“Perché vuole scalare l’Everest?” chiesero a George Mallory l’alpinista britannico impegnato per ben tre spedizioni a cercare di conquistare la vetta del mondo.
Mi ha sempre affascinato lo spirito della Montagna e di pari passo quello della Profondità. Perché lo fai? Me lo chiedo ogni volta che indosso il cappuccio prima di un’immersione. Perché lo fai chiedo ad ogni allievo che si iscrive a un mio corso con l’intento di raggiungere un obiettivo.
Mallory non riuscì mai a scalare l’Everest, le motivazioni e il suo “fallimento” sono ricordati al pari delle grandi imprese che l’hanno seguito. La sua ultima spedizione, 29 anni prima di Hillary e Norgay, gli costò la vita. Eppure George Mallroy nonostante non avesse mai raggiunto il suo obiettivo rispose a quell’apparente semplice domanda con l’ermetica risposta bianca come un osso di seppia: “Perché è lì”.
Parafrasando un vecchio disco cui sono molto legato “Non all’amore, né al denaro, né al cielo”. Questo è lo spirito che ha mosso i grandi pionieri dell’alpinismo e anche gli animi di tre subacquei: Mario Marconi, Alessandro Scuotto e Pim Van Der Horst. Il 9 maggio del 2008 si sono immersi nelle fredde e scure acque del Lago Maggiore per esplorare e riportare in superficie le immagini del battello Milano, tragicamente affondato dall’aviazione Alleata il 26 settembre 1944. Il fascino storico di un’immersione mai tentata prima, l’attenta pianificazione tecnica e una squadra di professionisti con competenze variegate sono stati gli elementi cardine per il raggiungimento di un unico obiettivo.
L’immersione sul relitto del battello Milano ha segnato un punto importante per la comunità subacquea. Attorno a questa esplorazione, come spesso accade, tanto è stato detto, vociferato o raccontato ma molti aspetti ancora non sono stati portati alla luce. Aldilà di quel che si conosce c’è una parte di questa impresa che non è mai stata divulgata: sono i video girati attraverso le tre telecamere portate sul fondo da Marconi, Scuotto e Van Der Horst.
Phy Diving Equipment ha presentato un progetto ai tre pionieri del Milano: realizzare un filmato che ricostruisse la storia del battello attraverso testimonianze storiche, immagini inedite, fotografiche, documenti d’archivio, video elaborati dal ROV dei Vigili del Fuoco e che infine fosse completato dalle immagini e dal racconto dell’esplorazione a -236m.
I tre subacquei hanno accettato l’invito a scavare negli archivi e nella memoria. Hanno posto un’unica condizione che, il filmato raccontasse la storia del battello Milano e la loro immersione fosse vista unicamente come una tappa del racconto e non il fulcro delle gesta di un’immersione divenuta poi record. La notorietà sportiva non fu il motivo che li spinse ad immergersi nel Lago Maggiore quasi dodici anni fa.
Le immagini inedite girate dai tre subacquei saranno montate all’interno di un breve documentario che sarà proiettato in occasione di Eudi Show 2020 a Bologna, domenica 1 marzo ore 15. Quel giorno sul palco torneranno per la prima volta i tre subacquei profondisti che intervistatati da Andrea Murdock Alpini presenteranno la loro esperienza attraverso aneddoti, memorie e dettagli tecnici di quella storica immersione datata maggio 2008.
In attesa dell’incontro a Bologna ecco un estratto delle interviste che raccontano alcuni retroscena del lavoro i corso. Le testimonianze sono state raccolte nei mesi precedenti tra Napoli, Roma e la terra dei tulipani: l’Olanda.
-236 metri: l’intervista
Andrea “Murdock” Alpini: Come è nata l’idea di immergersi sul relitto del battello Milano?
Mario Marconi: L’idea è nata con una telefonata da parte della Presidenza della PTA (Marco Braga, ndr) che mi ha proposto di partecipare all’evento.
Lo stesso invito era stato fatto ad altre quattro persone oltre al sottoscritto (Pim Van Der Horst lo ho coinvolto personalmente nell’evento). Durante le fasi iniziali della preparazione eravamo due team composti da tre persone ciascuno, successivamente ci sono state delle defezioni poiché fu avanzata da parte di alcuni l’esclusività della partecipazione, altri ponevano il problema su quale sarebbe dovuto essere il primo team dei due a scendere sul relitto per poter stabilire di chi fosse poi effettivamente il record! C’è chi poi si è ritirato perché gli è stata “rubata” l’attrezzatura e quindi non poteva garantire la partecipazione. Il nostro team mise a disposizione le attrezzature di back up per risolvere la cosa, insomma alla fine, sembra quasi una filastrocca, siamo rimasti in tre!
Tre amici, a nessuno dei quali interessava chi sarebbe stato il primo a toccare il relitto e nemmeno che l’immersione fosse etichettata come da “Record”. L’interesse comune era quello di prendere parte a un evento di rilevanza storica ma soprattutto dall’alto profilo tecnico. La condivisione in amicizia fu un importante elemento per la riuscita del progetto, si lavorava nel massimo della serenità, senza nessuna prima donna.
“Murdock”: Quali erano le finalità prefissate dall’immersione dal punto di vista dell’esplorazione tecnica?
Alessandro Scuotto: Lo scopo dell’immersione non era certamente il “Record di immersione” su relitto, la nostra finalità era fondamentalmente esplorativa e commemorativa. Il nostro Team voleva inoltre testare le procedure d’immersione e le attrezzature in condizioni stressanti. L’esplorazione aveva l’obiettivo primario di filmare il relitto con tre telecamere che avevamo in dotazione (una per ciascun subacqueo) in modo da avere più prospettive contemporaneamente del relitto. Raccogliere punti di osservazione differenti era importante poichè il tempo realmente trascorso sul fondo era molto ristretto e “limitato“ a 4 minuti. I tre punti di vista servivano a raccogliere il maggior numero di dati possibili.
In quegli anni sia io, sia Mario e Pim avevamo a disposizione diversi Rebreathers per effettuare l’immersione. Decidemmo all’unanimità di utilizzare il Rebreather Ouroboros che all’epoca era certamente uno dei più affidabili. Alle macchine non furono apportate sostanziali innovazioni tranne un secondo bombolino di O2 outboard e la possibilità di connettere le bombole di bailout al CCR mediante innesti rapidi di tipo Swagelok.
“Murdock”: Come ti sei preparato all’immersione sul relitto del Milano?
Pim Van Der Horst: Sinceramente non ho effettuato delle immersion specifiche di allenamento. In quel periodo m’immergevo spesso oltre i cento metri. Prima di affrontare l’immersione sul relitto del Milano sono andato in Libano per immergermi su uno dei relitti più stranamente conficcati nel fondale marino: l’HMS Vittoria che si trova a -150m di profondità.
A parlarmi del progetto d’immersione sul Milano furono Cedric Verdier e Mario Marconi. L’idea mi piaceva e così presi parte al gruppo mettendomi in discussione.
“Murdock”: Tre subacquei e un Team. Quali furono i ruoli e rapporti tra i membri del Team in acqua e fuori dall’acqua?
Alessandro Scuotto: Per l’occasione è stato creato un team di circa 60 persone. Io, Mario e Pim eravamo i Deep Divers ma il Team era composto da tante professionalità, tutti con compiti specifici, c’erano assistenti di superficie, personale per la gestione della campana di decompressione, personale sanitario, subacquei d’assistenza in decompressione e a quote più profonde.
Insieme a Mario Marconi pianificai l’immersione nei minimi dettagli.
Prima che la nostra immersione stesse per iniziare è stato calato il ROV dei VV.FF. che si posizionò sul relitto in modo da riprendere il nostro arrivo sul Milano. Io ripresi dall’alto l’arrivo di Mario accanto al ROV. Successivamente continuammo ad effettuare le riprese video da tre angolazioni differenti.
Quando mancava un minuto alla risalita, lo segnalai ai miei compagni, ci avvicinammo alla cima, Mario e Pim iniziarono quindi la loro risalita mentre io continuai a riprenderli per un po’ dal basso prima di staccare definitivamente dal fondo.
“Murdock”: Il team ti affidò il compito di sviluppare le tabelle decompressive. Quanto avevi studiato e preso dalla letteratura scientifica subacquea allora disponibile e quanto invece da altre esperienze subacquee?
Mario Marconi: In realtà ho semplicemente fatto il grosso del lavoro nella realizzazione del profilo decompressivo poiché tutte le scelte concernenti i parametri adottati sono sempre state discusse e condivise dal Team durante le settimane precedenti l’immersione. Da un punto di vista “letterario scientifico” la mia conoscenza era relativa a quanto conosciuto e a disposizione della comunità “Tek” di quegli anni, nulla di più.
Negli anni precedenti all’immersione sul battello “Milano” ho avuto la possibilità di discutere diverse volte con Corrado Bonuccelli sulle varie teorie e modelli decompressivi ma, alla fine, ciò che ha pesato di più è stato il feedback avuto dalle esperienze sul campo durante le mie immersioni o di altri profondisti che si erano immersi prossimi a quelle quote. Avevo scambiato diverse mail con Dave Shaw il quale si era immerso a Boesmansgat Cave fino alla quota di -270m. In quel periodo ero a stretto contatto con Jerome Meinye che era sceso diverse volte in grotta sotto i -180m, io stesso ero sceso insieme a lui fino a -173mt a Source du Saint Sauveur (Francia) dopo ver percorso circa 600 metri dall’ingresso della grotta. In quell’occasione fu elaborato un profilo molto particolare rispetto a un’immersione “superquadra” come quella che è stata invece realizzata sul relitto del Milano.
La tabella master dell’immersione nel Lago Maggiore a -236m (-241m compensati con l’altitudine) è stata pensata come un profilo connubio di più teorie decompressive. In quegli anni vi erano pochi dati disponibili e le esperienze erano numericamente insignificanti per immersioni autonome oltre i -200m di profondità. Posso affermare in conclusione che quella tabella è stato il risultato di know how personale, di Alessandro e Pim oltre che grazie ai confronti avuti con altri profondisti del tempo.
“Murdock”: Qual è stato il tuo impatto emotivo quando ti sei visivamente trovato di fronte al relitto?
Pim Van Der Horst: Quando sono planato sul Milano il mio primo pensiero è stato “sto facendo qualcosa che nessuno hai mai fatto prima! Un’immersione su relitto a -236m!”. Il relitto era assai danneggiato, lasciava poco posto all’immaginazione. Il mio secondo pensiero è stato molto più razionale: controllavo continuamente il RunTime per osservare pedissequamente il momento dello stacco dal fondo. Ogni minuto extra trascorso sul relitto significava un’ora di decompressione!
Il Lago Maggiore si trova a poche decine di chilometri da casa mia.
Combattuto tra le sponde varesine e piemontesi spesso m’immergo nelle sue acque. Difficilmente sono rimasto affascinato da ciò che trovo sotto la sua superficie, ma quando gli occhi sono a pelo d’acqua prima di sgonfiare il gav lo spettacolo delle montagne, che siano innevate o brulle, del sole che tramonta o dei cumulo nembi che scendono da Verbania e si imbattono sopra Luino non ha eguali. Il Lago Maggiore è uno di quei posti malinconici in cui ti senti a casa. Sei avvolto da uno spazio che percepisci ti appartiene nonostante le sue mille diversità.
Il Lago Maggiore è affascinante, elegante e leggiadro. Sulle sue sponde s’incontrano le storie di Ernest Hemingway e quella del battello Milano. Ecco perché ho deciso di svolgere queste interviste e intraprendere il progetto di un cortometraggio: volevo continuare raccontare una storia del nostro Lago prima che s’inabissasse.
Complimenti solo tre grandi sub come voi potevano fare questa impresa. Anche io nel 2000 feci parte della prima spedizione sulla Viminale. Senza paragoni considerandoanche le attrezzature differenziate di nuovo complimenti.