Autore: Claudio Di Manao
Gino, il piccolo frogfish sull’acropora di
Jackson Reef era diventato una celebrità. Come molti frogfish, una specie di
rana pescatrice, era piuttosto stanziale e il suo universo conosciuto non andava
va oltre il bordo dell’ombrello di una certa acropora. Era giallo, Gino, per
questo un sacco di subacquei e divemaster distratti l’avevano preso per un
gobide e in molti avevano tirato dritto. Deve essere stato qualche fotografo,
magari in fase di elaborazione delle foto ad aver notato che quel pesciolino
giallo non aveva la bocca ben pronunciata come quella del gobide, ma che invece
era proprio difficile capire dove cominciava, ‘sta bocca, dove cominciava tutto
il pesce. Simile a una piccola piramide dall’aspetto gommoso, la più grande
abilità del frogfish è far finta di niente. E ci riesce così bene che fa finta
di non essere un pesce, al massimo una spugna, o uno strano soldatino di
plastica raffigurante un mostriciattolo spaziale, anche se di quelli friendly,
quelli per bambini.
In un attimo il reef si trasforma in un
palcoscenico irto di riflettori e di occhi di bue. La folla acclamava lui, Gino,
il pesce più famoso di Sharm, il più cercato, il più amato, il più fotografato.
Centinaia di facce al giorno lo scrutavano attraverso attrezzi trasparenti
contenenti dell’aria, lampi, ronzii, scatti luci forti e risatine erano il
prezzo della celebrità.
“Secondo me un pesce abituato a nascondersi non
è cos’ contento di tutta questa notorietà. Poveraccio non può neanche nuotare!
La natura l’ha dotato di pinne che sembrano zampotte monche… sta lì a beccare il
calore e l’abbaglio di mille flash, un sacco di gente che secondo me gli
spaventa anche il cibo.” Disse Rubé.
Infatti Gino se ne andò. Un giorno se ne andò
davvero lasciandoci tutti di sasso. Lo cercarono sotto l’acropora, lo cercarono
presso le spugne ed i coralli duri vicini, ma non si trovava. Setacciarono
quella piccola porzione di reef al microscopio, ma Gino non si trovava più.
Tutti iniziarono ad elencare i predatori di Gino, tutti divennero esperti, ma
intanto Gino non c’era più. E se non l’avevano mangiato, con quelle pinne che
non sono pinne non poteva andare lontano.
“Che sia sprofondato sul sabbione sotto le
shamandure? Basta una pinnata: Gino vola via, la corrente lo porta giù a
sessanta metri…”
“Andiamo!”
Tutte le scuse son buone, per andar profondi,
ma Gino non c’era. Neanche lì. La tristezza per la sua scomparsa attraversò i
cuori, le parole ed i pensieri dello Staff di tutta Sharm. E un sacco di
fotografi che s’erano presentati a Sharm apposta rimasero un po’ delusi e gli
toccò di andare A Taba, molto molto più a nord, praticamente in Israele, dove ce
n’erano di più e li trovavi sicuramente. Avevamo tutti smesso di parlarne quando
Mary Poppins, la divemaster del Blu Blu Divers davanti a una birra mi fa:
“C’è un altro frogfish nell’house-reef del
nostro diving.”
“Accidenti, è stagione allora! Di che colore è questo?”
“E’ giallo.”
“Ma anche l’altro era giallo!”
“Sarà che qui vengono bene quelli gialli!” disse Mary Poppins ridendo.
Era più forte di me, dovevo curiosare. Era lì
su un’ acropora, pochi metri sotto gente che nuotava, un punto ben
rintracciabile. E assomigliava a Gino da morire. Come aveva fatto ad arrivare
fin lì? Era una distanza enorme, per un frogfish, una distanza da qui a
Betelgeuse a piedi per un uomo.
“Seee… ancora credi alle favole te? Ce l’ha messo lui, il proprietario del
diving!” disse Rubé stappando l’ennesima Sakkara dopo aver ascoltato il mio
racconto.
“Ma no, ma figurati! Michael è una persona serissima, irreprensibile. E’ lo
svizzero più svizzero di Sharm! Non lo farebbe mai.”
“Però ha messo nel suo sito: ‘Resident frogfish at the house-reef, cioè: a
‘bbelli fotografi! Venite giù che qua ce sta er frogghefisce!”
“E secondo te come ce l’ha portato?”
“Basta un barattolo di vetro pieno d’acqua di
mare.”
Decisi comunque di investigare. Con Mary
Poppins.
“Allora, è quello là o no?”
“Non lo so, ma fatto un discorso strano. Spera che nessuno lo porti via da lì.
Dice che l’altro è scappato perché c’era troppa gente che lo disturbava i flash
che lo surriscaldavano. Invece qui al nostro house-reef ci sono pochi subacquei
per volta, non più di dieci, quindici al giorno, e non tutti vanno a disturbare
il frogfish.
“Un rapimento a fin di bene?”
“Qui ci vengono in pochi…” buttiamo giù
l’ennesima birra. Gino è vivo. Evviva Gino.
Questo racconto è un estratto dal libro SUBACQUEI CATTIVI
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