attrezzatura, viaggi diving in luoghi esotici… la crescita del settore è stata notevole. Abbiamo iniziato a vedere il declino alla fine degli anni Novanta perchè i giovani non erano più tanto attratti dalle immersioni sportive.
Dal 2003 circa abbiamo assistito al declino dell’industria subacquea. Anche la leadership nel settore ha sofferto e con l’attuale crisi economica e gli effetti della pandemia non ho un buon presentimento per il futuro. Ho venduto l’ultima delle mie società nel settore della subacquea nel 2005 ed è stata la decisione migliore che abbia preso. Mi occupo ancora dell’editoria di libri di fascia alta e di consulenza legale marittima.
Esplorazione: Una volta era solo per pochi, adesso talvolta è una parola abusata. Cosa ne pensi?
Mi sono occupato di esplorazione per decenni e ho avuto il privilegio di lavorare con così tante persone fantastiche. Sono un membro dell’Explorers Club da quasi trent’anni e ammiro molto i loro contributi. Ma ci sono molte persone là fuori che in realtà non soddisfano i criteri … sembra che molti siano più preoccupati di cucire una toppa sulla giacca o di aumentare le loro presunte qualifiche.
Puoi dirmi qualcosa in più sulla ricerca subacquea e sui progetti che hai seguito con la tua società Ocean Tech?
Ho iniziato con Ocean Tech nel 1971 e l’azienda è cresciuta velocemente. Parte di ciò che abbiamo fatto è stato dare supporto alla US NAVY nelle immersioni estreme e lavorare con le società di diving commerciali e la NOAA. Abbiamo anche collaborato a progetti speciali della Fairleigh Dickinson University e del West Indies Marine Lab. Gran parte del nostro lavoro negli anni Settanta è stato davvero all’avanguardia… specialmente con l’habitat in saturazione Hydrolab. Negli anni Ottanta, avevamo già iniziato a esaminare la tecnologia che poteva essere implementata nei primi modelli di computer subacquei elettronici.
Nel 1988, sono stato presentato al Dr. Albert Buhlmann in Svizzera, specializzato in elaborazione di algoritmi per la decompressione. Era un accademico che aveva una visione sorprendente della fisiologia e dei modelli decompressivi, ma non era un subacqueo. Eravamo un’ottima squadra perché le nostre competenze erano complementari, abbiamo lavorato insieme per associare i suoi algoritmi personalizzati alla produzione di nuovi modelli di computer e all’integrazione di funzionalità aggiuntive. Nel 1994 mi era stato chiesto di aggiungermi a UWATEC in qualità di Presidente e Amministratore Delegato. Siamo diventati l’azienda leader nel mondo nella produzione di strumenti e computer subacquei.
Quando hai avuto l’idea di studiare la fisiologia dell’ossigeno e i suoi effetti sulla subacquea profonda?
È stato fondamentale per la nostra sopravvivenza essere capaci di gestire le profondità estreme a cui lavoravamo e avere una piena consapevolezza dei potenziali pericoli. C’erano molti aspetti di fisiologia subacquea che erano complicati e presentavano sfide particolari. La gestione dell’esposizione all’ossigeno e i problemi di tossicità dello stesso erano in cima alla nostra lista di pericoli. Sono stato istruito da un Ufficiale medico subacqueo e la cosa mi ha portato a gestire la camera di ricompressione della US NAVY sulla nave in cui ero imbarcato. Questo ci ha permesso di collaborare per un periodo di sei mesi in cui abbiamo
considerato tutti i rischi prevedibili. L’ossigeno era solo una delle tematiche quotidiane nella pianificazione delle immersioni. Già nel 1971, cinquant’anni fa, avevamo a che fare con così tanti argomenti che la cosa preoccupava seriamente gli Ufficiali di bordo. Abbiamo utilizzato la nostra esperienza pratica e abbiamo avuto accesso a fonti mediche per assicurarci di poter affrontare la narcosi, la tossicità dell’ossigeno, l’HPNS, lo sforzo inspiratorio a profondità estreme e tanti altri problemi.
A quell’epoca lavoravamo regolarmente con l’aria e il nostro limite standard di PO2 era 2.0, successivamente modificato a 1.6 PO2 negli anni Settanta. Noi dovevamo andare più in profondità e siamo passati ad utilizzare Heliox sotto i 90 metri. Nel complesso, ci siamo trovati completamente a nostro agio con i piani di immersione che abbiamo progettato e la US NAVY è stata soddisfatta di poter girare le riprese a profondità così estreme. Non c’è alcun dubbio che il nostro progetto fosse una priorità nazionale estremamente elevata per via delle operazioni sottomarine che erano condotte durante la Guerra Fredda. In sostanza, siamo stati considerati “sacrificabili”. Perciò abbiamo studiato attentamente i nostri piani d’immersione, le attrezzature, le procedure di decompressione e le pianificazioni di emergenza. Abbiamo terminato il progetto molto prima del previsto e sono stato congedato da ulteriori attività militari. Tempi affascinanti!
Puoi descrivere come è nato il best seller “Mixed gas diving” in collaborazione con Tom Mount?
Tom e io ci siamo conosciuti nel 1972 e abbiamo subito instaurato un rapporto stretto. Tom era uno dei subacquei più capaci che avessi mai incontrato e avevamo così tanto in comune… Ken Loyst di Watersports Publishing mi ha chiesto di scrivere il seguito di Deep Diving,che era un best seller, così abbiamo collaborato su Mixed Gas Diving.
Come sono stati i tuoi rapporti professionali con John Crea e Robert Von Maier? Raccontami come è nato questo altro libro fondamentale: “Deep Diving”.
Originariamente avrei dovuto essere un collaboratore del libro, ma Ken Loyst si era accorto che aveva bisogno di uno scrittore migliore con un campo di competenza più ampio. Quindi Von Maier si è occupato di un capitolo soltanto e Webb è stato completamente rimosso dall’incarico. Ho finito per scrivere tutto il testo tranne un breve capitolo. Il libro è stato molto popolare ed è andato esaurito alla sua prima tiratura nel 1994. Loyst mi ha chiesto di pubblicare una seconda edizione ampliata e così ho chiesto a John Crea di scrivere due capitoli. Sebbene siano rimasti autori accreditati Von Maier e Webb, I loro nomi sono stati rimossi dalla seconda edizione del 1995. Ho ampliato il libro di ulteriori cento pagine e poi ho aggiunto dei contenuti tecnici. Praticamente ho riscritto l’intero libro.
“Deep Diving” ha venduto oltre 100.000 copie ed è stato tradotto in sette lingue del mondo. È diventato un pezzo da collezione e pare che tutti I subacquei tecnici ne abbiano una copia nella loro libreria. Il mio obiettivo è stato quello di scrivere un manuale di riferimento per i subacquei, in un linguaggio semplice, e che rendesse un argomento così complesso comprensibile all’ampio pubblico di subacquei tecnici. Oggigiorno “Deep Diving” è diventata la Bibbia della subacquea tecnica.
Fine Prima Parte dell’intervista a Bret Gilliam. Il seguito sarà pubblicato porssimamente su Scubaportal e Scubazone.
Foto di apertura: Bret Gilliam a bordo della Calypso di J. Y. Cousteau per realizzare dei filmati. © Bret Gilliam, USA
Intervista di ANDREA MURDOCK ALPINI
Traduzione: MARIANNA MORÈ
Bret Gilliam è
stato impegnato professionalmente nel settore della subacquea dal 1971, una
carriera che a oggi ha attraversato oltre cinque decenni. A partire dalle prime
uscite nel 1959, ha registrato oltre 19.000 immersioni in tutto il mondo. Il
suo curriculum include spedizioni scientifiche, progetti militari/commerciali,
gestione di strutture per il trattamento iperbarico, produzione attrezzature
(UWATEC), fondazione di agenzie internazionali di certificazione per
l’addestramento alla subacquea (TDI, SDI e ERDI), case editrici (riviste Scuba
Times, DeepTech e Fathoms), nonché progetti di ripresa cinematografica per
film, serie televisive e documentari.
Bret Gilliam ha sponsorizzato progetti di ricerca sulla malattia da decompressione,
sui computer subacquei, sulla narcosi da gas inerte e sulle immersioni ripetute
di più giorni. Bret Gilliam ha ricevuto due volte il premio NAUI Outstanding Contribution to Diving Award, il Diver of the Year di Beneath The Sea. È stato eletto membro del prestigioso Explorers Club
ed è stato premiato con ulteriori riconoscimenti, come il “Fellow
National” del 1993. È stato inserito nella Diving Hall of Fame dall’AUAS
nel 2012 come vincitore del premio NOGI.
Oggigiorno è attivo come consulente per le aziende del settore subacqueo. Vive su un’isola semi-privata nel Maine.
Andrea Murdock Alpini (classe 1985) è subacqueo e Instructor Trainer tecnico TDI, CMAS, PTA, ADIP. Si immerge dal 1997 in circuito aperto in acque marine e lacustri prediligendo i relitti, storici o moderni. Il suo primo libro di subacquea e di avventure per mari, oceani, grotte e laghi si intitola: DEEP BLUE Storie di relitti e luoghi sommersi (2019). Ha collaborato all’edizione di ANDREA DORIA -74 di Stefano Carletti, per cui ha scritto la postfazione del libro, a cinquant’anni dalla prima edizione (2021).
Andrea
Murdock Alpini organizza corsi subacquei, immersioni e viaggi in luoghi
insoliti oltre che spedizioni subacquee su relitti, in miniere o
grotte. Documenta le proprie immersioni con video, immagini e report.
Ha fondato il brand di subacquea tecnica PHY DIVING EQUIPMENT per sviluppare nuove
ricerche e prodotti mirati per la subacquea avanzata e d’avanguardia con
particolare attenzione al tema del “freddo”.