Attacchi da squali: pubblicati i dati dell’International Shark Attack File per il 2017.
Le statistiche per l’anno da poco finito rientrano nella media, con 88 attacchi di squali non provocati all’uomo (o forse sarebbe meglio dire incidenti) e 5 casi mortali in tutto il mondo.
Come distribuzione geografica, gli Stati Uniti sono il territorio che conta il 60% degli incidenti catalogati, di cui nessuno con esito fatale, seguita dall’Australia con 14 attacchi (1 mortale).
Un leggero aumento delle interazioni tra uomo e squalo era atteso, non fosse altro per la crescente popolarità degli sport acquatici e della vita “da spiaggia”, che portano sempre più gente a trascorrere sempre più ore in mare.
Il resto del mondo: 3 attacchi di cui due mortali sono riportati da Reunion, due attacchi ciascuno da Isola Ascensione, Bahamas, Costa Rica (uno mortale), Indonesia e Sudafrica, uno da Brasile, Canarie, Cuba (mortale), Egitto, Inghilterra, Giappone.
Il 59% degli attacchi riguarda praticanti degli sport da tavola, ed una percentuale significativa degli incidenti avviene nella zona dove si rompe l’onda, territorio di caccia per molti squali.
Ricordiamo che quando entriamo in acqua siamo noi a invadere l’habitat degli squali, producendo rumori che possono attirarli e al limite scatenare un attacco da parte di un grosso predatore. E comunque il numero degli incidenti rimane bassissimo, e se pensiamo che per 5 uomini uccisi dagli squali 100 milioni di squali e razze vengono uccisi dall’industria della pesca, la domanda finale non può che essere: chi è pericoloso per chi?