L’HMHS Britannic, nave gemella del Titanic è stata adibita a nave ospedale durante la Prima Guerra Mondiale per conto della Marina Britannica. Il Transatlatico è affondato nel 1916 al largo di Kea, isola delle Cicladi, in Grecia.
Il relitto è stato scoperto dall’esploratore francese Jacques Y. Cousteau nel 1975, da allora è divenuto uno dei relitti più significativi e importanti all’interno del panorama subacqueo tecnico internazionale tanto da essere considerato l’Everest del continente sommerso.
Il Britannic giace a una profondità di -118m in un braccio di mare attraversato spesso da forti correnti che complicano ulteriormente le immersioni. Ottenere i permessi esplorativi dal Ministero Archeologico Greco per fare immersioni è una pratica lunga e a ostacoli. Quest’anno una spedizione internazionale composta da 7 subacquei di altissimo livello è riuscita a immergersi sul relitto.
Andrea “Murdock” Alpini (classe 1985), istruttore e subacqueo tecnico varesotto è stato parte della Spedizione, l’unico a immergersi con un sistema respiratorio a circuito aperto, le tradizionali bombole, anziché attraverso l’uso di un rebreather, macchina a circuito chiuso con recupero delle miscele respirate, sistema utilizzato dagli altri sei membri della Spedizione. Le immersioni hanno avuto tempi esplorativi oltre i cento metri di trenta minuti, esposizione alla profondità che ha poi richiesto quasi tre ore di risalita per tornare alla superficie.
Il giovane subacqueo ha preparato questa spedizione negli anni precedenti e soprattutto con duri allenamenti negli ultimi mesi che hanno anticipato la partenza. La Spedizione in Grecia è durata circa venti giorni, durante questo periodo sono state effettuate ben tre immersioni sul relitto del Britannic. Nell’anno 2018 Andrea “Murdock” Alpini e compagni di team sono stati la sola missione che è riuscita a portare a termine l’obiettivo.
“Se è vero che il relitto del Britannic rappresenta l’Everest della subacquea e quindi un traguardo per molti, è anche si vero che il Monte Everest è l’obiettivo ma anche il punto di partenza degli alpinisti che poi scalano gli Ottomila. Io ho inteso così la mia partecipazione alla Britannic Expedition 2018” così ha dichiarato Andrea “Murdock” Alpini al rientro in Italia.
Seguono alcune pagine scritte durante la spedizione.
03/10/2018 – Giorno 12
Britannic Expedition
Prima che il gallo canti sono sveglio e affacciato alla finestra per verificare che la calma di vento sia ancora in essere come previsto. Così è anche oggi, il secondo giorno di tempo clemente consecutivo. L’uscita è prevista a metà mattinata così che le condizioni si stabilizzino ulteriormente, ma nonostante tutto scendo a controllare e analizzare i gas per verificare che tutto proceda secondo pianificazione.
Dopo aver montato tutte le attrezzature facciamo qualche piccola correzione, oggi ho deciso con il mio compagno d’immersione di scendere fino al punto in cui il Britannic appoggia sulla sabbia e poi percorrere tutto il ponte barche a quote di cinque metri in cinque metri dal fondo di -118m fino alla murata del cala scialuppe di sinistra a quota -82m. Il tempo di fondo programmato per fare tutto questo è di 30minuti, in circuito aperto mi aspetto qualche decina di bar in più di consumo per oggi data la permanenza a lungo oltre i -100m, in più c’è sempre la corrente da calcolare.
Riponiamo tutto in barca con massima cura, ciascuno inizia la vestizione e poi si prosegue con i controlli a secco. Trascorrono circa quindici minuti di navigazione e siamo al pedagno, sul punto di discesa. La corrente di superficie oggi proviene dritta da nord, è sostenuta e così sarà una volta che siamo in acqua.
06/10/2018 – Giorno 15
Britannic Expedition
Lascio scorrere oblò e finestrature per alcuni minuti di navigazione a quota meno novanta metri. Arrivo al ponte di comando, dove è finita l’immersione di ieri, oggi inizia da qui.
La spaccatura causata dalla mina è enorme. Genera una massa buia ma pacata entro cui si contorcono le possenti lamiere del gigante. In corrispondenza della murata di sinistra la fessura è di circa quindici metri mentre scendendo verso il fondo si apre almeno del doppio se non di più. Tengo la battagliola di sinistra sotto di me come riferimento visivo mentre approcio delicatamente verso il tagliamare, lì dove si afflosciato nello schianto sul fondo. L’estrema parte prodiera infatti si è incassata di alcuni metri in seguito all’urto, la battagliola è divelta verso l’esterno e con lo sguardo ti impone una scelta. Proseguire sulla batimetrica del fondo a – 118m e godersi lo scenario dal basso verso l’alto oppure svoltare a destra e andare a vedere la possente ancora dell’ammiragliato che ancora giace in posizione, riposta sulla murata di sinistra. Oggi ho il tempo di fare entrambe le cose, ho pianificato a lungo questa esplorazione della prua del Britannic, ho calcolato consumi e distanze in base agli elementi da vedere.
L’ancora è enorme, alta non meno di tre metri e mezzo per altrettanti di larghezza. L’acqua è così trasparente e la sabbia del fondo chiara, la giusta corrente che pulisce che sembra di essere in acqua dolce. Gli occhi vedono cose inimmaginabili, dettagli finissimi come le nervature e modanature dell’acciaio di cui è composta l’ancora. Qui ne ostriche ne spugne hanno colonizzato nulla. Compare il nudo acciaio rivestito dalla patina del tempo.
Il mio stato d’animo diventa immenso, come quello che i miei occhi osservano. La respirazione è così cadenzata che mi sorprendo. Sono sicuro che la frequenza cardiaca si sarà abbassata notevolmente, riduco gli sforzi di spostamento, qualche pinneggiata, un colpo di scooter, ma per lo più ruoto su me stesso per godermi e immergermi appieno nel paesaggio in cui mi trovo. Guardo spesso il manometro, sono comunque ad una profondità che varia tra i – 118m e i – 110m, sono vigile come non mai, eppure mi stupisco di me stesso nel vedere la lancetta che si muove pochissimo, ancor meno del solito.
Quando sono partito per questa Spedizione mi sono sempre domandato perché io partecipassi e sopratutto quali fossero le motivazioni che spingevano un gruppo di persone a impegnare il primo tempo, le proprie risorse e ad un crescente stress psico/fisico durante i giorni di permanenza a Kea.
Avrei voluto domandare a ciascuno “perché ti immergi sul Britannic?”, forse per orgoglio personale o perché é un relitto famoso dato il suo trascorso oppure perché rappresentava il sogno di una vita.
Questa domanda laggiù non l’ho mai fatta. Ho cercato di capire attraverso la loro attitudine cosa si aspettassero.
Ho visto Gino D’Addedda inginocchiarsi sul ponte della nostra barca supporto appena tornato in superficie dopo la prima immersione, ho visto Alexandre Jean Bhon essere soddisfatto delle proprie fotografie di luoghi visti da pochi. Ho visto Aldo Ferrucci contento di avercela fatta per il secondo anno consecutivo, ho visto John Fang pacato come tutti gli orientali senza scomporsi mai anche quando il tempo é stato inclemente per giorni. Ho visto uscire dall’acqua Stefano Degli Esposti con un sorriso e una cadenza tipica bolognese, ho visto gli occhi di Armando Frugatta Ando prima, durante e dopo essersi immerso con me, parlavano più di quanto dicessero le sue labbra.
Ho visto George Vandoros lavorare duramente per mandarmi in acqua in sicurezza mentre ero carico di stage ed equipaggiamento negli istanti precedenti al “one, two, three… GOOO!!” che antecedeva il passo del gigante. Ho visto Tzavelakos Yannis soddisfatto alzarmi il braccio con il pugno chiuso dopo essere tornato in superficie in seguito alla prima immersione, un po’ di stress se ne era andato anche per lui.
Infine ho visto me.
Felice e teso, sotto pressione. A volte impulsivo altre silenzioso.
Ora di ritorno verso l’Italia so di essermi dato risposta alla domanda “Perché ti immergi sul Britannic?”. Il relitto per me era un mezzo, non il fine. Macchiavellicamente si potrebbe dire che il fine ha giustificato i mezzi.
La foto di apertura è di Armando Frugatta Ando