La storia. L’Andrassy venne varato nel 1892 nel cantiere Wigham Richardson & Co. di Newcastle per conto della Adria – Regia Ungarica Soc. di Nav. Marittima di Fiume.
Aveva una stazza di 1.553 ton., era lunga circa 72 metri e larga 10. L’apparato motore era costituito da una macchina a triplice espansione capace di imprimere una velocità di 10 nodi. La nave venne utilizzata per trasporto merci e passeggeri tra il Mediterraneo e l’Adriatico, lungo la rotta che da Genova toccava Napoli, Messina, Malta, Catania, Fiume e Trieste.
Il 28 dicembre 1908, l’Andrássy, ormeggiato nel porto di Messina, restò coinvolto nel sisma che colpì la città. Il 27 agosto 1911, nel corso di una navigazione in alto Adriatico, la nave venne coinvolta in un secondo sfortunato episodio, quando, in prossimità di Lussino, a causa di un’errata valutazione della distanza dal segnale luminoso, urtò le rocce dello scoglio di Silo; riprese la via del mare dopo esser stato disincagliato dai rimorchiatori della società Tripcovich di Trieste. Le avversità proseguirono il 9 marzo 1916 quando, uscendo dal porto di Antivari in Montenegro, il piroscafo entrò in collisione con una torpediniera austro-ungarica.
Il 31 marzo 1916, infine, la malasorte si accanì in maniera definitiva contro l’Andrassy. In sosta presso San Giovanni di Medua, in Albania, il capo macchina avvisò un guasto alle macchine e il comando dispose di trasferire la nave ad Antivari per ripararla. Uscito dal porto con direzione nord ovest, a un miglio dall’uscita del porto, il mercantile però urtò una mina. Alcuni sostennero che si trattasse di un ordigno posato dalle Forze Navali Alleate; altri ritennero che fosse una mina del blocco difensivo steso a protezione del porto dalla marina austro-ungarica e forse dallo stesso Andrássy. La nave affondò a mezzo miglio dalla costa e vi persero la vita cinque membri dell’equipaggio.
L’immersione sull’Andrassy
Oggi l’Andrássy giace in assetto di navigazione a 25 metri di profondità, a mezzo miglio dalla costa. Accediamo all’interno del porto di Shengjin accompagnati da Igli Pustina, Presidente della Federazione Subacquea Albanese e troviamo ad attenderci una veloce barca da turismo messa a disposizione da Denis Nova, titolare del Nova Diving Center di Durazzo. Decidiamo di respirare la miscela EAN30 in modo da sfruttare i benefici dall’utilizzo del nitrox e una miscela decompressiva EAN50, poiché l’esplorazione degli interni del mercantile richiede un tempo di fondo molto esteso.
A causa di molti torrenti e corsi d’acqua che sfociano nel Golfo del Drin, nei mesi invernali non sempre è garantita l’ottima visibilità, mentre nei mesi estivi, in alcune giornate, se ne scorge la sagoma sin dai primi metri. Scendendo sul relitto, la nave sembra voler emergere dalla foschia e distinguo chiari e definiti i profili della coperta, delle sovrastrutture e del cassero di comando. Iniziamo l’esplorazione della zona prodiera dove si osserva il gruppo argani e un’ancora, ricoperti entrambi da una fitta rete. Il profilo della prua mette in risalto il tagliamare, verticale, alto e dritto; sulla parte superiore si distinguono le grandi bitte passacavi e il salpa ancore, ancora riconoscibile da leve ed ingranaggi, nonostante ricoperti da concrezioni. Oltre questo punto si osserva sottocoperta l’interno dei locali di prora oppure, solo se adeguatamente addestrati alle immersioni in ambienti ostruiti, si accede agli ambienti sottostanti, facendo molta attenzione a impigliamenti e al limo depositato sul fondo.
Addentrandosi la luminosità diminuisce sensibilmente anche se da una paratia filtra della luce: è l’apertura della falla prodotta dalla collisione della nave con l’ordigno che provocò il naufragio. Lo squarcio è ampio, ricoperto da lenze e reti pericolose, mentre dai bordi sfrangiati e ricurvi si intuisce la violenza dell’esplosione. Ritorniamo sul piano di coperta del relitto e ammiriamo come siano cresciute colonie di gorgonie bianche, la cui colorazione contrasta fortemente con quella verdastra dell’acqua. Il castello superiore, aggredito dall’usura del mare, è aperto, privo della copertura e delle paratie; sono presenti tutt’intorno ancora alcuni oblò e le porte di accesso ai locali interni. Sul ponte, due ampi boccaporti conducono alle stive. Vi entriamo e incontriamo stoviglie, piatti, posate, fanali di navigazione e altri oggetti.
All’interno di una delle stive, ci imbattiamo con le pale di un elica che imponenti e suggestive, fuoriescono dalla sabbia; probabilmente si tratta di un’elica di rispetto. Una volta fuoriusciti dalle stive, continuiamo la nostra immersione verso poppa, incontrando un argano, completamente avvolto dalle reti, che serviva a far funzionare l’albero di caricamento di poppa, abbattuto dal degrado del tempo o rimosso, poiché pericoloso per la navigazione. Si raggiunge così il ponte di coperta poppiero dove sono presenti i bracci che venivano utilizzati per alare e mettere in mare le lance di salvataggio. Sotto lo scafo si arriva al gruppo elica e timone, ma spesso in questo punto la visibilità si riduce in maniera sensibile a causa del fondale fangoso. Alzando lo sguardo, ad un occhio attento, non potrà sfuggire la scritta del nome: Andrássy.