Autore: Pierpaolo Montali
Mi accingo a preparare l’auto con i numerosi bagagli di una famiglia che deve star via un paio di settimane da casa, per un breve periodo di ferie estive e che affronterà un viaggio di circa 1050 chilometri per giungere a destinazione; insieme la mia immancabile attrezzatura subacquea. La meta: Marina di Pisciotta, in provincia di Salerno, dopo la costiera amalfitana e prima del Golfo di Policastro.
Molti dubbi e molte perplessità mi attraversano la mente: la lontananza da casa in primis e la destinazione poi verso un luogo che non mi sembra vicino ai cosiddetti “servizi” cui ritengo di essere, in fondo, si troppo abituato.
Mi sbagliavo.
Arrivati al villaggio turistico che ci accoglie, troviamo un bellissimo ambiente familiare e conciliante che ci mette subito a nostro agio e che, soprattutto, rilassa mia figlia che ha due anni.
In seguito, mentre perlustro i vialetti immersi nella vegetazione costiera della struttura a picco sul mare, comincio a odorare l’aria, diversa dalla solita che respiro in una grande città, guardo il mio adorato elemento liquido sottostante, azzurro intenso e trasparente, sento poi arrivar da lontano il vento che frange le onde, la notte sulla battigia, mentre io dormo in una comoda e quasi televisiva abitazione dalle pareti in bambù posta a ridosso della riva su di un rialzo roccioso.
Mi accorgo che il Cilento, Capo Palinuro e la poco distante Marina di Camerota cominciano ad attrarmi ed affascinarmi in modo irresistibile.
Mi rinviene allora il mito classico, studiato a scuola e tradotto dalle lingue antiche, di Palinuro, nocchiero di Enea, che, giunto su queste coste durante il suo viaggio fuga da Troia, messa a ferro e fuoco dagli Achei, si innamorò perdutamente di Kamaraton, fanciulla bella come una dea, ma dal cuore di pietra, la quale non corrispose il suo amore. Disperato il giovane volle così seguire l’immagine della sua amata sino in fondo al mare, dando così il proprio nome a tutto il Capo, mentre la ragazza invece fu tramutata in desolata roccia da Venere, per punirla così della sua freddezza.
Su queste rocce si dice sorga oggi Camerota, su di un solitario colle a sud dell’imponente Capo Palinuro, dove le colorate casupole medievali ed i palazzetti rinascimentali son divisi da vicoletti e stradine spesso sormontati da archi ed archetti.
Il Cilento ed i suoi cento paesini, tutti diversi tra di loro, ma unificati da qualcosa che li rende a loro volta unici e straordinari: la bellezza.
Il luogo però non è soltanto questo: è anche armonia, il sentimento offerto da un’ospitalità sincera, che nasce dalla gioia di accogliere un amico, o un parente, che ritornano dopo lunghi periodi di lontananza, è anche l’artigianato locale con i vari laboratori di terrecotte, oppure degli intagliatori di ulivo, oltre che degli intrecciatori di cestini.
Alabastro
Quando, alcuni giorni dopo, passo con il gommone del diving sotto l’enorme maestosità del Capo Palinuro, mi sembra di essere piccolo piccolo all’interno di una natura intatta, di un tempo che per certi versi sembra essersi fermato ed aver lasciato dietro di me l’affanno, la tensione e lo stress di una vita a volte troppo turbinosa.
Cercavo questo – penso tra me e me – e con tali premesse mi accingo ora ad andare ad esplorare i fondali blu di questa area marina che mi guarda, ferma nei secoli e consapevole della propria aspra bellezza, quasi la fanciulla Kamaraton rivivesse ancora e risorgesse dal mito rinnovando la propria cruda bellezza.
Scelgo la mia meta allora: la “Area Marina Costa degli Infreschi e della Masseta”, un tratto della costa calcarea che si estende nel mar del Cilento e che inizia al termine della spiaggia di Lentiscelle sino a poche centinaia di metri dal piccolo paesino di Scario, dove questo tratto di costa ci offre alla vista e non solo, un dedalo di cavità sommerse scavate dai fiumi sotterranei.
In questo magico contesto punto la mia attenzione nei riguardi della Grotta di Santa Maria, che mi rievoca una storia triste ed affascinante al tempo stesso e che qui vorrei raccontare.
Il mio interprete della bellezza locale è Paolo Gay, torinese come me e titolare del Diving Center Marina di Camerota, aperto tutti gli anni da Aprile ad Ottobre.
Paolo lo conosco da più di trent’anni: egli infatti, non se lo può ora ricordare, ma era uno dei giovani assistenti bagnanti nella piscina ove io imparai a nuotare a Torino, poi ritiratosi con il minimo indispensabile, per decidere di venire a vivere in questa località incantata dopo averla esplorata da pioniere assoluto (sul piano subacqueo) negli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso.
Scopro così, chiacchierando con lui all’ombra del tettuccio del suo diving, che una piccola comunità di torinesi si era impiantata qui sin dalla metà degli anni ’70 e che i suoi appartenenti aprirono progressivamente le prime attività di diving center e non solo in questa fantastica zona.
Paolo Gay è un autentico esemplare di innamorato della propria passione, che l’ha saputa tramutare in lavoro al servizio della gente che lo frequenta: l’attività subacquea. Per questo con lui l’intesa scatta con me quasi come un automatismo collaudato.
Subacqueo sin dal 1968, egli frequentò i corsi federali che allora, più che addestrare gli allievi, li selezionavano naturalmente ed ha così imparato a doversela cavarsela in ogni situazione.
Egli è oggi una sintesi perfetta di esperienza, capacità e passione, che lo rendono atto ad offrire ai propri clienti una varietà di lunghissime immersioni in grado di soddisfare davvero chiunque.
In generale le grotte di questa area marina non si prestano alla cosiddetta subacquea tecnica: in primis perchè per lo più son definibili come semplici cavità marine, spesso poste a pochi metri di profondità, ben illuminate e con ampi ingressi, secondariamente perché site in zone in cui, durante l’alta stagione, non si trovano facilmente la ricarica tecnica e l’assistenza specifica che tali immersioni richiederebbero, a causa di un afflusso di turisti che impone agli operatori di settore la concentrazione massima sulla conduzione della normale giornata in mare.
La “grotta” di cui parleremo invece, potrebbe essere definita come tale a buon titolo, poiché carsica e dal classico fondo a ciottoli fluviali, che si trova dopo alcune decine di metri di penetrazione orizzontale partendo dal mare nell’Area Marina Protetta di Marina di Camerota, zona: A, di riserva assoluta ed in cui noi abbiamo accesso poiché guidati dall’unico diving locale, quello dell’amico Paolo appunto.
Essa fu esplorata da un gruppo di speleologi friulani nel 1987 che ne curarono così anche il rilievo.
Ha un ingresso ampio dal mare, come spesso accade da queste parti, che si trova a circa dieci metri di profondità ed è lunga un centinaio di metri nel suo intero sviluppo.
La particolarità di questa essa è data dai rilevanti aloclino e termoclino che si incontrano durante l’immersione: specie quest’ultimo trae in inganno i subacquei poco avveduti, poiché fa abbassare la temperatura dell’acqua marina dagli iniziali 22/25°C sino ai 13 dell’acqua dolce che incontrano nella cavità sommersa, raffreddando così in brevissimo tempo gli entusiasmi dei poco vestiti.
Di rigore, in questo tipo di immersioni, avere almeno due fonti luminose potenti e separate, che permettano così all’operatore subacqueo di potersi godere le suggestive immagini degli interni rocciosi, sfumate dall’incontro delle due acque: le salate del mare con le dolci di erosione provenienti dalla terra soprastante.
Caschetto speleo Styled
E’ un’occasione questa per me di mettere alla prova ancora una volta il mio caschetto speleo Styled con le sue potenti luci, oltre che la nuova torcia multileds maneggiabile, che consegno all’amico e compagno di immersione Marco Ceccarelli, impegnato come sono con l’attrezzatura fotografica subacquea nei vari stretti passaggi del meandro.
Di per sé la grotta è accessibile a tutti coloro che siano dotati di una buona esperienza subacquea, pur con i dovuti riguardi del caso e la giusta attrezzatura.
All’ingresso del grotta Paolo punta la propria lampada verso una colonna di alabastro puro che si illumina, fornendo così delle immagini in trasparenza che sono davvero suggestive.
Al fondo della grotta, dopo una serie di passaggi tra pinnacoli di varia forma, si accede ad una sala aerea in cui vi sono le concrezioni che scendono dall’alto e che si congiungono con quelle che, in un tempo andato, in cui evidentemente il mare era molto più a valle di adesso, sorgevano dal basso. Qui si trova la famosa concrezione di stalattiti e stalagmiti che dà origine ad una sorta di statua naturale del tutto simile ad una Madonna, da cui il nome della grotta.
Sollevando il fascio luminoso e facendolo girare a trecentosessanta gradi si scorge una lunga scala a pioli che si eleva verso l’alto, ove si vede una foro sulla volta nella roccia.
Mi viene così spontaneo, prima di proseguire, rimettendo l’erogatore in bocca e la testa sott’acqua, dopo aver scattato le mie fotografie, chiedere a Paolo che cosa sia quella scala di legno e chi l’abbia posta ed utilizzata in quel luogo un tempo. Egli mi liquida con pochi cenni, dicendomi che fuori mi metterà al corrente della storia della strambaie, che qui dentro calavano il secchio per rinfrescarsi ed abbeverarsi dell’acqua dolce e fresca di risorgenza durante le durissime ore di lavoro al sole per la raccolta dell’erba spartea; oggi invece la scala è utilizzata dalle guide terrestri del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano per accompagnare i turisti che via terra vogliano accedere alla visita della cavità.
Famiglie strambaie
Percorro così gli ultimi intriganti passaggi rocciosi della grotta, resi più impegnativi dalla scelta di Paolo di transitare in zone non consuete per i clienti abituali, con in mente la mia curiosità innata: chi erano queste donne e che cosa facevano lì dentro con l’erba naturale che raccoglievano?
Riemerge così dal passato, durante il nostro ritorno sul gommone, la storia legata alla raccolta dell’erba spartea, arbusto di terra mediterraneo locale, che veniva un tempo utilizzato, dopo essere stato essiccato ed opportunamente trattato, per creare i libbani o tunnari, che poi erano funi intrecciate fatte di questa erba bagnata con acqua di mare, che non veniva ritorta e che per tale motivo le rendeva meno forti di quelle in canapa, utilizzate principalmente per l’allevamento in mare delle cozze. Per tale motivo erano definite “strambe” e le donne che le lavoravano, appunto, le strambaie.
Paolo mi racconta ancora che il primo di giugno dell’ormai lontanissimo 1.867 in questo tratto di mare perirono in un tragico naufragio 12 donne di professione strambaie e due marinai che erano imbarcati su di un gozzo mentre tornavano dalla raccolta dell’erba spartea, forse a causa di un carico troppo elevato e di un probabile colpo di mare che rovesciò l’imbarcazione.
La mia mente va allora spontaneamente all’8 di marzo, data in cui è nata mia figlia, ma in cui anche si celebra la cosiddetta festa della donna, che è la rievocazione della tragica scomparsa di centoventinove donne durante l’incendio divampato alla Cotton nel 1908: penso che probabilmente qui davanti alla grotta di Santa Maria ci sarebbe stato un altro valido e precedente motivo per celebrare una morte, in gran parte femminile, sul lavoro se qualcuno lo avesse mai ricordato e reso pubblico.
Uscita dall’interno
Ogni anno le eredi superstiti di quelle donne ed alcuni credenti subacquei celebrano allora il ricordo di quell’episodio il primo di giugno, deponendo dei fiori anche sulla statua d Padre Pio, che Paolo ed alcuni suoi amici pescatori locali deposero con una cerimonia ufficiale nel settembre del 2002.
Le immagini e le forti sensazioni ricavate nella grotta di Santa Maria sono ancora vivide nella mia mente mentre scorrono le enormi pareti della costiera cilentana del Parco Naturale, oggi dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità, al rientro verso l’approdo del villaggio turistico dove c’è la base del diving.
Ripenso così alle vittime di questa storia dimenticata, che in qualche maniera oggi torna a vivificare, dall’oblio del passato, l’immobilità di queste rocce scavate dall’azione consuntiva combinata delle acque salate e dolci; confermo nella mente la mia personale impressione che certune emozioni e sensazioni, coglibili soltanto con un‘immersione subacquea ragionata, sono sempre molto difficili da descrivere ai terzi e da esternare in senso generale: occorre esserci per comprendere appieno.
Questo allora è un altro valido motivo per esser venuto sino a qui a cercare la vita sommersa dello straordinario Cilento e per volerci ritornare presto…
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