Autore: Monica Ledda
Quella volta che…
Quella volta che…
Certo c’è quella volta alle Tremiti, agli archi in cui quelle Paramuricee
Clavate bicolore oltre i 50 metri…
Oppure quella volta in cui guidai quel gruppo sul Kent, la nave dei Corani…
Oppure perché no, quella volta a cercare il Dugongo in Mar Rosso..
Bhè ma perché il Tigullio?
Ah no, quella volta in cui al lago…
Quella volta
Fino a qualche anno fa ero molto gelosa, o forse è più corretto dire che ero
timorosa, di raccontare le emozioni, intendo quelle più profonde e qui il
termine è proprio appropriato, che sento e provo quando sono nell’elemento
Acqua.
E questo perché a volte quello che provi e senti è come un confine sottile tra
la realtà e la propria parte più interiore, fino al limite della spiritualità,
della conoscenza e della scoperta che solo i grandi incontri della vita sanno
dare.
E come fare allora a spiegare a raccontare di quella volta che..
Poi mi capitò di leggere da zero a meno 100 e scoprì una persona che non aveva
nessun timore di raccontarsi, nel profondo, nell’intimo di un’immersione.
E trovi parole simili a quelle che avevo in mente, emozioni riflesse come la
luce del sole in una piccola pozza d’estate.
Ecco perché dopo tanto pensare, ho deciso di raccontare non di un’immersione da
far invidia, con colori sfolgoranti e pesci enormi, non di una immersione
tecnica da affrontate con la massima lucidità e con mille soddisfazioni, ma di
una immersione semplice.
Perché se fatte col cuore, nessuna immersione è banale, nessuna da dimenticare,
nessuna che non ti abbia lasciato qualcosa.
Il Mare, l’Acqua, è così. Ogni immersione è incredibile.
Ma veniamo ai fatti o sembrerà che non ci sia nulla da raccontare! Anche se
forse di fatti ce ne sono pochi, c’è molta più emozione.
Mi trovavo alle Tremiti, d’estate e stavo facendo un’immersione più bella
dell’altra.
Ero con due amici, alloggiavamo in un piccolo appartamento, e dire appartamento
era fargli un complimento, verso l’interno dell’isola principale, quella di San
Domino, dove inizia il bosco più fitto. Di notte si sentivano le Berte Maggiori
o come si chiamano sulle Tremiti Diomedee e per me, che già in passato avevo
avuto modo di incontrarle, sempre su di una piccola e splendida isola del Mare
Nostrum, Linosa, era divertente vedere le facce a metà tra l’incuriosito e
l’intimorito dei miei amici, che per la prima volta ne ascoltavano il verso, da
cui oltretutto prendono il nome.
La sera la passavamo nel giardino, con una birra in mano ed io ero sempre la
prima ad andare a dormire, mentre i miei amici continuavano la serata fino a
notte fonda, per non dire fino al mattino, a bere e divertirsi. Già capivo che
le mie vacanze erano e sarebbero state anche in futuro diverse. E non perché non
mi piacesse divertirmi. Semplicemente perché io d’estate facevo immersioni, o
almeno in quel periodo le concentravo particolarmente durante la bella stagione.
Non potevo ubriacarmi, fare l’alba, arrivare stanca al mattino, al mattino c’era
da alzarsi presto per andare al diving!
Durante l’anno aspettavo con ansia le vacanze, avevo un lavoro che non mi
piaceva, in una azienda che non mi piaceva e con colleghi che non mi piacevano.
Ah sì, anche il mia capo non mi piaceva. E il piacere era reciproco.
Da pochi anni vivevo per conto mio, da sola e non era facile pagare mutuo,
bollette, vivere e cercare di non rinunciare anche agli interessi che avevo.
Insomma racconto questo solo per cercare di far capire che non ero in un periodo
molto felice, non ero soddisfatta, stavo sempre rincorrendo qualcuno, qualcosa e
l’impressione di non raggiungerlo era sempre una costante.
Quella mattina con noi al diving c’era un ragazzo paraplegico.
Al momento di iniziare a cambiarci, lui prese la sua roba, la sua muta e iniziò
a vestirsi esattamente come tutti noi. Era caldo e le mute ti si appiccicavano
addosso come colla.
La sua muta aveva molte cerniere in più che gli permettevano una vestizione più
comoda.
Dopo aver indossato la muta, si percorreva quella strada in discesa che se non
stavi attento te la facevi rotolando, e si arrivava al molo dove c’era quella
strana imbarcazione che usava il diving che solo in quel momento si mostrò per
quella che era la sua vera utilità, far salire una carrozzina con tutta
comodità!!
La barca non aveva praticamente bordi, ci salivi e ti sedevi di lato, insomma
sembrava una chiatta con sopra gente accaldata vestita di nero e con tante
bombole strette strette insieme!
In realtà era stata fatta così per scelta, per agevolare la salita di chi ha
delle abilità diverse dal comune.
Durante la navigazione non badai tanto a lui, ero persa nei miei pensieri,
catastrofici, desolati, un po’ tristi, nel continuo rimuginare cose fatte e non
fatte della mia vita.
Poi ci immergemmo e qualcosa nella mia prospettiva cambiò. Non subito, ma piano
piano, mentre guardavo quel ragazzo senza pinne che mi stava davanti e che in
acqua non portava con sé la carrozzina, ma solo sé stesso.
In Acqua il peso non esiste, in Acqua le barriere non esistono, in Acqua il
silenzio è uguale per tutti.
Io ero lì a cruciarmi per cose fatte, non fatte, che avrei potuto fare o non
fare e quel ragazzo “semplicemente” aveva forse imparato solo a vivere.
E l’Acqua gli dava o gli ridava la sua giusta dimensione.
E ridava dimensione anche a me, così presa a volte dal mio egocentrismo.
Mi ridava la giusta prospettiva e mi ricordo che mi sentii così piccola.
Capì inoltre di quanto davvero il Mare possa concedere a chi gli si avvicina con
rispetto.
A me concesse una prospettiva che forse in quel momento mi mancava, ma c’era a
chi concedeva una libertà che solo in Acqua si prova e si ritrova.
Uscita dall’acqua mi misi affianco a lui e parlammo tutto il tempo. Lo tartassai
di domande, mi raccontò un sacco di cose e io non avevo timore a chiedergliele e
lui non ebbe remore nel raccontarmele.
Mi disse dove aveva preso il brevetto, in che modo e mi suggerì di contattarli,
di fare il corso come accompagnatore per persone diversamente abili.
Rimasi affascinata.
Il corso non lo feci subito, aspettai ancora del tempo, ma quando l’ho fatto è
stata una enorme soddisfazione.
Riuscì poi a cambiare lavoro, a sistemarmi, e a trovare un po’ di tranquillità.
Il corso lo feci allora. Poco dopo aver cambiato lavoro scoprì che chi da anni
insegnava alle persone diversamente abili ad andare in Acqua era raggiungibile a
piedi dal mio ufficio e allora fu’ facile prendere informazioni e fare il corso.
Poi ci sarebbero tante altre cose da raccontare dopo quella volta, ma questo è
il racconto di cosa accadde quella volta che e non di cosa accadde quella volta
poi.
Quella volta che, sott’Acqua, come spesso solo il Mare sa fare, la causalità di
un incontro si rilevò unica e straordinaria.
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