Autore: Sergio Loppel
L’evoluzione, in ogni campo, ha portato molto spesso ad una trasformazione che ha mutato il dialogo di quell’idealismo “astratto” che è stato capace di modificare le scienze. E’ stato così per la letteratura, per la pittura, la musica, come per la fotografia.
La finalità dei risultati è scaturita spesso dalle motivazioni di un dialogo che non sempre ha saputo programmarsi percorrendo tratturi facili e ben definiti.
E’ bene che ciò sia accaduto perché solamente strade difficili, faticosamente percorse, possono portare alla difficile conoscenza di un traguardo.
Mi sembra che proprio la fotografia subacquea si stia degenerando nella motivazione troppo semplicistica, aiutata moltissimo dall’avvento digitale che avrebbe dovuto invece dare quella spinta emotiva dalla quale trarre suggerimenti nuovi di espressione. Badate bene, ho detto “espressione”, da non confondersi con “impressione”, termine dal quale oggi è praticamente impossibile scostarsi nell’uso corretto di ogni fotocamera.
Dunque FOTOGRAFARE.
Fotografare è come compiere un viaggio: un viaggio fugace che ci mette in comunicazione con le nostre capacità, delle quali, alle volte, non siamo neppure consapevoli.
Si scatta e poi, con calma, riguardando l’immagine spesso rimaniamo colpiti della realtà di ciò che ci circondava o di quella trasmessa dal soggetto ritratto.
Nella fotografia subacquea, l’accentuazione di impressionabilità, di stupore, di ammirazione per un ambiente così estroverso, è senza dubbio maggiore. Tanto maggiore, quanto più avremo le capacità per poterci immedesimare nel contesto generativo dell’immagine.
La fotografia che permette un’assoluta libertà espressiva, deve essere un’altrettanto libero punto di partenza che permetta di scandagliare la maniera di interpretare la realtà proposta dal fotografo.
E’ esattamente ciò che in pittura si chiama “ricerca dell’espressività”.
Io ho sempre considerato la fotografia una pura espressione artistica e, come tale permissiva di rappresentare attraverso una ricerca dell’autore proprio quella espressività interiore e originale che è l’impronta del suo lavoro.
Non c’è dubbio che è la luce la principale e insostituibile alchimia a permettere tutto ciò. La luce che genera il colore, che trasmigra in un’armonia vivente di toni.
Quei colori che non debbono servire a significare.
Debbono esprimere!
Espressionismo dunque.
Sicuramente un significato edonistico, ma certamente vicino a quella “Software Art” o più generalmente Net Art che comprende forme d’arte nate e cresciute sul web e che riguarda l’utilizzo del computer non come mezzo di diffusione dell’opera artistica, bensì quello di creazione artistica.
L’esperienza artistica è in continua evoluzione e spesso perde una sua connotazione nel tempo.
Per concretizzare questa esperienza, il fotografo ha bisogno dello spettatore, che ponendosi come variabile attiva del sistema, determina esso stesso il valore artistico dell’opera. Così l’opera può estendere i propri confini anche oltre quelli della percezione, offrendo allo spettatore immagini svincolate dai tradizionali campi percettivi e coinvolgendolo attraverso nuove esperienze sensoriali.
Certo, un ragionamento del genere esclude a priori la cosiddetta fotografia da “reportage”: una fotografia peraltro importantissima soprattutto per quanto riguarda la vettorialità dei giornali dedicati. Come questo, ad esempio, che ha una sua funzione propria: quella di informare con le immagini la realtà di un ambiente affascinante e ancora, in parte, poco conosciuto.
Ciò non toglie che un fotografo, nel corso della sua carriera voglia provare ad esprimersi in maniera più completa e sempre finalizzata a risultati che vadano aldilà di una semplice creatività.
Con le immagini di questo portfolio, tratte da una mia recente mostra tenuta a Trieste, ho voluto offrire un percorso visivo recuperando il valore della narrazione attraverso una fruizione digitale. Una fruizione che, come per le mostre, anche qui mira a connettere tra i loro contenuti espressi, le deduzioni del lettore.
Spero che le immagini presuppongano una duplice fruizione cognitiva che coinvolga due livelli: quello dell’immagine singola e quello dell’impatto complessivo.
Mi rendo conto che rendere fruibile la “trasmissione delle immagini” necessiterebbe molto più tempo, soprattutto per l’adeguamento del linguaggio ad una nuova realtà: quella dell’osservatore temporaneo e frettoloso, fermo magari a canoni più tradizionali.
Infatti la “mia fotografia” è una fotografia liberatasi dai vecchi canoni del riferimento costruttivo che la tenevano ancorata ad antiche sudditanze ormai prive, o quasi, di significato, ma ciò non toglie che il colore, libera profanazione della luce, liberato da ogni legame con i corpi non possa far apprezzare la sua trasposizione nelle forme.
E’ proprio questo il messaggio dell’espressionismo.
La fotografia digitale fa compiere al lettore un cammino sicuramente psicologico.
Il racconto svolge così il suo ruolo informativo, realizzando una comunicazione tra spettatore e fotografo.
L’esigenza di sintesi nei valori di questa panoramica fotografica, spero dunque, che non abbia penalizzato l’essenza del suo valore comunicativo.
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