15 giugno: sembra che quest’anno non voglia proprio arrivare l’estate. Anche fra qualche sprazzo di caldo che si sente a tratti, il fenomeno delle precipitazioni non sembra dare tregua: piove e nevica in alta quota su tutto l’arco alpino ormai quasi ininterrottamente dall’avvio della stagione invernale.
Vuoi vedere questo vecchio mondo s’è scordato di girare ed ha deciso di non alternare più i cicli stagionali? L’era glaciale torna?
Non so. In attesa di risolvere questi enigmi ecologico- atmosferici, mi dedico a ciò che mi interessa: la scoperta subacquea. Si tratta di andare a vedere gli icebergs sulle Alpi in un laghetto alpino.
Messomi d’accordo con l’inseparabile Mario e con Davidino, mio fido e promettente giovane scudiero, decidiamo di partire per la Svizzera per l’incontro con Matthias, nostra guida scout locale.
Mentre viaggiamo ci raggiunge una sua spiacente telefonata: la strada unica che conduce al laghetto da noi designato è stata chiusa nella notte per frane, o per impraticabilità dovuta a neve di nuovo precipitata. Il 15 giugno??? Ebbene sì. Arrivati ad Ascona al nostro incontro presso la pompa di rifornimento dell’Agip, decidiamo di ripiegare (se così si può dire) per la prossima Val Verzasca, pur non avendo la certezza di trovarla in quiete. Ci ero già stato con lui l’anno passato per realizzare un servizio per la rivista svizzera degli sports subacquei; ci ritorno sempre e comunque volentieri, oggi compreso e stante la cocente delusione per il contrattempo occorso.
Tocca andar su in valle e valutar bene il flusso delle acque però: mi avevano detto infatti, all’inizio dell’ormai lontano 1997, che fosse pericolosa e che ci fosse già morta della gente nei pozzi di quel fiume, che poteva divenire anche molto impetuoso trascinando così a fondo valle l’imprudente subacqueo che non lo avesse rispettato.
A volte penso a come siano in grado gli animali e, nello specifico, i pesci, di adattarsi a climi ed ambienti davvero estremi ed opposti: se si guarda una foto della Verzasca in estate infatti e la si confronta poi con una scattata dopo la classica “buzza” o tempesta da pioggia, si comprendere come uno di quegli esseri che ci vivono dentro abbia, nel corso della selezione naturale dei millenni, maturato la capacità di passare dalla visibilità più cristallina al buio assoluto determinato dal fango che si riversa nel fiume dai pendii delle ripide montagne circostanti.
La Val Verzasca ha uno sviluppo di 25 chilometri da sud, ove c’è il Lago Maggiore, verso nord, dove termina con il comune di Sonogno ed è l’unica valle del Canton Ticino a non comprendere un confine di Stato. Per la sua difficoltà di transito ed accesso non fu mai considerata rilevante sul piano politico e per questo fu considerata uno dei luoghi che abbia mantenuto meglio le proprie caratteristiche.
Storicamente i primi insediamenti presso la foce della Verzasca son datati 1800 a.C. circa: il Sass di Strioi” (o pietra delle streghe) infatti, ritrovato a Berzona, sarebbe del VII secolo a.C. e porta sulla propria superficie coppelle e croci, oltre che due forme di piede. E’ del 1.234 la prima testimonianza scritta di questa valle; la comunità apparteneva alla Pieve di Locarno.
Già dalla fine del XV secolo il territorio era governato da una comunità politica denominata patriziato: i patrizi erano i proprietari ereditari delle terre che venivano però sfruttate collettivamente. Nel 1608 gli Svizzeri confermarono le franchigie alla comunità locale. Con vicende alterne sin dal 1.803 la valle formò un circolo autonomo con capoluogo Lavertezzo. Sul piano religioso la valle appartenne alla diocesi di S. Vittore a Locarno fino al XIII secolo; del ‘Duecento la chiesa di Vogorno.
Sotto il profilo morfologico, al Valle ha il classico profilo a “V” delle valli fluviali e non quello a “U” di quelle di origine glaciale: nel periodo della glaciazione infatti la trasversale valle del Ticino era la sede di un grande ghiacciaio che bloccava le nevi eterne della Verzasca, che, accumulandosi, causavano un fortissimo deflusso nei
periodi dello scioglimento. Oggi l’aspetto della Verzasca rispecchia quegli antichissimi fenomeni geologici.
Il nostro piccolo gruppetto esplorativo, forte della competente professionalità ed esperienza di Matthias Blaettler, notissimo foto sub di zona, ha così deciso di tentar l’impossibile: compiere la
documentazione di una Val Verzasca subacquea ai limiti del procedibile. La corrente, post congiunta valutazione, è ai limiti del possibile e le ns attrezzature van riviste al minuto, poiché erano state approntate per un lago alpino oltre i duemila metri.
A causa della diversa altitudine in valle (si parte infatti dai 500 m.s.l.m. sino ai circa 2.400 delle cime più alte), le su aree geografiche hanno climi molto differenti: si possono trovare infatti bei vigneti e boschi di castagne, così come alberi di palma. Demograficamente oggi meno del 20% degli abitanti dei comuni più popolosi (Lavertezzo e Gerra Verzasca) risiede effettivamente in valle; l’85% della popolazione poi risulta di madrelingua italiana, mentre il restante 15% è di lingua tedesca.
L’economia della vale fu sempre basata sulla poca agricoltura praticabile e sulla pastorizia praticate in forma autarchica. In Verzasca poi si allevò da sempre la tipica razza di Capra Nera ben adattatasi alla neve locale. A partire del 1.600 iniziarono le migrazioni stagionali degli abitanti verso nazioni vicine che meglio lo retribuivano: uomini di ogni censo vennero arruolati come mercenari al servizio di Signori stranieri.
Alla fine del 1.800 furono costruite le strade carrozzabili creando così la possibilità di sfruttamento delle risorse naturali.: nel 1.873 infatti la strada giunse a Sonogno ed iniziò così lo sfruttamento del granito presso le ave di Brione. Il granito fece da impulso per la costruzione dei frantoi di olio da noci e di una segheria , oltre che di alcuni pestatoi per la battitura della canapa e del lino, oltre che di alcuni molini per cereali.
Si arrivò così all’era dello sviluppo industriale, che non vide direttamente coinvolta la Val Verzasca ma che, anzi, intensificò la migrazione dei suoi abitanti: da qui la nascita del famoso racconto dei “Fratelli Neri” di Lisa Tetzer, che racconta la tragica storia dei bambini Ticinesi che furono venduti come spazzacamini e trattati come schiavi da gente senza scrupoli di Milano. Se è vero, come è vero, che siamo costantemente impegnati nella esplorazione di siti d’immersione particolari e degni di una qualche specificità, lo è altrettanto che parte integrante del sistema di conoscenza dei luoghi e dei siti medesimi è la loro storia e la loro antropizzazione. Ecco perché val la pena fare anche qualche considerazione che non rivolge propriamente l’attenzione alla sola tecnica di immersione.
Per quanto riguarda quest’ultima va detto che, pur nel rispetto delle scelte di tutti (che sono sempre a carattere personale), optiamo per una breve sommozzata con Matthias, il più possibile agile e con attrezzatura minimalista, pur in considerazione della sicurezza generale occorrente nel teatro della nostra azione.
La scelta dell’immersione cade sul Pozzo della Misura, con arresto della nostra auto all’altezza della colonna SOS sulla strada che percorre la Verzasca dopo la famosa diga del lago di Vogorno, una discesa lungo un sentiero tracciato nel bosco ed ingresso finale in acqua dall’unico punto disponibile in riva alla spiaggetta fluviale, che abbiamo provveduto a mettere in sicurezza con la cima, che mi porto sempre dietro per emergenze come questa, annodata allo spit sulla roccia che qualche anima pia ci ha fatto ritrovare da chissà quando.
Mi cambio indossando la muta stagna ed il bibombola inadatto ai movimenti fluviali, ma che è parte di ciò che ci eravamo portati per andar nel laghetto alpino; il rebreather ovviamente lo lascio sul sedile della macchina. Io sono un sommozzatore di quelli che pensano che l’operatore subacqueo debba sapersi adattare ad ogni differente esigenza dello specchio d’acqua in cui si va ad immergere. Qui non servirebbero ausili pesanti e ridondanti: siamo in dieci metri di un’acqua così trasparente da superare le luminose visioni tropicali ed avvicinarsi alla purezza assoluta di quella islandese.
Matthias ormai da tempo fa fotografie da dentro l’acqua con soggetti inquadrati anche fuori da essa, tanto per rendere l’idea! Scivolo dentro il pozzo quindi dopo che la mia guida ha sistemato i necessari e richiesti sacchetti di plastica colorati che ci faranno da segnale-guida al temine dell’immersione.
Il subacqueo che s’immerge in queste acque infatti, spesso incantato e rapito dalla purezza dell’acqua e dai disegni quasi surreali dei minerali sulle rocce levigate, finisce per dimenticarsi dove sia entrato e dove quindi debba uscire, finendo per mettersi in seri guai qualora si facesse trascinare dalla corrente a carattere torrentizio del fiume. Purtroppo questa distrazione fatale, negli anni passati, ha causato anche alcuni gravi incidenti che vanno relazionati per dovere di cronaca. La nostra immersione ora è pianificata tenendo conto di questo potenziale pericolo, tanto insidioso quanto facile da evitare stando soltanto attenti e nuotando sul fondo del letto del fiume ed accostati alle pareti rocciose laterali.
Le anse ed i singoli aspetti disegnati dalla acqua che scorrono sulle rocce di gneiss policiclici, granitici ed a bande, che sembrano quasi lavorazioni di quella famosa cioccolata svizzera, sono da brivido.
Il foto amatore anche meno esperto qui dentro impazzisce di gioia e si celebra; il foto sub esperto ha materiale per sbizzarrirsi negli scatti grandangolari più estremi.
In effetti la luce dei fari serve solo a tratti, quando precipitiamo sul fondo dei pozzi d’acqua ed andiamo a cercare i pochi pesci visibili ben nascosti sotto le rocce.
L’ingresso nell’acqua piana ci mette però subito nella condizione di pensar bene al nostro gesto: siamo letteralmente sospinti indietro dalla potenza del flusso d’acqua.
Per poter procedere tocca appiattirsi sul fondo e zig-zaggare tra le anse del fiume in sequenza; occorrerebbe esser vestiti solo di una muta subacquea umida, con mono-bombola da dieci litri. Così non è per me: ho dovuto riadattare la configurazione con quel che c’era ed anche Mario e Davidino fanno fatica a star dietro alla nostra ultra esperta guida.
Dopo qualche minuto di immersione tribolata e faticosa e con progressione minima rispetto alle nostre aspettative, decidiamo di rientrare: persino il corpo senza vita di una salamandra giallo-nera precipitata, o trascinata nella correntedall’impeto delle acque, suggerisce di lasciar perdere. Chi non ha saputo prendere questa decisione qui dentro in eguali condizioni ambientali, non lo ha potuto raccontare purtroppo. Non vogliamo far parte di questo novero. A malincuore Matthias ci guida sino alla sistemazione dei due sacchetti bianco e rosso che ha posizionato sul fondo del fiume verde.
Rinunciamo a compiere tutto il giro anche perché oggi la qualità di queste famose acque non è conforme alla sua fama e la qualità del servizio ne risentirebbe, pur soddisfatti del girato foto-video sin qui realizzato.
La giornata si chiude con un ottimo pranzetto offerta dalla stupenda ospitalità del magnetico Matthias e della sua famiglia, che hanno uno di quei vecchi rustici di zona con i tetti in pietra in mezzo ad un bosco incantato. A seguire un giretto nel centro del paese, tra le vecchie case di un tempo, oggi tutte ristrutturate, o in ristrutturazione, ma che conservano le tracce di quella vita vissuta in epoche in cui la Valle offriva ben poco e la gente migrava in cerca di occupazione.
Magica Valle, da ritornarci presto per le prossime esplorazioni, anche impegnative e di carattere alpinistico.
Altre foto
Autore testo: Pierpaolo Montali
Autore foto: Mario Spagnoletti
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