Autore testo: Cristiana Rollino
Autore foto: Attilio Eusebio
Raccontava agli amici: “Lei non è come le altre donne: non le piacciono i
pesci, gli animali… A lei piacciono i relitti.” Questa era, in sintesi, la
mia personalità secondo Attilio, una psicologia pseudomaschile. Bollata come
maschio mancato…
Comunque i relitti mi piacciono davvero, perché rappresentano la tranquilla e
inesorabile riappropriazione da parte della natura di tutto quello che la
contamina in modo anarchico.
Talvolta adagiati sul fondo, quieti, immemori dell’evento drammatico che li ha
fatti affondare, talvolta conferma tangibile della realtà della guerra, quella
che nei documentari sembra appartenere a un altro mondo: forme distorte dagli
incendi che si sono sviluppati a bordo o dallo scoppio di bombe o siluri, in
precario equilibrio o divisi in tronconi. Tutti colonizzati da creature marine
ignare della storia della loro dimora. Il fascino di un relitto è innegabile!
Alcuni relitti giacciono a profondità raggiungibile da qualunque subacqueo.
Molti sono a profondità superiore a 40 metri e possono essere raggiunti solo in
configurazione tecnica.
Fu proprio la curiosità di osservare i relitti che mi spinse a frequentare un
corso “Decompression” e poi uno di “Trimix normossico” della TDI. Obiettivo: i
relitti al sud della Sardegna, nel Mar Mediterraneo.
Questo racconto è dunque anche la storia del mio avvicinamento alla subacquea
tecnica, della diffidenza iniziale nei confronti di miscele di gas diverse
dall’aria, del bibombola, del trasporto di bombole soprannumerarie e dei piani
decompressivi ragionati a tavolino.
La tappa più semplice fu l’aggiunta delle bombole di fase: nessun problema, pur
di poterle agganciare in acqua.
Iniziò invece l’epopea del bibombola (10+10 litri): il problema non era tanto il
peso (avevo provato a salire e scendere ripetutamente da un gradino alto: ci
riuscivo come gli altri), ma l’assetto. Malgrado ripetute modificazioni della
configurazione, precipitavo di testa; la continua correzione con le pinne e i
muscoli dorsali mi faceva andare in affanno e poi in narcosi. Gli altri
subacquei mi guardavano con sussiego, ma anche da un’altezza (e lunghezza di
gambe) ben superiore alla mia. Infine un’anima empatica, seppur virtuale, su un
forum subacqueo mi suggerì di accorciare il sottocavallo del jacket e aggiungere
un tail-weight. Così con l’aggiunta di un 1.5 kg di piombo adattato al bibo e
con ostinata testardaggine risolsi anche il problema dell’assetto.
Con il tempo ho scoperto che spesso donne della mia taglia (50 kg, 160 cm di
altezza) trovano difficile l‘adattamento al bibo 10+10 l(fate tesoro della mia
esperienza senza farvi sopraffare dal mondo maschilista!).
Ora il bibo è un feticcio: regalatomi da una amica malata, racchiude in sé la
responsabilità dell’immersione: amico nelle giornate buone, destinatario di
anatemi in quelle storte.
Il bacino del Mediterraneo è stato ambiente di scontro durante la seconda guerra
mondiale tra la Regia Marina Italiana, supportata da altre marine dell’Asse, e
la British Royal Navy, supportata da marine Alleate. Al sud della Sardegna,
vicino a Villasimius, si trovano alcuni relitti della seconda guerra mondiale
molto noti ai subacquei che vengono a visitarli da ogni stato europeo.
Come noi, molti si appoggiano al Diving “Pro Dive” di Stefano e Susanna, centro
formatore di uso rebreather, in grado di fornire ricariche di Elio, Ossigeno e
soprattutto una competente guida, Stefano stesso, che conosce perfettamente
l’ambiente, che ha abilità tecnica unanimemente riconosciuta e un modo di fare
ironico e un po’ sornione, ma dolce e accomodante.
Il diving è situato a Villasimius, un paesino rinomato per le sue meravigliose
spiagge di sabbia finissima: la spiaggia del Simius e l’attigua spiaggia del
Giunco, dove una laguna salmastra ospita colonie di fenicotteri rosa.
Il 10 Aprile 1943 un convoglio di 3 navi partito da Cagliari fu silurato e
affondato da un sommergibile inglese: l’Entella, il Loredan e la nave cisterna
Isonzo sono ora siti di immersione molto famosi, talvolta spazzati da forti
correnti.
Il Loredan (-54/65) poggia sulla fiancata di babordo e i suoi ponti sono
ricoperti di meravigliose gorgonie gialle. E’ facilmente penetrabile e cela gran
vita tra le lamiere: cernie, musdee, gronghi e gamberi brulicanti.
Il grano dell’Isonzo
L’Isonzo (-43/57 m), affondata in soli 15 min, ha un cannone
(Fig.1) in perfetto stato di conservazione, che sembra ancora di guardia.
In tempo di guerra, oltre alle navi militari, molte altre navi venivano
destinate a scopi bellici, per garantire trasporto di viveri e militari. Uno di
questi è il cargo armato “Salpi”, a mio parere il relitto il più curioso della
zona. Anch’esso silurato da un sottomarino inglese il 9 Febbraio 1942 nelle
acque di Capo Ferrato, giace ad una profondità di -47/60 metri, separato in due
tronconi paralleli. La nostra immersione era stata pianificata con tempo di
fondo di 22 min a 58 m, in Trimix 18/40, decompressione con EAN50 ed EAN 99.
Il cannone del Salpi
Il cannone del Salpi
La discesa si effettua lungo la cima che giunge sulla parte
centrale della nave, disposta in assetto di navigazione. Sulla poppa è presente
un grosso cannone (Fig. 2, 3). Dal ponte (Fig. 4) si può penetrare all’interno
di due stive successive (Fig. 5). Una di queste ospita una santabarbara ben
conservata: i proiettili sono sistemati in bell’ordine, pronti all’utilizzo
(Fig. 6).
Anemoni gioiello che popolano il relitto del Salpi
Carriole sul Salpi
Ma la cosa straordinaria, quella che rimarrà nella mia
memoria, è il carico di grano sciolto, che riempie una stiva per lo spessore di
almeno un metro! (Fig 7) Il grano è tal quale si comprerebbe in un mercato: vi
si possono affondare le mani. E’ ricoperto da uno strato gelatinoso di circa 20
cm che galleggia al di sopra come una nuvola: si tratta forse di amido
rilasciato dal grano.
I proiettili nella santabarbara del Salpi
Ma perché il grano non è stato mangiato dai pesci? Forse non
ci sono pesci onnivori a quella profondità?, oppure i processi metabolici di
fermentazione sono molto rallentati o si tratta di altro fenomeno biologico?
Purtroppo questo aspetto non è stato studiato e una mia descrizione a biologi
marini non ha permesso loro di immaginare una spiegazione esauriente.
In un’altra stiva uno strato di paraffina di circa 4 cm galleggia contro il
soffitto. Probabilmente era usata per far luce. Stefano sosteneva che era
perfetta per la cerniera delle mute…. fine ingloriosa di un reperto storico.
Ero entusiasta delle emozioni che mi aveva dato questa immersione mi sentivo in
perfetta armonia con l’ambiente, l’assetto era corretto, la respirazione
controllata e nuotare verso la cima di risalita al termine del tempo programmato
quasi mi dispiaceva (Fig. 8).
Risalita verso la cima
Ma si sa: le emozioni speciali sono attimi, ricordi che la
nostra memoria deve registrare per sempre perché possano riempire il nostro
futuro.
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